La Stampa - 09.03.2020

(Wang) #1

.


UN PIANO UE


IN SOCCORSO


DELL’ITALIA


TUTELARE


I DIRITTI


DEL PAZIENTE


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LA TIRATURA DI DOMENICA 8 MARZO 2020


È STATA DI 168.337 COPIE


Lo stato di emergenza di sanità pubblica in
cui si trova ad operare il Servizio Sanitario
Nazionale porta alla luce una questione di
particolare difficoltà nel lavoro dei medici e
delle istituzioni sanitarie, per ora solo nelle
Regioni maggiormente colpite dalla epide-
mia di Covid-19.
Si tratta del problema delle scelte da opera-
re nel fornire ai pazienti le prestazioni medi-
che, quando le risorse disponibili in quel
momento siano insufficienti rispetto al nu-
mero di coloro che ne hanno necessità. Si
usa dire -non solo nel campo della salute-
che si fanno scelte di priorità. E l’elenco del-
le priorità attira condivisione, fino a che
non si pensa che ogni priorità implica delle
posteriorità e spesso anche dei rinvii tanto
lunghi da trasformarsi in dinieghi.
Simili scelte avvengono quotidianamen-
te nelle situazioni di ordinario funziona-
mento dei servizi. Si chiama triage: operato
necessariamente in zone di guerra o nelle
catastrofi naturali, quando gran numero di
feriti giunge ai medici e occorre decidere
chi trattare per primo; oppure, meno dram-
maticamente, lo vediamo all’arrivo al Pron-
to Soccorso, quando viene assegnato il codi-
ce colore secondo le urgenze. Le scelte im-
plicano spesso decisioni difficili sia sul pia-
no professionale, sia su quello umano per il
loro peso, e diventano gravissime quando
non si tratta della più o meno lunga attesa,
ma ne va della vita del paziente.
La loro gestione come episodi individuali
consente di sottrarre la questione alle emo-
zioni e ai conflitti etici e culturali che accom-
pagnano il dibattito pubblico. E infatti poco
se ne è parlato in Italia fuori dell’ambito pro-
fessionale medico. È probabile però che il si-
lenzio non duri, poiché l’emergenza sanita-
ria nazionale prodotta dal dilagare del virus
mette in luce la necessità ineludibile di sce-
gliere, tra i pazienti, quali ricoverare nei re-
parti specializzati per le cure intensive e a
quali rifiutare la terapia di cui hanno biso-
gno. Già ora in certe aree -e in tutto il territo-
rio nazionale se l’epidemia non si arresta- i
letti per la terapia intensiva non sono suffi-
cienti rispetto a quel 10% di infettati sinto-
matici che potrebbero averne bisogno. E
non si tratta solo dei malati infettati da quel
virus; già ora gli interventi chirurgici non ur-
genti che richiedono poi terapia intensiva,
sono rinviati. E si rischia di veder razionato
l’accesso agli ospedali, non solo ai reparti di
terapia intensiva.
Il silenzio che fino ad ora ha regnato al
livello della opinione pubblica è però stato
rotto dall’intervento della Società degli ane-
stesisti e rianimatori, che ha emanato una
raccomandazione diretta ai medici più di-
rettamente implicati nella applicazione del-
le cure intensive. Premessa la previsione di
una possibile e prossima saturazione delle
strutture di terapia intensiva e della conse-
guente e inevitabile necessità di scegliere a
chi assicurarla e a chi negarla, la Società ne-
ga la ragionevolezza del criterio del first co-
me first served e suggerisce invece criteri di
adeguatezza, legata alla “maggior speran-
za di vita”, sostanzialmente all’età dei pa-
zienti: pazienti in competizione rispetto ai
letti disponibili, insufficienti per tutti.
L’intervento della Società è apprezzabile
nella misura in cui affronta una questione
che i medici devono risolvere nei loro repar-
ti, nei loro ospedali. La Società in tal modo
si manifesta accanto ai suoi associati, che
ora sono in grave difficoltà. La natura del te-
ma, la sua serietà e l’assenza di un preceden-
te dibattito pubblico pongono tuttavia alcu-
ni problemi, che l’emergenza in corso impe-
disce di lasciar sotto silenzio e che dovran-
no poi essere discussi nella loro portata ge-
nerale.
Innanzitutto, c’è da chiedersi chi debba in-
dicare i criteri di scelta. Qui abbiamo visto
esprimersi una privata associazione profes-
sionale (anche se solo nella forma della rac-
comandazione). Ma trattandosi di questio-
ne attinente alla deontologia medica, si po-
trebbe pensare opportuna invece la voce
della Federazione degli Ordini dei medici.
In fondo da essa promana il Codice di deon-
tologia medica, che al suo articolo 6 impe-
gna i medici ad agire secondo i principi di ef-
ficacia e appropriatezza, assicurando l’uso
ottimale delle risorse pubbliche e private.
L’uso ottimale delle risorse disponibili impo-
ne certo di evitare gli sprechi, ma richiede
anche che le risorse siano utilizzate al me-
glio, cioè per la maggiore utilità generale.
Oppure, come è stato pochi anni orsono
per la somministrazione degli scarsi e costo-
sissimi nuovi farmaci per l’epatite C, ad in-
tervenire potrebbe essere l’autorità sanita-
ria in sede centrale. O più correttamente,
trattandosi di regolamentare un diritto rico-
nosciuto a tutti i cittadini dalla Costituzione
e dalla legge sul Servizio Sanitario Naziona-
le, dovrebbe essere la legge a provvedere.
Qualunque sia la soluzione migliore,
l’emergenza nazionale che è in corso, con
l’affollarsi di tanti malati agli ospedali e ai re-
parti di terapia intensiva, alla ricerca di rico-
vero e salvezza, imporrà di affrontare il pro-
blema, sottraendolo alle inevitabili contro-
versie che sorgeranno nei casi concreti di
malati cui le cure siano negate. E portando-
lo al livello della sua gravità giuridica e so-
ciale.

