Il Sole 24 Ore - 03.03.2020

(Michael S) #1

20 Martedì 3 Marzo 2020 Il Sole 24 Ore


Commenti


L’ADDIO


JACK WELCH,


LEGGENDA


SENZA EREDI


È

scomparsa una leggenda, una figura contro-


versa ma imprescindibile nel mondo aziendale
americano e nel business internazionale. Jack

Welch si è spento a  anni, lasciando un’eredi-
tà con pochi paralleli e ancora discussa: quella

di aver trasformato un marchio storico, la Ge-


neral Electric capitanata per due decenni, in un colosso a
forte crescita tanto da scalare negli anni  le vette delle

classifiche delle valutazioni a Wall Street. Contemporane-


amente ha cresciuto a colpi di rivoluzioni di management,
all’insegna di efficienza, produttività e performance, un’in-

tera generazione di top executive.


La sua reputazione non l’ha tenuto al riparo da polemi-
che. Lasciata la guida del gruppo nel , al suo apice,

Welch fu testimone di un declino e successivo crollo del-


l’impero che aveva creato. Un tempo considerata con am-
mirazione azienda Pil – per il vasto raggio d’azione dei suoi

interessi da elettrodomestici a motori per aerei e finanza



  • ha attraversato anni difficili. Una crisi che ha rimesso in
    discussione la sua “scuola” di pensiero. Anche se lui ha


continuato ad attirare i riflettori: con la terza moglie, Suzy,


ha lanciato un programma di Mba online e scritto libri di
business. E in un segno della sua continua influenza, il

presidente Donald Trump ha ieri twittato che Welch era


un suo «amico e sostenitore».
L’ex super-manager rimane tuttavia un leader azienda-

le difficile da sottovalutare sia per i fautori che i detrattori.


Ha dato i natali alla moderna Ge, un gruppo che risale agli
inizi del grande capitalismo americano, a personaggi quali

Thomas Edison e John Pierpont Morgan, comprendendo


prima di altri l’avanzata delle economie asiatiche. Fin da
suo debutto Welch si meritò il soprannome di Neutron Jack

per aver ordinato la drastica eliminazione di mila posti


di lavoro, ispirata al principio della cacciata di chi aveva
performance inferiori. Il motto per gli asset sotto pressione

divenne «aggiustarli, chiuderli o venderli». Nella sua car-
riera al vertice innescò oltre mille operazioni di compra-

vendita, che portarono a un’inedita e diversificata espan-


sione che arrivo a comprendere anche il network tv Nbc.
Una scommessa particolarmente rischiosa la fece sui

servizi finanziari, con Ge Capital, a lungo motore di profitti


e sostegno a prezzi azionari sempre più alti. Se il gruppo
dal  al  quintuplicò le entrate a  miliardi l’anno,

le quotazioni si impennarono del .% e il rendimento


totale, dividendi compresi, fu del .% rispetto al .%
dell’S&P . Primo in famiglia a terminare il liceo e poi a

laurearsi in ingegneria, a  anni il più giovane chief execu-


tive di Ge, Welch venne proclamato manager del secolo da
Fortune. La sua autobiografia fu battuta all’asta per , mi-

lioni nel . Anche la sua buonuscita fu da record; oltre


 milioni in omaggio alla statura di superstar.
Non fu l’ultima parola. La corsa a rotta di collo, la cultura

aziendale anti-burocratica e imprenditoriale ma anche


darwiniana, l’enfasi su risultati immediati costarono care
alla Ge orfana di Welch. Divennero per i critici simbolo di

epoche di eccessi e scarsa trasparenza: durante la crisi del


 il gruppo finì sull’orlo del crack davanti alla debacle
delle attività nella finanza. La market cap, lievitata fino a

quasi  miliardi, è precipitata da simili massimi di quasi


 miliardi. Nel  Ge fu estromessa, dopo cento anni,
dall’indice Dow Jones. Lo stesso modello di colossale con-

glomerata gestita con polso ferreo, dominando tutti i mer-


cati dove opera e sposando obiettivi di breve periodo che
accontentassero a ogni costo gli investitori cessò per molti

di incarnare un ideale di business.


