Il Sole 24 Ore - 05.03.2020

(Frankie) #1

Il Sole 24 Ore Giovedì 5 Marzo 2020 17


Economia & Imprese


Ex Ilva, firmata la tregua


Ora negoziato sugli esuberi


La character assassination


L’Ilva dei Riva dava fastidio a troppi.
Forse questo è il motivo per cui è na-

ta la distruzione di un personaggio,
la character assassination.

Un giallo molto famoso di Aga-


tha Christie è Assassinio sull’Orient
Express (Murder on the Orient Ex-

press, ). Sul treno partito da


Istanbul viene ucciso da una tem-
pesta di coltellate un odiatissimo

uomo d’affari, Samuel Edward Ra-


tchett. Arricciandosi i baffi, l’inve-
stigatore Hercule Poirot scopre che

l’ucciso in realtà è il perfido latitan-


te Cassetti e intuisce che tutti  i
viaggiatori presenti sul vagone

avevano un motivo di odio perso-


nale verso l’ucciso. I colpevoli sono
tutti i , ciascuno dei quali assesta

una coltellata al cattivo.


Dal processo Ambiente Svenduto
in corso nella corte d’assise di Ta-

ranto sembra emergere proprio


questo: l’Ilva ha accumulato odio
diffuso e a molti ha fatto comodo la

tempesta contro essa.


Le dodici coltellate


A diversi gruppi sociali ha fatto co-


modo che l’Ilva e il suo inquinamen-
to fossero messi sotto accusa. Ecco-

ne alcuni.


Il gruppo Riva era percepito da
una parte dei tarantini un estraneo

che entrava in modo inopportuno


nelle dinamiche sociali della città.
L’attenzione verso l’Ilva ha di-

stolto gli sguardi da altri impatti


ambientali. Nella zona industriale
hanno dimensioni visibili la raffi-

neria dell’Eni o il cementificio Ce-


mentir (ora fermo), ma attività
meno evidenti avevano impatti ri-

levanti: nelle aziende Matra o San


Marco, per esempio, erano state ri-
levate contaminazioni pazzesche

di diossina o di Pcb. Contamina-
zioni cancerogene nell’area Pa-

squinelli della municipalizzata


Amiu, nell’area di produzione di
refrattari, in un inceneritore di ri-

fiuti ospedalieri prospiciente il


quartiere Tamburi. Il deposito ab-
bandonato di scorie radioattive

della Cemerad (smantellato mesi


fa dalla Sogin).
Una parte della società pugliese

ha una forte tradizione di rivendica-
zione meridionalista; nell’immagi-

nario collettivo, il rude imprendito-


re Emilio Riva (-) incarna-
va l’immagine del colonizzatore che

viene dal Nord.


Riva ripulì il malaffare di Stato
che dominava l’Italsider. Acquisti

farlocchi. Fatturazioni di comodo.


Appalti a comando. Manutenzioni
inesistenti. Allontanamento di for-

nitori vicini alla malavita.


Gli ecologisti, preoccupati per
l’inquinamento dell’acciaieria.

L’Ilva dei Riva aveva preferito


usare discariche interne che sfuggi-


vano al mercato dei rifiuti, mercato


che ai tempi dell’Italsider dell’Iri
era una fonte inesauribile di busi-

ness per l’indotto.
Un palcoscenico formidabile per

alcune associazioni, alcune delle


quali di sicura presa fra i cittadini.
Fra queste spiccano Genitori Taran-

tini, LiberiAmo Taranto, Peacelink,


Giustizia per Taranto, Tamburi
Combattenti, Taranto Respira e Li-

beri e Pensanti, organizzazione cui


è vicino il cantante che ha vinto San-
remo , Diodato, aostano di na-

scita ma tarantino nei fatti.


Un diffuso sentimento antindu-
striale, o contrario al profitto, o il

desiderio di tornare all’industria di


Stato percepita come più giusta.
Il desiderio di togliere dai riflet-

tori della cronaca le gravissime ma-


lefatte ambientali che erano appena
state sospettate sull’Arsenale e sul

suo indotto cantieristico.


Un simbolo ad alta visibilità del-
l’industria pesante e dell’inquina-

mento che preoccupa i cittadini.