LI


LETTERE


& IDEE


VLADIMIRO ZAGREBELSKY


In questi giorni è in discussione presso la
commissione Lavoro del Senato il disegno
di legge che mira al riconoscimento e alla co-
struzione di una rete di sostegno per la figu-
ra del caregiver familiare, ovvero quella
“persona che gratuitamente assiste e si
prende cura in modo continuativo di un pro-

prio congiunto gravemente malato”. A que-
sta figura, Adapt, la scuola fondata da Mar-
co Biagi, dedica il primo Bollettino Speciale
del 2020, dal titolo “Non solo i familiari. Per
un mercato del lavoro di cura”, curato da Ire-
ne Tagliabue. Il volume raccoglie le propo-
ste di legge susseguitesi negli anni. "Non è

la prima volta che in Italia - spiegano gli
esperti di Adapt - si cerca di garantire per
legge maggiori tutele nei confronti di chi è
chiamato ad accudire un parente non auto-
sufficiente. Oggi l’esercito invisibile dei care-
giver familiari ha raggiunto quota 7 milioni,
un numero destinato a crescere ".

Q


uando le risorse disponibili in quel momento siano
insufficienti rispetto al numero di coloro che ne han-
no necessità. Si usa dire -non solo nel campo della
salute- che si fanno scelte di priorità. E l’elenco del-
le priorità attira condivisione, fino a che non si pen-
sa che ogni priorità implica delle posteriorità e spes-
so anche dei rinvii tanto lunghi da trasformarsi in dinieghi.
Simili scelte avvengono quotidianamente nelle situazioni di
ordinario funzionamento dei servizi. Si chiama triage: operato
necessariamente in zone di guerra o nelle catastrofi naturali,
quando gran numero di feriti giunge ai medici e occorre decide-
re chi trattare per primo; oppure, meno drammaticamente, lo
vediamo all’arrivo al Pronto Soccorso, quando viene assegnato
il codice colore secondo le urgenze. Le scelte implicano spesso
decisioni difficili sia sul piano professionale, sia su quello uma-
no per il loro peso, e diventano gravissime quando non si tratta
della più o meno lunga attesa, ma ne va della vita del paziente.
La loro gestione come episodi individuali consente di sottrar-
re la questione alle emozioni e ai conflitti etici e culturali che ac-
compagnano il dibattito pubblico. E infatti poco se ne è parlato
in Italia fuori dell’ambito professionale medico. È probabile pe-
rò che il silenzio non duri, poiché l’emergenza sanitaria nazio-
nale prodotta dal dilagare del virus mette in luce la necessità
ineludibile di scegliere, tra i pazienti, quali ricoverare nei repar-
ti specializzati per le cure intensive e a quali rifiutare la terapia
di cui hanno bisogno. Già ora in certe aree -e in tutto il territorio
nazionale se l’epidemia non si arresta- i letti per la terapia inten-
siva non sono sufficienti rispetto a quel 10% di infettati sintoma-
tici che potrebbero averne bisogno. E non si tratta solo dei mala-
ti infettati da quel virus; già ora gli interventi chirurgici non ur-
genti che richiedono poi terapia intensiva, sono rinviati. E si ri-