Esito del terremoto, per Ge, sono stati ripetuti cambi di
leadership. Al comando è adesso Lawrence Culp, dopo

l’uscita di scena di John Flannery e, prima di lui di Jeff Im-
melt. Revisioni di strategia sono state dettate dalla necessi-

tà di un breakup del gruppo a caccia di una stabilità lontana


dai disegni di Neutron Jack. Quel Jack Welch che rimane,
nel bene e nel male, un irrinunciabile capitolo nella lunga

marcia della Corporate America sul palcoscenico globale.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

di Marco Valsania


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Grintoso. Jack Welch, 84 anni, era famoso per il suo piglio


REUTERS

UNA OPERAZIONE VERITÀ SU DEFICIT E PIL


—Continua da pagina 


L

a conduzione della politica


economica del governo co-


siddetto gialloverde, da al-
cuni incautamente definita

disastrosa, ha portato, per il


, a un deficit pubblico
pari all’,% del Pil, il più basso dal 

e paradossalmente pari all’obiettivo


intorno al quale, nell’estate del , ri-
tenevo personalmente possibile l’ac-

cordo con la Commissione europea. Il


saldo primario, cioè il saldo di bilancio
al netto degli interessi passivi sul debi-

to, è stato il più alto dal . Gli interes-


si passivi hanno continuato a diminui-
re significativamente. Il rapporto debi-

to/Pil, almeno in questa prima valuta-


zione Istat, è rimasto invariato rispetto
all’anno precedente, nonostante la for-

te caduta della crescita.


Questi risultati di sana tenuta dei
conti pubblici, anche rispetto agli anni

precedenti, sono stati possibili nono-


stante l’approvazione del reddito di


cittadinanza e del provvedimento de-
nominato “quota ”. Ha aiutato

l’aumento delle entrate fiscali, frutto


evidente di una crescente adesione
dei contribuenti agli obblighi fiscali e

del contrasto efficiente all’evasione.


Se guardiamo al tasso di crescita del
Pil, l’Istat indica lo ,% per il , più

di quanto previsto in un anno di forte


rallentamento globale delle economie
in cui è sceso allo ,% anche il tasso di

crescita della Germania, Paese forte-


mente manifatturiero come il nostro e
che condivide la nostra sensibilità ri-

spetto alla domanda estera. Ciò indica,


peraltro, una riduzione significativa del
gap di crescita tra i due Paesi rispetto al

passato (dallo , del  allo , del
). Quindi non c’è stato alcun disa-

stro lo scorso anno che possa fornire


alibi per il futuro.
Suggerisco, comunque, alcuni

spunti di autocritica e riflessione.


Primo spunto. A posteriori si dimo-


stra che era possibile per il passato go-


verno proporre dall’inizio un deficit
per il  rassicurante per i mercati fi-

nanziari, pur approvando le due misu-


re bandiera del governo gialloverde,
tanto più che un anno fa si prevedeva

una crescita maggiore e quindi più


margini di bilancio. Ci saremmo ri-
sparmiati perdite iniziali sullo spread

e soprattutto i timori sulla sostenibilità
del nostro debito che, fino all’estate

scorsa quando fu effettuato l’ultimo


aggiustamento di bilancio, hanno agi-
to negativamente sulle aspettative di

investitori e consumatori e quindi sulla


crescita. Non ha aiutato in questo sen-
so lo schieramento politico avverso

che, al di là della normale dialettica po-


litica di opposizione, per fini politici si
adoperava in modo irresponsabile per

convincere il mondo che l’Italia stava


fallendo, quando nulla lo dimostrava.
Secondo spunto. La bassa crescita è

stata il frutto avvelenato di una politica


di austerità asservita ai dettami euro-


di Giovanni Tria


pei? Non sembra proprio. Se il deficit


concordato con la Commissione euro-
pea era del %, in fase di predisposizio-

ne sia della legge di bilancio  sia


della manovra di aggiustamento al-
l’inizio estate, e il deficit finale è stato di

circa , punti inferiore (oltre  miliardi


in meno), ciò significa che è mancata
una parte della spesa prevista. In parti-

colare è mancata la spesa programma-


ta per investimenti pubblici. Anche se i
dati Istat mostrano che questi investi-

menti appaiono in ripresa nel  ri-


spetto all’anno precedente, è chiaro che
vi è stato uno spazio di bilancio non uti-

lizzato. Si dimostra, quindi, che è dal la-


to dell’incapacità di spesa che si deve
lavorare e non continuare a invocare

vincoli europei come alibi alla mancan-


za di volontà di rimuovere gli ostacoli
normativi e operativi.