Errando per errori
Francesco Perli, avvocato ammini-

strativista milanese fra i più rino-
mati, era accusato da un’intercetta-

zione telefonica di avere «inquinato


gli atti» sull’Ilva. Un anno fa durante
il processo la telefonata è stata

ascoltata per la prima volta. Tutti
hanno potuto sentire che l’avvocato

aveva detto: «Abbiamo impugnato


gli atti». L’accusa è caduta.
Gianni Florido era il presidente

Pd della Provincia di Taranto quan-


do il  maggio  venne arrestato
per un’intercettazione. Sui blog e

sui social venne sciorinata la solita


ghigliottineria. Solamente in queste
settimane al processo il perito foni-

co ha rilevato che le parole d’accusa


trascritte erano immaginarie e non
ci sono nell’audio originale.

Stando alle deposizioni in aula, il


perito Stefano Consonni, docente al
Politecnico di Milano, perito del Tri-

bunale di Milano, ha verificato di


persona che erano stati realizzati
dall’Ilva gli interventi di risanamen-

to ambientale che, secondo le de-


nunce della custode giudiziaria del-
l’Ilva, non esistevamo e non erano

stati realizzati.


Monsignor Marco Gerardo, se-
gretario dell’arcivescovo Benigno

Papa, accusato di raccogliere dena-


ro dalla famiglia Riva, è stato assolto
dopo essere stato infamato per anni.

Nei giorni scorsi il Tribunale di


Taranto ha assolto (il fatto non sus-
siste) l’ex direttore dell’acciaieria,

Luigi Capogrosso, e altri  dipen-
denti dall’accusa di avere provocato

malattie professionali gravissime e


anche la morte per esposizione al-
l’amianto di alcuni dipendenti.

In fondo al mar


Nel  una campagna di raccolta
dei rifiuti accumulati sul fondo del

Mar Piccolo strappò dal fango 


tra veicoli e parti di auto, ma anche
pneumatici, relitti, fusti, lettini del

prospiciente Ospedale Militare del-


l’Arsenale, attrezzi da pesca, im-
pianti di mitilicoltura, cassonetti dei

rifiuti. Un anno fa, era il maggio
, la Legambiente fece una nuo-

va campagna di raccolta dei rifiuti


dal fondo del Mar Piccolo, e la metà
dei rifiuti trovati era formato da re-

sidui per l’allevamento delle cozze


(il ,% erano reti o loro parti).
© RIPRODUZIONE RISERVATA

I due mari. La portaerei Cavour attraversa il ponte girevole per entrare nel Mar Piccolo e raggiungere l’Arsenale militare


ANSA

EMILIO RIVA
(1926-2014)
Pioniere della
siderurgia italiana,
nei primi anni ’
fonda la società
Riva & C.

Raffineria Eni. L’ingresso dello stabilimento della compagnia petrolifera presente a Taranto


REUTERS

Paolo Bricco


U


na cosa buona e una cosa


cattiva. L’accordo siglato
ieri è una moneta a due

facce. Comunque lo si


guardi. Su ogni questione. Nulla di
strategico è risolto. Molto è ancora

da definire.


La struttura giuridica.
Dall’estate degli arresti dei Riva e

dei sequestri dell’Ilva, correva
l’anno , questa è una storia di

manette e di aule di tribunali, di


studi legali e di uffici di
commercialisti, di sottomissione

dei politici ai procuratori e di paura


degli imprenditori di finire in
galera. Per questo, la struttura

giuridica raggiunta è


fondamentale. La cosa buona è che,
ieri, non ha deciso un giudice.

Almeno per ora, abbiamo evitato la


scena indecorosa di una politica e
di una imprenditoria italiane che

abdicano al loro ruolo e finiscono,


volenti o nolenti, per lasciare il
pallino in mano ad una

magistratura che, di solito, nulla sa


di questioni industriali. La cosa
cattiva è che, in realtà, con questo

accordo si è preso tempo. Non a


caso, è stata finora tutta una storia
di avvocati. Il gioco vero inizia

adesso. Le trattative dureranno


fino a novembre.


La posizione di Arcelor Mittal


Arcelor Mittal è uno dei gruppi
siderurgici più grandi e reputati al

mondo. Nel business, difficile


trovare un acciaiere o un manager
che non parlino con considerazione

dei Mittal e della loro prima linea. La


loro posizione è tutta da decifrare.
Poco tempo e si saprà. La cosa buona

è che, adesso, Arcelor Mittal potrà


decidere se rimanere o no.
Valutando la domanda di mercato

europea. In uno scenario ogni giorno


più difficile per gli effetti globali del
corona virus. Facendo bene i conti:

con una finanza di impresa che


continua, a Taranto, a bruciare fra i 


e i , milioni di euro al giorno.
Verificando la convenienza – per sé


  • della proposta del Governo. La cosa
    cattiva è il doppio segnale: la


scomparsa dall’accordo dello scudo


penale (la strillatissima ragione
formale della rescissione del

contratto) e il ritiro dall’Italia dei


manager stranieri.