schia di veder razionato l’accesso agli ospedali, non solo ai re-
parti di terapia intensiva.
Il silenzio che fino ad ora ha regnato al livello della opinio-
ne pubblica è però stato rotto dall’intervento della Società degli
anestesisti e rianimatori, che ha emanato una raccomandazio-
ne diretta ai medici più direttamente implicati nella applicazio-
ne delle cure intensive. Premessa la previsione di una possibile
e prossima saturazione delle strutture di terapia intensiva e del-
la conseguente e inevitabile necessità di scegliere a chi assicu-
rarla e a chi negarla, la Società nega la ragionevolezza del crite-
rio del first come first served e suggerisce invece criteri di ade-
guatezza, legata alla “maggior speranza di vita”, sostanzial-
mente all’età dei pazienti: pazienti in competizione rispetto ai
letti disponibili, insufficienti per tutti.
L’intervento della Società è apprezzabile nella misura in cui
affronta una questione che i medici devono risolvere nei loro re-
parti, nei loro ospedali. La Società in tal modo si manifesta ac-
canto ai suoi associati, che ora sono in grave difficoltà. La natu-
ra del tema, la sua serietà e l’assenza di un precedente dibattito
pubblico pongono tuttavia alcuni problemi, che l’emergenza in
corso impedisce di lasciar sotto silenzio e che dovranno poi esse-
re discussi nella loro portata generale.
Innanzitutto, c’è da chiedersi chi debba indicare i criteri di
scelta. Qui abbiamo visto esprimersi una privata associazione
professionale (anche se solo nella forma della raccomandazio-
ne). Ma trattandosi di questione attinente alla deontologia me-
dica, si potrebbe pensare opportuna invece la voce della Federa-
zione degli Ordini dei medici. In fondo da essa promana il Codi-
ce di deontologia medica, che al suo articolo 6 impegna i medici
ad agire secondo i principi di efficacia e appropriatezza, assicu-
rando l’uso ottimale delle risorse pubbliche e private. L’uso otti-
male delle risorse disponibili impone certo di evitare gli spre-
chi, ma richiede anche che le risorse siano utilizzate al meglio,
cioè per la maggiore utilità generale.
Oppure, come è stato pochi anni orsono per la somministra-
zione degli scarsi e costosissimi nuovi farmaci per l’epatite C,
ad intervenire potrebbe essere l’autorità sanitaria in sede cen-
trale. O più correttamente, trattandosi di regolamentare un di-
ritto riconosciuto a tutti i cittadini dalla Costituzione e dalla
legge sul Servizio Sanitario Nazionale, dovrebbe essere la leg-
ge a provvedere.
Qualunque sia la soluzione migliore, l’emergenza nazio-
nale che è in corso, con l’affollarsi di tanti malati agli ospedali
e ai reparti di terapia intensiva, alla ricerca di ricovero e sal-
vezza, imporrà di affrontare il problema, sottraendolo alle ine-
vitabili controversie che sorgeranno nei casi concreti di mala-
ti cui le cure siano negate. E portandolo al livello della sua gra-
vità giuridica e sociale. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

