National Geographic Italy - 03.2020

(Jacob Rumans) #1
Le foto scattate da Luca Locatelli per il reportage
sull’agricoltura olandese pubblicato nel settembre
2017 sono esposte al Guggenheim Museum di
New York. Il redattore Robert Kunzig ha firmato
l’articolo sulle città dell’aprile 2019.

Tra sogno e incubo


IL FATTO CHE PRODUCIAMO così tanti rifiuti non
significa che siamo cattivi, ma solo che siamo un
po’ stupidi. Quando ho incontrato Michael Braun-
gart ad Amburgo, lui ci ha tenuto a precisarlo su-
bito. Dopo essere stato per alcuni anni un attivista
di Greenpeace e aver organizzato diverse proteste
contro le industrie chimiche, Braungart ha co-
minciato a lavorare come consulente d’azienda.
«Dalla culla alla culla è il nostro strumento per
combattere contro un’eredità culturale derivata
da credenze religiose», ha chiarito riferendosi alle
fedi monoteiste. L’ambientalismo ha ereditato da
queste religioni l’idea che la natura è buona e gli
esseri umani, con la loro influenza nefasta, sono
cattivi. La cosa migliore che possiamo fare, dun-
que, è limitare i danni. Secondo Braungart questo
è un concetto fuorviante e semplicistico. Lui crede
che gli uomini possano migliorare la natura.
Quando ero ad Amsterdam ho visitato un’area
di uici di 30 ettari poco fuori dalla città chiamata
Park 20/20 progettata dallo studio di McDonough
con la consulenza di Braungart per la scelta dei
materiali. Dieci anni fa, il suo costruttore Coert
Zachariasse si è recato per la prima volta a Char-
lottesville, aspettandosi che il guru gli rivelasse
come realizzare un complesso di uici ispirato alla
visione “dalla culla alla culla”. McDonough, invece,
si mostrò esitante. «Mi disse di non avere ancora
un’idea precisa, ma che avrebbe pensato a qual-
cosa», mi ha raccontato Zachariasse. Quell’iniziale
delusione, però, ha lasciato il posto a un senso di
libertà e a una maggiore determinazione.
Park 20/20 è in via di completamento, ma è
già un’area di uffici verde e piacevole. Gli edi-
fici hanno facciate diverse e fantasiose, gli spazi
sono luminosi e accoglienti, l’energia è rinnova-
bile, le acque reflue vengono trattate e riciclate
sul posto. Uno degli elementi più interessanti
è meno evidente rispetto ad altri: i solai degli
edifici non hanno la solita struttura in cemento
armato, ma ne hanno una leggera e cava di travi
d’acciaio, grazie alla quale è possibile ricavare
sette piani nell’altezza di sei, usando nel com-
plesso il 30 per cento di materiali in meno.
In inverno l’acqua calda del canale adiacente,
immagazzinata sottoterra dall’estate precedente,
scorre nelle tubature di ogni sottofondo riscal-
dando l’ambiente sovrastante; in estate l’acqua
fredda del canale, conservata dall’inverno pre-
cedente, scorre nelle tubature dei soffitti rinfre-


scando gli ambienti sottostanti. A differenza delle
strutture di cemento, le sezioni pavimento-sof-
fitto prefabbricate possono essere smontate e
riutilizzate nel caso in cui l’edificio debba essere
ristrutturato o demolito. Gli edifici di Park 20/20
sono come “banche di materiali”, mentre altrove
i materiali edili rappresentano la principale tipo-
logia di rifiuti che finisce in discarica.
Quando ero nello studio di McDonough mi
sono seduto su una vecchia sedia Herman Mil-
ler tappezzata con il primo materiale che lui e
Braungart hanno prodotto, un tessuto di lana e
ramiè, una fibra che si ricava da piante urtica-
cee. Mentre McDonough mi parlava di Leibniz e
di un mondo di possibilità, mi è venuto in mente
un vecchio film intitolato A cena con gli amici.
«Se non sogni in grande [...] la vita diventa un
incubo», dice il personaggio interpretato da Mi-
ckey Rourke verso la fine, quando insieme ai suoi
amici si avvia verso il futuro pieno di incertezze.
Forse, ho pensato, la nostra specie si trova nella
stessa situazione: ha bisogno di un sogno in cui
credere per non cadere in un incubo.
L’economia circolare è un sogno che sta spin-
gendo molta gente a darsi da fare. Ma - se mi è con-
cesso concludere con una nota spiacevole - non è
affatto una realtà. Se non ci lasciamo abbagliare
da certi risultati positivi e consideriamo invece
i numeri, quelli che mi ha mostrato de Wit, ve-
dremo che il “divario di circolarità” sta crescendo,
non diminuendo. Entro il 2050 il nostro uso delle
risorse naturali potrebbe raddoppiare. E le emis-
sioni di CO 2 continuano ad aumentare.
«Ci stiamo muovendo abbastanza in fretta?
Non proprio», ha ammesso de Wit.
Come gli altri ottimisti che ho incontrato, de Wit
ritiene che sia questione di tempo. Per costruire
un’economia circolare sarà necessario un enorme
cambiamento culturale, qualcosa di portata simile
alla rivoluzione industriale. «Dobbiamo avere pa-
zienza e resistere», ha proseguito. «Secondo me
non ci riusciremo con la generazione attualmente
al potere. Ci vorrà ancora una ventina d’anni». Con
queste parole de Wit stava incalzando la mia ge-
nerazione a uscire di scena. Ma non l’ho presa sul
personale. Di certo noi saremo sottoterra quando
l’economia circolare arriverà. E in quel modo da-
remo il nostro piccolo contributo. j

RIFIUTI ZERO 23
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