Terzo spunto. Si doveva forse uti-


lizzare lo spazio di bilancio non utiliz-
zato per investimenti aumentando di

più la spesa corrente, come avvenuto


negli anni precedenti con le varie poli-


tiche basate sui bonus? Non credo af-
fatto. Averlo evitato ha permesso al-

l’attuale governo di partire su basi di


bilancio e di fiducia dei mercati non
compromesse, anche se nella nota di

aggiustamento al Def che ha precedu-


to la legge di bilancio  ha dovuto
prevedere anche per il  un deficit

del ,% – lo , più alto di quello ef-


fettivo oggi indicato dall’Istat – per far
passare un obiettivo simile per il .

Di fronte alle prospettive attuali di re-


cessione, aggravate dall’epidemia glo-
bale del coronavirus, la tenuta su deficit

e debito nel  danno al governo mag-


gior forza di trattativa con la Commis-
sione e soprattutto maggior credibilità

davanti ai mercati. L’importante è che si
traggano lezioni dalle debolezze passate


  • come la rinuncia a eliminare gli osta-


coli agli investimenti pubblici – per non
ripetere gli errori, ma non si disperdano

neppure i provvisori risultati positivi.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

ARCELOR SCEGLIERÀ LA PENALE


L’ILVA VERSO UN FUTURO DI STATO


L’

accordo fra i commissari


straordinari dell’Ilva e
ArcelorMittal delinea un

percorso che in teoria re-
alizzerebbe a termine il

definitivo trasferimento


dell’impianto di Taranto alla multina-
zionale, ma invece pone le premesse

per una nazionalizzazione perché è


prevista la possibilità che, pagando
una penale di  milioni di euro, Ar-

celorMittal si sganci definitivamente


da un flusso inarrestabile di perdite.
L’accordo è stato raggiunto per la

convergenza delle motivazioni delle


parti di rimandare il redde rationem; il
governo non vuole che oggi ci sia la

deflagrazione della crisi di Taranto e


la multinazionale non vuole affronta-
re gli esiti negativi di una causa di re-

cesso, esiti quasi scontati stante una


magistratura che troppo spesso si è
comportata in modo non indipen-

dente e obiettivo. A novembre con il


nuovo accordo la riconsegna delle
chiavi al settore pubblico sarà sempli-

ce e inappellabile, ancorché costosa


(ma la penale è pari a solo / del free
cash flow  del gruppo e sarà più

che recuperata con l’aumento del va-


lore di borsa della società). Lakshmi
Mittal è un bravo imprenditore che

capisce quando ha fatto uno sbaglio e


cauterizza definitivamente le perdite.
La convergenza delle motivazioni

è stata realizzata presentando i line-
amenti di un piano industriale che è

una specie di libro dei sogni, ma tut-


ti, sindacati compresi, hanno conve-
nienza a far finta di crederlo fattibi-

le. Vediamone alcuni degli elementi


principali.
La principale ipotesi del piano è la

costruzione di un grande impianto di


riduzione diretta (Dri) che produr-
rebbe  milioni di tonnellate di preri-

dotto (“spugna di ferro”) con genera-


zione di CO inferiore a quella di un
equivalente produzione da ciclo inte-

grale; poiché non tutto il preridotto


può esser utilizzato negli altoforni e
convertitori a ossigeno esistenti oc-

corre anche costruire una nuova ac-


ciaieria con forni elettrici e ipotizzare
la vendita di preridotto a terzi. Il nuo-