STEFANO STEFANINI


Contatti
Le lettere vanno inviate a
LA STAMPAVia Lugaro 15, 10126 Torino
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Anna Masera
Garante del lettore: [email protected]

Il numero del giorno

7 milioni

I caregiver in attesa di una legge che garantisca più tutele

S


e l’invito a stare a casa il
più possibile, a ridurre le
frequentazioni sociali il
più possibile, a osserva-
re le norme igieniche più
opportune non dovesse
essere osservato dai nostri cittadi-
ni, è evidente che l’ultimo, l’estre-
mo provvedimento sarebbe l’impo-
sizione di un coprifuoco generaliz-
zato e davvero paralizzante per l’in-
tera nazione.
Gli italiani sono accusati, purtrop-
po spesso a ragione, di mancare di
senso civico, di quella solidarietà
nei confronti degli altri e nei con-
fronti del loro Stato che costituisce
il fondamento morale di una nazio-
ne. E’ vero, però, che anche in un re-
cente passato, per esempio quello
caratterizzato dalla lotta al terrori-
smo negli anni ’70 del secolo scor-
so, hanno dimostrato, invece, di sa-
per reagire, con fermezza d’animo

e serietà di comportamenti, al peri-
colo di compromettere le nostre li-
bertà e la nostra democrazia.
Ora, si tratta di essere disposti a sa-
crificare un pezzetto di quelle no-
stre libertà per difendere un bene al-
trettanto importante, quello della
nostra salute e di quella delle perso-
ne a cui vogliamo bene. Per sconfig-

gere non solo un dilagante virus, ma
anche le troppo ingiuste accuse che
il mondo aldilà dei nostri confini ci
addebita così facilmente per poter,
così facilmente, respingere quelle
che lo colpiscono. Per raggiungere
tale obbiettivo spetta al governo
emanare direttive chiare e coerenti,

