National Geographic Italy - 03.2020

(Jacob Rumans) #1
con un movimento circolare tornava indietro e
rappresentava tutti i materiali che siamo riusciti
a recuperare attraverso il riciclaggio, il compo-
staggio e altre pratiche. Erano solo 8,4 miliardi
di tonnellate, appena il 9 per cento del totale.
Il “divario di circolarità”, come de Wit e i suoi
colleghi lo hanno definito quando hanno pre-
sentato il loro rapporto al World Economic Fo-
rum di Davos nel 2018, è un fenomeno relativa-
mente nuovo nella storia dell’umanità, nato nel
Settecento con l’uso industriale dei combustibili
fossili. Fino ad allora, gli esseri umani avevano
usato soprattutto la forza muscolare, la loro e
quella degli animali. Coltivare, costruire e spe-
dire prodotti richiedeva un duro lavoro, e per
questo motivo acquisivano valore. A quei tempi,
tuttavia, molti di noi erano davvero poveri.
L’energia fossile a basso costo - giacimenti di
carbone o di petrolio - ha cambiato tutto. Estrarre
le materie prime, mandarle alle fabbriche e spe-
dire i prodotti finiti in tutto il mondo è diventato
più facile. I combustibili fossili hanno ampliato
in modo impressionante le nostre possibilità, e il
processo continua a intensificarsi. Nel corso de-
gli ultimi cinquant’anni la popolazione mondiale
è più che raddoppiata e i flussi di materiali che
alimentano l’economia sono più che triplicati.
«Adesso però stiamo per raggiungere il li-
mite», ha affermato de Wit.
In questo stesso arco di tempo gli ambienta-
listi hanno continuato a metterci in guardia sui
limiti della crescita. Il nuovo movimento della
“economia circolare” si presenta come qualcosa
di diverso. È un insieme di strategie - alcune
vecchie, come ridurre i consumi, riutilizzare e
riciclare, altre nuove come l’idea di noleggiare
anziché possedere le cose - intese a riorganizzare
l’economia globale per eliminare sprechi e ri-
fiuti. L’obiettivo non è mettere fine alla crescita,
ma piuttosto riformulare le nostre pratiche per
recuperare un rapporto armonico con la natura
e continuare a crescere. Per citare le parole usate
dal Commissario europeo per l’ambiente Janez
Potočnik nella prefazione a un rapporto della
Ellen MacArthur Foundation, si tratta di mirare
alla “prosperità in un mondo di risorse finite”.
Secondo il rapporto in questione l’economia
circolare potrebbe far risparmiare alle aziende
europee fino a 630 miliardi di dollari l’anno.
In un continente piccolo, affollato, ricco eppure
povero di risorse come l’Europa, l’idea ha riscon-
trato consensi. L’Unione Europea sta investendo
miliardi nella strategia. I Paesi Bassi prevedono di

dell’economia globale». A differenza degli ecosi-
stemi naturali che funzionano a cicli - le piante
crescono nel terreno, gli animali mangiano le
piante, il letame alimenta di nuovo il terreno -
l’economia industriale segue un andamento in
massima parte lineare. Nel diagramma i flussi dei
quattro tipi di materie prime - minerali, metalli,
combustibili fossili e biomasse - sono indicati con
ampie fasce colorate che, osservate da sinistra a
destra, si dividono e si intrecciano man mano che
diventano prodotti destinati a soddisfare sette
bisogni umani. La sabbia è uno dei componenti
del cemento con cui sono stati costruiti edifici
per appartamenti in tutti i continenti. I metalli
sono diventati navi, automobili e anche mietitreb-
biatrici con le quali in appena un anno abbiamo
raccolto 20,1 miliardi di tonnellate di biomasse
solo per nutrirci. I combustibili fossili hanno fatto
funzionare quelle macchine, ci hanno tenuto al
caldo, sono stati trasformati in plastica e in oggetti
di ogni genere. Nel 2015 l’economia ha usato in
totale 98,2 miliardi di tonnellate di risorse.
Fin qui tutto bene, se consideriamo queste cifre
il frutto dell’ingegno umano. Il problema sta in ciò
che accade dopo che le nostre necessità sono state
soddisfatte. De Wit mi ha indicato la nebbia grigia
al margine destro del diagramma, una fascia che
rappresenta i rifiuti.
Nel 2015, mi ha spiegato, circa i due terzi delle
materie prime che abbiamo sottratto al pianeta
ci sono sfuggiti di mano. Più di 61 miliardi di
tonnellate di materiali ottenuti con fatica sono
andati perduti, e la maggior parte è del tutto ir-
recuperabile. Un terzo di tutto il cibo è andato a
male, anche se per produrne in maggiori quan-
tità abbiamo deforestato l’Amazzonia. Se pen-
siamo a qualsiasi problema ambientale è molto
probabile che questo sia collegato ai rifiuti. An-
che i cambiamenti climatici sono dovuti al fatto
che bruciamo i combustibili fossili e disperdiamo
le scorie - l’anidride carbonica - nell’atmosfera.
A rischio di apparire ridicolo devo confessare
che quella mattina, mentre de Wit mi mostrava
e spiegava con pazienza tutte quelle cifre, ho
avuto una sorta di illuminazione. Da quello
strano diagramma emergeva con esaltante chia-
rezza un compito ben preciso. È vero, sembrava
dire, i problemi da affrontare sono molteplici
e complessi; è vero, sono su scala planetaria.
Ma in realtà per continuare a vivere su questo
pianeta dobbiamo fare solo una cosa: smettere
di sperperarne le risorse. De Wit mi ha indicato
una sottile freccia in fondo al diagramma che


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