vo sistema è anche più flessibile e


permette di far funzionare sempre gli
altoforni in modo ottimale (cioè a pie-

na capacità) e di compensare con i


forni elettrici le inevitabili variazioni
di domanda del mercato. Contempo-

raneamente, poiché i tre altoforni in


marcia si stanno avvicinando alla fine
della loro vita operativa e richiede-

ranno dei rifacimenti, si è prevista


anche la riattivazione dell’altoforno
, il più grande d’Europa, con investi-

menti complessivi di alcune centinaia


di milioni. Alla fine, l’assetto produt-
tivo sarebbe di circa  milioni di ton-

nellate (il doppio della attuale produ-
zione), il che consentirebbe un par-

ziale assorbimento della manodope-


ra in cassa integrazione. I nuovi
impianti (Dri e forni elettrici) richie-

dono molto meno personale del ciclo


integrale (agglomerazioni, cokerie,
altoforni); per ora non si è voluto

quantificare l’eccesso strutturale di


personale, ma una verifica con i sin-
dacati è prevista a maggio. Anche in

quell’occasione ArcelorMittal e sin-


dacati avranno la convenienza a far
finta di credere al futuro riassorbi-

mento del personale in eccesso per-


ché intanto non sarà la multinaziona-
le a doverne sopportare l’onere.

Tutto perfetto quindi? No, perché


gli enormi investimenti per realizzare
il nuovo assetto sono improbabili e

non redditizi. A novembre Arcelor-


Mittal non avrà alcuna certezza che
qualcun altro realizzerà davvero l’in-

vestimento nel Dri e che lo condurrà


per anni, fornendo il preridotto a un
prezzo così basso da rendere profitte-

voli gli impianti a valle; avrà quindi


buon gioco a sganciarsi. Un impianto
di riduzione diretta si basa su minera-

le di ferro, che a Taranto già arriva via


mare per alimentare gli altoforni,
trattato con gas naturale che invece

occorre far arrivare con un nuovo ga-
sdotto lungo  chilometri da Me-

lendugno (dove arriverà il Tap dall’Al-


bania). Nonostante l’esperienza di ri-


tardi e opposizioni nelle costruzioni


del Tap in Puglia si può anche imma-


ginare che fra alcuni anni il nuovo ga-
sdotto sia operativo; quello che non si

può immaginare è che il prezzo del


gas sia così basso da rendere possibile
economicamente produrre e vendere

preridotto.


Non a caso oggi i Paesi con impian-
ti Dri da gas naturale sono quelli dove

il gas abbonda: Iran, Russia, Arabia


Saudita, Messico e recentemente Al-
geria ed Egitto; c’è anche produzione

in India, ma prevalentemente con uti-


lizzo di carbone. Facendo bene i conti
si vede che costa meno portare il mi-

nerale, cioè un prodotto solido, dalle


miniere fino al posto dove il gas ab-
bonda, e poi produrre e trasportare il

preridotto dove lo si utilizza, piutto-


sto che trasportare un prodotto gas-
soso, eventualmente liquefatto, diret-

tamente dall’origine (Azerbaijan o li-


quefatto dal Medio Oriente) a una sin-
gola acciaieria; è pur vero che così si

perde la possibilità di utilizzare diret-


tamente in acciaieria un preridotto
caldo e risparmiare un po’ di energia,

ma alla fine i costi complessivi di tra-
sporto sono inferiori e si ha maggior

flessibilità per la pluralità dei clienti


finali. Trasportare metano con ga-
sdotti implica costi operativi e paga-

mento di diritti di transito e di utilizzo


del gasdotto, e quindi il prezzo del gas
non può esser mai così basso come

quando lo si utilizza direttamente a


bocca di pozzo. Non a caso in Europa
grandi impianti di Dri non esistono.

Si è fantasticato che imprenditori


privati dell’acciaio concorrerebbero
all’investimento di un nuovo impianti

di Dri; alla resa dei conti nessuno si


farà avanti perché ci vorrebbe una ga-
ranzia ventennale di prezzo irrisorio

del gas e non si vede chi possa darla


dato che la fornitura sarebbe in perdi-
ta. L’annosa vicenda di garantire un

prezzo agevolato dell’energia elettri-


ca per tener in vita il settore dell’allu-
minio in Sardegna è un buon esempio

di quanto sia difficile obbligare un


fornitore di energia a lavorare in per-


di Gianfilippo Cuneo


dita. Inoltre se l’accoppiata Dri/Accia-


ieria serve per poter facilmente ridur-
re la produzione in caso di domanda

insufficiente di laminati piani (è ne-
cessario che gli altoforni funzionino

“a tappo”), l’impossibilità per i nuovi


impianti di funzionare sempre a pie-
no regime penalizzerebbe ulterior-

mente la loro redditività.