alla popolazione evitare alibi per
sfuggire al loro rispetto, all’informa-
zione distinguere l’obbligo di segna-
lare l’allarme dalla tentazione di dif-
fondere l’allarmismo.
L’andamento del contagio in Ci-
na pare confermare l’efficacia dell’i-
solamento nel ridurre il numero de-
gli infettati da questo nuovo virus
che sta dilagando dall’Est del piane-
ta a tutto l’Occidente. Certamente i
regimi autoritari, come quello che
governa quel grande Paese, hanno
armi più efficaci per convincere i
propri cittadini ad osservare le di-
sposizioni emanate dal governo. Se
non siamo disponibili a barattare le
nostre libertà democratiche nem-
meno con la nostra sicurezza, persi-
no della nostra salute, abbiamo
una sola strada, quella che sostitui-
sce all’obbedienza imposta dal pote-
re di chi comanda la responsabilità
e l’orgoglio di un dovere civico im-
posto da noi stessi. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Una stangata senza pietà sta per abbattersi
sull’economia italiana. La “chiusura” della
regione più produttiva e dinamica del Pae-
se, più altre 14 province nella stessa catego-
ria, lascerà un segno profondo. Si misura
nel dramma delle imprese costrette a fer-
marsi, nello smarrimento delle famiglie,
nel deserto di strade e piazze, negli effetti a
catena che si autoalimentano – non in im-
materiali punti di Pil. Il crollo dell’econo-
mia nel nostro Paese sarebbe anche un col-
po di grazia per l’Europa.
L’Europa non può permettersi l’affonda-
mento italiano per lucido calcolo e sano
egoismo - non per generosità, non per soli-
darietà. I motivi sono semplici. Economico:
più penalizzata sarà l’Italia, più severa sarà
la pressoché inevitabile recessione euro-
pea. Politico: la tempesta sovranista da un’I-
talia in ginocchio soffierebbe violentemen-
te Oltralpe; il momento in cui la gente co-
mincia a domandarsi “a che serve l’Unione
(europea)”, l’Unione è finita. Pratico: pren-
dendo per le corna il caso italiano, l’Ue si
prepara a quelli che potrebbero insorgere a
breve. Le cifre del coronavirus parlano chia-
ro. Se l’Italia piange, non molte Sparte rido-
no.
Il contagio non è solo trasmissione del vi-
rus; è quello che attraversa il tessuto econo-
mico, politico, sociale e scientifico del mon-
do. L’interdipendenza è particolarmente fit-
ta nei contenitori europeo e occidentale.
Può darsi che l’Italia resto un caso relativa-
mente circoscritto, che l’esperienza sulla no-
stra pelle permetta di contenere efficace-
mente il coronavirus nel resto dell’Europa e
attraverso l’Atlantico. Dobbiamo augurar-
celo perché le disgrazie altrui diventano pre-
sto le nostre. Il nostro settore turistico era
già in sofferenza da gennaio per la contra-
zione cinese prima ancora che il Covid-19 ci
colpisse direttamente.
La crisi italiana del coronavirus chiama in
causa innanzitutto l’Unione europea. Da
Bruxelles è venuta una mano tesa sul deficit
di bilancio; Paolo Gentiloni ha parlato di
“campanello d’allarme” suonato da Co-
vid-19 per interventi su sistema sanitario, li-
quidità delle imprese e occupazione”; sul ta-
volo dell’Eurogruppo che si riunirà il 16
marzo ci sono tutti gli strumenti previsti dai
Trattati per interventi d’emergenza. Sono
segnali importanti ma non bastano.
Il problema causato dall’epidemia, italia-
no oggi, non sappiamo se e di quanti doma-
ni, non è il bilancio non è lo spread non è
Piazza Affari – è l’economia reale. E’ il gua-
sto meccanico di una Formula 1, normal-
mente competitiva, che si ferma di traverso
sulla pista a metà del Gran Premio e rischia
l’incidente a catena. Quella macchina va fat-
ta ripartire al più presto. Servono investi-
menti, crediti, compensazioni per imprese
e famiglie, liquidità, alleggerimenti fiscali.
L’Italia deve rimboccarsi le maniche. La
solidarietà comincia a casa, cestinando i ri-
dicoli egoismi regionali che confondono
epidemiologia e geografia, ma serve una so-
lida spalla europea: un piano d’emergenza -
e soldi. La Commissione von der Leyen ave-
va fatto altri piani, anche importantissimi
come il “Green Deal”, ma adesso la priorità
è Covid-19. Se Bruxelles vuole essere “geo-
politica” deve essere capace di rispondere
alle emergenze – l’altra è quella dei rifugiati
siriani.
Se la prospettiva di un piano economico
anti-coronavirus fa inorridire la lega dei
Paesi “frugali” vuol dire non sanno vedere
al di là del proprio naso. L’Ue, e tutti i part-
ner, hanno interesse ad evitare un collasso
economico italiano innanzitutto per sé stes-
si; in secondo luogo per l’Italia. Così come
fecero gli Stati Uniti del dopoguerra nei con-
fronti dell’Europa. Allora la situazione era
ben più grave, ma un po’ della stessa lungi-
miranza (anche da Washington: bastereb-
be eliminare qualche dazio) non guastereb-
be.

La Stampa
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fax 011 6701680.


