National Geographic Italy - 03.2020

(Jacob Rumans) #1

I funzionari della Aun dicono che la protezione
è necessaria. Ma qualcuno pensa che le tagli fuori.
«Dopo che sono state rilasciate, sono state messe
dal governo in una struttura di Abuja. Poi sono
state mandate al campus», racconta Anietie
Ewang, la ricercatrice per la Nigeria di Human
Rights Watch, che ha seguito il caso da vicino.
«Sembra che in ogni fase siano state isolate».
Il governo nigeriano e donatori privati stanno
coprendo i costi di almeno sei anni di istruzione
per ognuna di loro. Alcune stanno valutando la
scuola di giurisprudenza. Altre hanno in mente
di diventare attrici, scrittrici, contabili.
Non tutte le superstiti della guerra di Boko
Haram hanno queste possibilità. Nello Stato del
Borno, l’epicentro della crisi, le lezioni sono state
cancellate per due anni. Lì e in due Stati confi-
nanti, circa 500 scuole sono state distrutte, 800
chiuse e più di 2.000 insegnanti sono stati uccisi.
A circa 25 chilometri dal campus della Aun, Glo-
ria Abuya si alza alle 5.00 del mattino e cammina
per due ore per raggiungere la scuola dal campo
profughi di 2.100 persone in cui vive. Quando
nel 2014 sono arrivati nel paese natale di Gloria,
Gwoza, i militanti di Boko Haram hanno ucciso
gli uomini e ordinato alle mogli di seppellirne i
corpi. In seguito hanno preso le ragazze. Gloria
ha passato due mesi in prigionia prima di fuggire
mentre i suoi carcerieri pregavano. Molte donne
tenute prigioniere da Boko Haram ritornano in
comunità che le temono e famiglie che le ripu-
diano. Gloria non sa quando potrà riprendere la
sua vecchia vita, né se ci riuscirà mai. «Non ho
niente a cui tornare», ha detto.
Nel maggio 2019, una settimana prima dell’ini-
zio delle vacanze estive, le studentesse di Chibok
si sono preparate a festeggiare l’anniversario della
loro liberazione. «È molto triste perché ricordiamo
le nostre sorelle ancora nella foresta», ha spiegato
Amina Ali mentre si vestiva per la cena. «Mentre
noi siamo qui, e siamo felici».
Il giorno dopo, il circolo teatrale ha messo
in scena uno spettacolo in cui due ragazze ve-
nivano rapite con richiesta di riscatto e le loro
famiglie lottavano per riaverle indietro. Il co-


pione si prendeva gioco di poliziotti inefficienti,
funzionari pigri e rapitori avidi. Quando le pri-
gioniere venivano liberate e tornavano dalle
loro famiglie, la folla è esplosa in un applauso.
Alla fine, alcune studentesse in fila hanno letto
i messaggi per le loro compagne assenti prima
di liberare in aria dei palloncini.
“Cara sorella, so che gli angeli vegliano su di te”.
“Cara sorella, sento che cammini al mio fianco”.
“Cara sorella, non vedo l’ora di riabbracciarti”.
Tre famiglie di ragazze scomparse che vivono
ad Abuja dicono che non hanno nessun numero
da chiamare per avere aggiornamenti, non ven-
gono avvisate quando escono delle notizie e non
hanno avuto contatti con il governo dopo il teso
incontro con il presidente Muhammadu Buhari
nel 2016. Di questi tempi è raro che il governo
rilasci commenti sulla vicenda. Lo scorso aprile,
in occasione del quinto anniversario del seque-
stro, Buhari ha trasmesso un messaggio in cui
rassicurava i nigeriani che “sono stati inten-
sificati gli sforzi per garantire il rilascio delle
ragazze di Chibok”.
Su una collinetta dietro a un quartiere di am-
basciate e ville di Abuja, Rebecca Samuel vive
in un affollato palazzo di calcestruzzo. Sua fi-
glia Sarah è tra le ragazze che ancora mancano
all’appello. Tre fotografie che lei conserva nel
portafogli mostrano Sarah quando era bambina
alla fine della scuola materna, come sfrontata
quattordicenne e come compassata adolescente
in abito bianco. Quando nel 2017 sono state li-
berate 82 ragazze, Samuel è corsa all’ospedale
dove venivano tenute. La sicurezza non voleva
lasciarla entrare.

ALL’AVVICINARSI DELL’ESTATE 2019 la Aun è ve -
nuta a sapere che gli estremisti avevano appic-
cato il fuoco alle case di diverse famiglie delle
studentesse di Chibok. Il capo della sicurezza,
Lionel Rawlins, ha sconsigliato alle giovani di
tornare a casa, ma circa 90 di loro hanno deciso
di andare comunque. Per alcune era solo la se-
conda estate dalla loro liberazione e avevano
una voglia disperata di vedere le loro famiglie.
La Aun non si preoccupa solo della loro sicu-
rezza: la maggior parte di queste ragazze è sulla
ventina, e in questa regione è insolito che fre-
quentino ancora la scuola. Se non avessero pas-
sato anni in prigionia, molte di loro starebbero già
mettendo su famiglia. Nell’autunno precedente,
otto studentesse non sono tornate a scuola e, a
quanto pare, metà di loro si sono sposate.

Dopo essere tornata
libera, Esther Joshua
(a sinistra) ha ricevuto
una chiamata dall’amica
Patience Bulus, che
era fuggita durante il
rapimento e oggi studia


negli USA. Patience
ha invitato Esther a
cogliere la sua seconda
possibilità: «Questa è
la nostra occasione per
fare qualcosa di buono»,
le ha detto.

LE RAGAZZE DI CHIBOK 47
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