Di fronte alle incertezze relative al-
l’impianto di Dri (io direi piuttosto

“certezze negative”) come si può im-


maginare che un privato razionale
come Mittal costruisca “a valle” una

nuova acciaieria e spenda centinaia di


milioni, comprendendo il rifacimento
dell’altoforno  e altri impianti, in una

città dove sindaco, cittadini e magi-


strati colgono ogni occasione per in-
tralciare la produzione e dichiarano

apertamente che vogliono far chiude-


re tutto il centro siderurgico (e per po-
co ci riuscivano anche con sequestri e

ingiunzioni)? Da notare che il lodevo-


le obiettivo di “decarbonizzare” non
viene raggiunto perché le emissioni di

CO comunque aumenterebbero ri-


spetto a oggi.
La realtà economica è che per i la-

minati piani in Europa lo squilibrio


strutturale fra capacità produttiva in-
stallata e effettiva domanda di merca-

to manterrà molto bassi e per anni i


prezzi dei prodotti finiti e non ci sarà
convenienza a realizzare nuovi im-

pianti anche se più efficienti dal punto
di vista energetico e di emissioni di

CO (come il Dri o la tecnologia di la-


minazione diretta di Arvedi); situa-
zione che potrebbe cambiare solo in

presenza di una forte carbon tax eu-


ropea, oggi però politicamente non
proponibile. Piuttosto che andare

avanti in un contesto di illogicità eco-


nomiche, irragionevolezze sindacali
e ostilità generalizzata, per Arcelor-

Mittal sarà meglio pagare una penale


e andarsene. Dopodiché l’Ilva tornerà
statale con eccesso di personale, di in-

vestimenti pubblici e di ammorta-


menti, con conseguenti perdite eter-
ne a carico dei contribuenti.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

L’ACCORDO


PREVEDE


UNA MULTA


DI 500 MILIONI,


CONVENIENTE


PER L’AZIENDA


IL SOLE 24 ORE,
3 NOVEMBRE
2019, PAGINA 6

Tra i vincitori
del Premio

Giornalistico


«Michele
Campione»

(la cerimonia si è


svolta domenica
nel foyer del

Teatro Petruzzelli


di Bari),
nella sezione

Fotografia,
è stato premiato

Rocco De


Benedictis per
il Fotoracconto

pubblicato su


Il Sole 24 Ore dal
titolo «La notte

dell’Ilva è la notte


di Taranto» come
parte integrante

del reportage


di Paolo Bricco.