L’


Europa non può permettersi
l’affondamento italiano per
lucido calcolo e sano egoi-
smo - non per generosità, non
per solidarietà. I motivi sono
semplici. Economico: più pe-
nalizzata sarà l’Italia, più severa sarà la
pressoché inevitabile recessione europea.
Politico: la tempesta sovranista da un’Ita-
lia in ginocchio soffierebbe violentemente
Oltralpe; il momento in cui la gente comin-
cia a domandarsi “a che serve l’Unione (eu-
ropea)”, l’Unione è finita. Pratico: prenden-
do per le corna il caso italiano, l’Ue si prepa-
ra a quelli che potrebbero insorgere a bre-
ve. Le cifre del coronavirus par-
lano chiaro. Se l’Italia piange,
non molte Sparte ridono.
Il contagio non è solo tra-
smissione del virus; è quello
che attraversa il tessuto econo-
mico, politico, sociale e scienti-
fico del mondo. L’interdipen-
denza è particolarmente fitta
nei contenitori europeo e occidentale. Può
darsi che l’Italia resto un caso relativamen-
te circoscritto, che l’esperienza sulla nostra
pelle permetta di contenere efficacemente
il coronavirus nel resto dell’Europa e attra-
verso l’Atlantico. Dobbiamo augurarcelo
perché le disgrazie altrui diventano presto
le nostre. Il nostro settore turistico era già
in sofferenza da gennaio per la contrazione
cinese prima ancora che il Covid-19 ci col-
pisse direttamente.
La crisi italiana del coronavirus chiama
in causa innanzitutto l’Unione europea. Da
Bruxelles è venuta una mano tesa sul defi-
cit di bilancio; Paolo Gentiloni ha parlato
di “campanello d’allarme suonato da Co-
vid-19 per interventi su sistema sanitario,

liquidità delle imprese e occupazione”; sul
tavolo dell’Eurogruppo che si riunirà il 16
marzo ci sono tutti gli strumenti previsti
dai Trattati per interventi d’emergenza. So-
no segnali importanti ma non bastano.
Il problema causato dall’epidemia, italia-
no oggi, non sappiamo se e di quanti doma-
ni, non è il bilancio non è lo spread non è
Piazza Affari – è l’economia reale. E’ il gua-
sto meccanico di una Formula 1, normal-
mente competitiva, che si ferma di traverso
sulla pista a metà del Gran Premio e rischia
l’incidente a catena. Quella macchina va
fatta ripartire al più presto. Servono investi-
menti, crediti, compensazioni per imprese
e famiglie, liquidità, alleggerimenti fiscali.
L’Italia deve rimboccarsi le maniche. La so-
lidarietà comincia a casa, cesti-
nando i ridicoli egoismi regiona-
li che confondono epidemiolo-
gia e geografia, ma serve una so-
lida spalla europea: un piano
d’emergenza - e soldi. La Com-
missione von der Leyen aveva
fatto altri piani, anche importan-
tissimi come il “Green Deal”, ma
adesso la priorità è Covid-19. Se Bruxelles
vuole essere “geopolitica” deve essere capa-
ce di rispondere alle emergenze – l’altra è
quella dei rifugiati siriani.
Se la prospettiva di un piano economico an-
ti-coronavirus fa inorridire la lega dei Paesi
“frugali” vuol dire che non sanno vedere al di
là del proprio naso. L’Ue, e tutti i partner, han-
no interesse a evitare un collasso economico
italiano innanzitutto per se stessi; in secondo
luogo per l’Italia. Così come fecero gli Stati
Uniti del dopoguerra nei confronti dell’Euro-
pa. Allora la situazione era ben più grave, ma
un po’ della stessa lungimiranza (anche da
Washington: basterebbe eliminare qualche
dazio) non guasterebbe. —
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SEGUE DALLA PRIMA PAGINA