Il nodo dell’equity


L’equity è il cuore della questione.


Perché è nella struttura del capitale
che si definirà chi avrà il controllo

operativo della società, chi deterrà
una quota di minoranza, chi

deciderà di convertire una parte o


l’intero ammontare della montagna
di debiti. La cosa buona è il

chiarimento di fondo sulla struttura


del capitale: se non entrerà lo Stato,
Arcelor Mittal uscirà a fine anno

pagando mezzo miliardo di euro.


Questo evita il Vietnam giudiziario,
con cause miliardarie che si

trascinerebbero per anni. Fissa una


modalità di uscita e stabilisce un
prezzo. Inoltre, da qui a novembre –

se il Governo non volesse diventare


socio di minoranza di Arcelor Mittal
o se Arcelor Mittal decidesse di fare

saltare il banco con una forzatura


per la quale avrebbe assolutamente
il physique du rôle – l’Esecutivo

potrà studiare un Piano B.


Nell’auspicio che non sia la
ennesima riproposizione di una

pura statalizzazione dell’Ilva. La


cosa cattiva è che, per ora, non è
stato ancora identificato un advisor

per fare le perizie per i concambi. E,


dunque, siamo ancora al tempo
zero per Arcelor Mittal, che di sicuro

non metterà più soldi buoni su soldi


cattivi, per il Governo, che deve
ancora scegliere il veicolo societario

per la quota di minoranza, e per le
banche, per cui l’Ilva è sempre stato

un problema, ancora più grande


con la recessione che avanza.


Il nodo dell’occupazione


L’argomento più delicato. Il vero


scoglio. Nessuno, finora, ne ha


parlato con i sindacati. La cosa
buona è che, sul piano teorico, è

stato raggiunto da Arcelor Mittal e


dal Governo un accordo per
garantire, nella sostanza, la piena

occupazione. Insomma, il migliore


dei mondi possibili. La cosa cattiva è
che, da subito, Arcelor Mittal ha

sostenuto che, per trovare un
equilibrio in condizioni di mercato

peraltro meno deteriorate delle


attuali, alla fabbrica servissero mila
dipendenti in meno. Una nota: i

forni elettrici nello stabilimento


farebbero abbassare la marginalità
industriale complessiva di Taranto,

richiedendo meno personale.


Il quadro politico


Non esiste solo il problema della


costruzione di un nuovo rapporto
con Arcelor Mittal, azionista di

maggioranza di una società


posseduta per una quota
considerevole dallo Stato. E, in caso

di uscita dei franco-indiani, non


esiste soltanto la questione della
definizione di un Piano B, con il

rischio di trasformare l’Ilva


nell’ennesimo esercizio degli orfani
dell’Iri, con qualche imprenditore

privato – italiano o straniero –


coinvolto nella conduzione
dell’impresa, pagata però con i soldi

pubblici. La cosa buona è che esiste


una linea razionale sull’intera
vicenda che, dal Ministero

dell’Economia e delle Finanze alla


Commissione di Bruxelles, ha
costruito le condizioni perché non

saltasse tutto per aria. La cosa


cattiva è che ha ripreso corpo il
partito che vorrebbe finire con

questa storia, serrare i cancelli,


spegnere gli altoforni. Alcuni, come
il sindaco di Taranto Rinaldo

Melucci, sembrano animati da


buona fede civica diventata fastidio
per l’inerzia. Altri, come gli

esponenti dei Cinque Stelle, sono
coerenti con l’idea che nulla si possa

e nulla si debba fare per salvare


Taranto. Costi quel che costi.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’ANALISI


Intesa dai nodi irrisolti per trattare fino a novembre


30


NOVEMBRE
Per l’ingresso
in AmInvestco
di investitori
pubblici e privati,
l’accordo chiede
la stipula di un
accordo di
investimento,
da perfezionare
entro il 30
novembre

QUARTIERE


TAMBURI


Quartiere


Stazione Paolo VI
Nasisi
Boffoluto

TARANTO


MAR


PICCOLO


ARSENALE
CENTRO

PORTO STORICO
Isola di
San Pietro

Mar Ionio


0 2 km


ENI


ILVA


La mappa dei luoghi chiave in città


Fino a oggi


hanno lavo-


rato gli av-


vocati. La


partita vera


inizia ades-


so: le trat-


tative pro-


seguiranno


per mesi

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