(^6) L’inchiesta Domenica 3 Novembre 2019 Il Sole 24 Ore
La crisi dell’acciaieria e i progetti politici per una sua chiusura o ridimensionamento producono disorientamento e paura: in città si diffonde la chimera di una cassintegrazione per i prossimi quarant’anni
Acciaio al buio,la notte dell’Ilva
è la nottedi Taranto
Paolo BriccoDal TARANTOnostro inviato
Lcettabile ma sempre triste del Corvia-Cannata che sembra una versione ac-Settanta, un casermone lungo vialele di Roma, però con l’odore del mare.A Paolo VI, in una via secondariaPaolo VI, edilizia degli annisul quartiere popolare dido cala la luce del giornoto inizia alle cinque, quan-dell’Ilva. La notte di Taran-a notte di Taranto è la notte
che porta verso la campagna, trovi lamasseria Vaccarella. Nessuno neparla. Nessuno la ricorda più. Ma laVaccarella è stata uno dei cuori del-l’Italsider, il senso di una impresa diStato che produceva magari in perdi-ta e senz’altro aveva un rapporto in-
cestuoso e compromissorio con ipartiti politici e con i sindacati, ma che promuoveva l’arricchimento cul-turale dei suoi dipendenti e sviluppa-va un legame virtuoso con la comuni-tà. «Ogni tanto ripenso alle mostre diGiorgio de Chirico, alle coreografie di
Lindsay Kemp, ai monologhi di Car-melo Bene e ai concerti di Renzo Ar-bore. La Vaccarella non aveva un bu-dget, era finanziata a piè di lista» rac-conta Giovanni Guarino, Š‹ anni, ŒŽdei quali in Italsider prima come ope-raio e poi alla formazione, animatore
del Teatro Tatà al Rione Tamburi.to di cessione ai Riva e alla fine è statapresa in gestione - attraverso la fon-dazione Vivere Solidale, fra conflittie litigi - dai tre sindacati metalmecca-La Vaccarella era fuori dal contrat-
nici. Il primo buio non è ancora neropece e lascia scorgere nitido il profilodell’abbandono: l’auditorium, l’ele-gante foresteria dove alloggiavano idirigenti, la biblioteca, i campi datennis, il campo da calcio, la piscina.Qui è rimasta solo una palestra di
ginnastica e pugilato. A gestirla è Salvatore Cupri, classe “”••, vigilan-te in acciaieria fra il “”Ž“ e il “””Š. Iltardo pomeriggio si fa sera e la seraè prossima alla notte. E la notte ri-chiama i fantasmi. Di una storia diuomini e di donne, di acciaio e di fab-
brica, di amori e di dolori, di vita e dimala - cattiva - vita. «GianbattistaTedesco era il mio migliore amico»,dice Cupri all’improvviso. Tedescoera un ex carabiniere diventato ca-poturno della vigilanza dell’acciaie-ria, ucciso sotto casa, proprio qui nel
quartiere Paolo VI, la notte fra il ™ eil Œ ottobre “”‹”. Gli spararono i sica-ri della Sacra Corona Unita. All’Ital-sider alcune ditte impegnate a com-merciare in rottami ferrosi eranocontrollate dal clan di Antonio Mo-deo, detto il Messicano. L’anomalia
di Taranto e dell’Ilva è anche questa.Industrializzazione e, intorno, unasocietà maledettamente complicata.«Tremo di rabbia, a pensarci, a di-stanza di trent’anni», dice Cupri.Se la fabbrica rallenta,
rallenta e si fermaLa notte di Taranto è la notte dell’Ilva.Dai camini escono sbuffi di fumobianco. Nel buio si alzano dall’accia-ieria gigantesche lingue di fuoco. Leluci illuminano a giorno la cokeria, gli
altoforni e l’agglomerato. Scorgi la copertura del parco minerale e tichiedi a che cosa sarà servito spende-re Œœœ milioni di euro, se l’attuale ci-clo produttivo sarà ridimensionato odismesso.Alle dieci e mezza, alla portineria
D, iniziano ad entrare gli operai del turno della notte: ™Œ-Ž, dalle undici della sera alle sette del mattino. Dinotte, qui, lavorano in “.Šœœ: ”œœ ad-detti nell’area a caldo, •œœ nell’area afreddo e ™œœ nei servizi.Alessio Vezzoli, ž“ anni, si occupa
degli impianti. Alessio descrive gli ef-
fetti della cancellazione dello scudogiuridico ad Arcelor Mittal: «È comese i processi decisionali si fossero ral-lentati. Nessuno, a nessun livello,prende più decisioni. Tutti hanno pa-ura di avere, un giorno, problemi giu-diziari». Il tema dello scudo giuridico
fa il paio con il tema del mercato (ilcrollo della domanda in Europa) e della inefficacia del riassetto produt-tivo messo in atto da ArcelorMittal. La nuova amministratrice delegata,Lucia Morselli, ha trovato perdite per™,• milioni di euro al giorno, “œžmila