Caro meridionale irresponsabile,
scrivo a te, a te che sabato sera sei anda-
to in stazione, borsone in spalla, e alla che-
tichella ti sei messo su un treno e sei parti-
to. Scrivo a te, perché è importante che tu
capisca il peso e l’insensatezza della tua
scelta.
Ieri sera, tu e altri come te, siete “scappa-
ti” dal Nord prima che il pastore chiudesse
il recinto, e il gregge alla fine si era dimez-
zato (una iperbole necessaria per farvi ca-
pire l’errore). Dove siete andati? Perché
siete scappati, pensando che fosse giusto
tornare da mamma’ per stare al calduccio
delle vostre case?
Prima il Nord è tutta una bellezza, Mila-
no è fantastica, ci dà il lavoro, ogni cosa
funziona a meraviglia, gli ospedali sono ec-
cellenti, la gente è educata, le università
sono efficienti e offrono servizi impeccabi-
li, mica come da noi che è tutto allo sban-
do, e poi sparite come se un bravo presti-
giatore vi avesse ingoiato nel suo cilindro.
Un tipo imbufalito su Facebook scriveva
oggi: «Siete dei mentecatti. I meridionali
che stanno tornando al Sud tornano a ca-
sa, dalle loro famiglie, non fanno niente di
male. Informatevi prima di sparare stron-
zate».
A questo signore, e a quelli che la pensa-
no come lui, vorrei ricordare che ogni in-
consapevole infettato ne infetta altri due,
tre o quattro a sua volta. È questo il bene
che si vuole alle famiglie? E ora mi rivolgo
a voi, cari genitori di meridionali irrespon-
sabili: i vostri figli passano mesi e mesi lon-
tano dalle vostre braccia colme d’amore,
quando stanno nelle città al Nord per stu-
diare, e non necessitano del vostro confor-
to, o della pasta al pomodoro preparata
nelle vostre cucine. Sono tranquilli, basta
una telefonata. Perché proprio adesso,
che il momento è difficile, e richiede uno
sforzo da parte di tutti, sentono questa ur-
genza che potrebbe portare a conseguen-
ze anche drammatiche? Chi controlla le lo-
ro quarantene volontarie? Siamo sicuri
che avranno tutti la responsabilità necessa-
ria di isolarsi e prendere le dovute precau-
zioni per salvaguardare anche gli altri? E
questo vale allo stesso modo per pendolari
e persone mature, che alla stregua dei più
giovani non hanno perso tempo per rag-
giungere i propri nuclei familiari.
A te, ancora a te, caro meridionale irre-
sponsabile, vorrei dire quanto segue.
Quando il Nord ti ha accolto permetten-
doti di realizzare il tuo futuro (ovvero, ciò
che il Sud spesso ti ha negato), non ti ha
chiesto conto di niente. Ti ha aperto la por-
ta. E ora lo ripaghi in questo modo? La reto-
rica del meridionale che eccelle in ogni am-
bito, e che diventa bravo avvocato, magi-
strato, medico, e illumina con la sua alle-
gria e savoir-faire il triste Nord, ora va an-
cora bene, ma fino a un certo punto. Non
sono tutti Falcone e Borsellino, ce lo avete
dimostrato ieri sera. La retorica del “siamo
meglio noi”, “abbiamo più cuore”, “che ne
sanno al Nord del nostro essere solidali e
gentili”, ieri mattina al nostro risveglio ha
mostrato i suoi limiti.
E ancora a te, caro meridionale irrespon-
sabile, vorrei ricordare che per tutte le scu-
santi che potrai portare a tua difesa, dopo
la tua fuga di ieri sera, saranno invalidate
in blocco, perché in guerra vale solo una re-
gola: il soldato scorretto disonora la sua
gente. Ma lo Stato in questo caso ha fallito
in una missione: regolare il flusso di una
transumanza prevedibile. Prima dell’ulti-
mo decreto avrebbe dovuto pensare alle
eventuali disobbedienze, mettendo in at-
to più controlli, e dunque è colpevole in
parte.
Sì, caro meridionale irresponsabile, do-
vevi restare a casa. Aiutare il Nord che ti ha
aiutato. E già immagino le tue obiezioni:
non avrei potuto aiutare il nord rimanen-
do a casa. E invece sì. Anche gli esempi han-
no una loro forza, e nella solidarietà del
momento si creano anelli di una solidarie-
tà più grande.
E già che ci sono, mentre ti scrivo, cer-
cando di usare la mia comprensione (e cre-
dimi, ce la sto mettendo tutta per giustifi-
carti, ma non ci riesco fino in fondo), mi
viene da riflettere su un’altra questione:
l’indignazione di quelli che si rifiutano di
capire le motivazioni di altri che, con al-
trettanta ostinazione, fanno di tutto per
aiutare i disperati che bussano alle nostre
porte (e porti). Popoli che davvero hanno
la disperata “necessità di scappare”. Un po-
sto per tutti: la Siria. La guerra, l’orrore, le
torture. A voi è bastato meno. L’indicazio-
ne del Governo a restare a casa per evitare
che il sistema sanitario nazionale subisse
un collasso. E dunque ditemi, cari meridio-
nali come me, siete ancora del parere che
avete ragione? Per fortuna c’è una parte
del sud Italia che la pensa in un altro mo-
do, e sono quelli rimasti lì, al nord, il triste
nord (ma poi perché triste?), ad aspettare.
Non sono più scemi di voi, no, sono solo
più responsabili, e sapevano che andarse-
ne così, senza ragionarci sopra, si sarebbe
rivelato un altro immenso e superficiale er-
rore.
P. S. Bastava poco, davvero poco. Qual-
che settimana. E invece non avete capito
niente. Ma con quale coraggio poi tornere-
te al Nord? E adesso lo so, piogge di criti-
che e sermoni, ma dal canto mio ho sem-
pre pensato che essere coerenti con ciò
che pensiamo imponga anche un prezzo al-
to da pagare. E io sono già pronta, con il
portafoglio in mano.