euro all’ora, ™” euro al secondo, in-clusi gli attimi di questa notte.rumori: qui, alla portineria D, senti inlontananza le pietre di calcare che,portate da un rullo che fruscia, fini-La notte dell’lva è fatta anche di
scono con un rumore di caduta conti-nua sul parco calcare. Alle ™Œ esatte,questo rumore scompare. E te ne ac-corgi. Un altro segnale della ridotta attività dell’impianto.Il sogno di andare in Cig
per mezzo secoloIntorno all’Ilva incomincia a conden-sarsi un sentimento buio di rasse-gnazione, che fa il paio con i progettipolitici di chiuderla o di ridurla signi-ficativamente. «Io credo ancora inquesta acciaieria e nelle tecnologie
con cui farla diventare pulita - assicu-ra Vezzoli - ma ormai due terzi di chilavora qui ti dice: chiudiamo tutto e andiamo in cassintegrazione perventi, trenta, quarant’anni».poco tempo fa la frase ripetuta osses-L’aria è di smobilitazione: fino a
sivamente ai delegati sindacali era«’ste l’incentive?», adesso è anche«’ste la pensione dell’amianto?»:«c’èl’incentivo?», «c’è la pensione del-l’amianto?», nella diffusa convinzio-ne che, con l’applicazione di una vec-chia norma destinata alle emergenze
da amianto, in ™mila potrebbero da un giorno all’altro andare in pensio-ne. Amianto o non amianto, qui a Ta-ranto il sogno proibito - di notte e digiorno - è quello di diecimila personetutte in capo all’amministrazione
straordinaria, soldi pubblici per farele bonifiche, sussidi per mezzo secoloe buona notte a tutti.buona. Fai il giro dei parcheggi di in-gresso dell’impianto, senti quel ru-more particolare di acciaieria in fun-La notte a Taranto, però, non è
zione e di grilli che friniscono negli uliveti vicini e ovunque vedi spazza-tura per terra. È così diffusa che ti chiedi se sia stata “prodotta” qui e non portata via o se sia stata portatada fuori e nessuno abbia pensato di rimediarvi. Fa impressione. Ogni im-
presa che si rispetti pulisce tutto in-torno allo stabilimento: anche se for-malmente spetta ad altri. Ogni opera-io che si rispetti non sporca. E, in ognicaso, se trova sporco intorno alla “sua” fabbrica pulisce. Lo fa da solo.Lo fa con i sindacati. È sempre stato
così. Ovunque. In Europa e in NordAmerica. È una regola base della so-cietà industriale.Prendere l’incentivo e tornare pescatoriTorni in città avendo ancora in bocca
il sapore ferroso dell’aria intorno al-l’impianto, ti siedi su una panchinache dà sul Mar Piccolo, senti l’aria delMediterraneo della notte, ne cogli ap-pieno nelle tue narici e con i tuoi pol-moni la diversità, la consistenza e
l’odore buono e ti fermi ad aspettareche i marinai escano, a metà dellanotte, con le loro barche. Taranto èanche questa. Per migliaia di anniuna comunità di pescatori e di agri-coltori. Poi la capitale industriale delMediterraneo. Nel “‹‹‹, ™”mila abi-
tanti. Nel “”‹•, ™•œmila abitanti.L’arsenale militare, la cantieristica,l’acciaio. Un processo impetuoso,
quasi violento. «I nostri nonni, bi-snonni, trisnonni facevano i pescato-ri. E, ora, anche noi siamo tornati afarlo», raccontano i fratelli Boccuni.Preparano le reti per uscire con la lo-ro barca, la Santa Lucia ™. Dice Ange-lo, la tuta e il cappellino del Milan ad-
dosso: «Se è duro uscire nella notte etornare all’alba? No, non è duro. È duro il caro carburante. È duro il mercato del pesce che c’ha i prezzi bassi. Non è duro lavorare». Suo fra-tello Francesco ha lasciato, dopo “Š anni, l’Ilva e ha il sorriso di chi ha
scelto di costruirsi una vita nuova:«Ho preso i “œœmila euro di incenti-vo. Ci abbiamo comprato la barca».Taranto come metafora,fra incuria ed eccellenzeLa notte dell’llva è la notte di Taran-
to. La notte di Taranto è fatta di im-magini improvvise, come le palme diPiazza Castello che, con la luce artifi-ciale, sembrano le palme del periodopiù disperato e tossico del pittore Mario Schifano. Lasci il centro e tornia Paolo VI. L’ospedale si chiama San
Giuseppe Moscati. Qui ti trovi davan-ti alla contraddizione di Taranto, cheè la contraddizione del Sud, che è lacontraddizione dell’Italia. Aspettiche faccia giorno in macchina, sullastrada. Perché non esiste un par-cheggio. La via è piena di buche e, ai
lati, è assiepata la sporcizia. Entrinella struttura. Vai al sesto piano. Nelreparto di oncologia diretto da Sal-vatore Pisconti trovi non solo com-petenza e umanità, ma anche orga-nizzazione ed efficienza. Ha ™œ posti
letto. Passano da qui “œœ pazienti algiorno. Pisconti, •” anni, è un uomomite e attento. Sa pesare il valore del-le parole: «Esiste un nesso causalefra l’acciaieria e la malattia. È chiaroche conta molto lo stile di vita. Mal’ambiente è determinante. Nessuno
lo nega più. Al di là delle posizioni suche cosa capiterà, o su che cosa siabene che capiti, all’acciaieria, oggi ildibattito su come conciliare salute eoccupazione è, da questo punto di vi-sta, un dibattito civile».Nella notte di Taranto che si sta fa-
cendo giorno, almeno questo ele-mento di chiarezza è stato raggiunto.Pisconti indica una finestra: «Nelle notti i nostri pazienti vedono da que-sta finestra l’acciaieria. È una provanon semplice. La notte amplifica isentimenti, le paure e il dolore. Tu già
non stai bene. Guardi fuori. E, nel bu-io, vedi le ciminiere illuminate».La notte che perduranelle animeDa Paolo VI torni alla Città Vecchia. L’arcivescovo di Taranto Filippo San-
toro è anche presidente della Com-missione per i problemi sociali, il la-voro e la custodia del creato dellaConferenza Episcopale Italiana: «Unanno fa i vertici europei del gruppo mi assicurarono che il mercato euro-
peo e Taranto erano essenziali. Che non avrebbero mai licenziato, ricor-rendo in caso di necessità agli am-mortizzatori sociali. Che avrebbero usato le migliori tecnologie tradizio-nali nell’area a caldo».Il contesto è radicalmente cam-
biato. Il piano originario non hafunzionato. E, ora, bisognerà verifi-care quale mandato la famiglia Mit-tal, azionista di controllo, ha confe-rito a Morselli. Con chissà quali rica-dute dirette per Taranto sulla occu-pazione e sul reddito delle famiglie
e per l’economia italiana in terminidi Pil cancellato e di mancate forni-ture alla nostra manifattura. «Nonva bene. C’è una fragilità dell’insie-me, fra politica e impresa, che pre-occupa molto», riflette Santoro. Ma,al di là delle decisioni di ArcelorMit-
tal e delle contromisure della politi-ca, qui il problema non è solo quellodei corpi - la salute - , ma è anchequello dell’anima della città. «Inquesto momento - nota Santoro - cisono esplosioni emotive favorevolialla chiusura dell’impianto. E si ra-
dica l’idea della possibilità, anzi del-la auspicabilità, di una cassintegra-zione di dieci, venti, trenta, quaran-t’anni come via di uscita. Tutto que-sto non è né razionale né sostenibileeconomicamente per i conti pubbli-
ci. E, poi, non è dignitoso. La perso-na si realizza nell’opera. È sbagliatoalimentare una mentalità che vive diespedienti».E appena fuori dall’arcivescovado,ormai alla luce piena del giorno, ti rendi conto che la notte di Taranto -
nella realtà delle cose e nei cuori dellepersone - rischia di non finire più© RIPRODUZIONE RISERVATA
REPORTAGEViaggio nella capitale industriale del Sud
L’acciaieria.Veduta dello stabilimento siderurgico ArcelorMittal (ex Ilva) dal ponte
della statale Appia, vicino alla Direzione della fabbrica
FOTORACCONTO DI ROCCO DE BENEDICTIS
Ai cancelli.Alessio Vezzoli, addetto agli impianti, all’ininizio del turno di notte , all’ingresso della
portineria D dell’acciaieria
La sorte della Vaccarella.L’antico centro culturale e ricreativo dell’ex Italsider è
oggi del tutto abbandonato, con l’eccezione di una palestra per ginnastica e pugilato
Camera con vista acciaieria.Salvatore Pisconti, primario di oncologia
al San Giuseppe Moscati di Taranto
Dalla fabbrica alla pesca.I fratelli Boccuni con la loro barca Santa Lucia 2 acquistata anche con gli incentivi
all’esodo dell’Ilva
L'impianto è come paralizzato dall’elimi-nazione
dello scudo giuridico: nessuno decide più
Il fallimen-to indu-striale di ArcelorMit-tal: la nuova
ad Morselli ha trovato un’azienda che brucia 29 euro al secondo
FilippoSantoro.Arcivescovodi Taranto e presidente della Commissione problemi sociali
e lavoro dellaConferenza episcopale italiana
Giovanni Guarino.Animatoredel TeatroTàtà al Rione Tamburi, a ridosso dello
stabilimento siderurgico

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