In momenti d’emergenza come questi,
uno Stato non può vincere senza i suoi cit-
tadini. Il nemico è insidioso, ma non è in-
vincibile, perché il pericolo non è tanto la
mortalità causata dalla malattia, quanto
che la rapidità e l’estensione del suo diffon-
dersi impediscano al nostro servizio sanita-
rio di garantire ai malati cure adeguate e
tempestive. Ecco perché il compito di di-
fendere i nostri cari, soprattutto quelli più
deboli, i vecchi genitori, i nonni è affidato
soprattutto a noi stessi, alla nostra respon-
sabilità nel seguire, con il massimo rigore
e senza incosciente superficialità, le indi-
cazioni di prevenzione che ci vengono da-
te.
La chiusura dell’intera Lombardia e il cu-
scinetto di difesa dal virus costituito dall’a-
nalogo provvedimento che riguarda le pro-
vince piemontesi, venete ed emiliane con-
finanti con quella regione costituiscono il
segnale, drammatico e significativo, di
quanto sia grave l’allarme lanciato dal go-
verno e dagli scienziati che ne suggerisco-
no l’azione di contenimento del contagio.
Se l’invito a stare a casa il più possibile, a ri-
durre le frequentazioni sociali il più possi-
bile, ad osservare le norme igieniche più
opportune non dovesse essere osservato
dai nostri cittadini, è evidente che l’ulti-
mo, l’estremo provvedimento sarebbe l’im-
posizione di un coprifuoco generalizzato e
davvero paralizzante per l’intera nazione.
Gli italiani sono accusati, purtroppo
spesso a ragione, di mancare di senso civi-
co, di quella solidarietà nei confronti degli
altri e nei confronti del loro Stato che costi-
tuisce il fondamento morale di una nazio-
ne. E’ vero, però, che anche in un recente
passato, per esempio quello caratterizza-
to dalla lotta al terrorismo negli anni ’
del secolo scorso, hanno dimostrato, inve-
ce, di saper reagire, con fermezza d’animo
e serietà di comportamenti, al pericolo di
compromettere le nostre libertà e la no-
stra democrazia.
Ora, si tratta di essere disposti a sacrifica-
re un pezzetto di quelle nostre libertà per
difendere un bene altrettanto importante,
quello della nostra salute e di quella delle
persone a cui vogliamo bene. Per sconfig-
gere non solo un dilagante virus, ma an-
che le troppo ingiuste accuse che il mondo
aldilà dei nostri confini ci addebita così fa-
cilmente per poter, così facilmente, respin-
gere quelle che lo colpiscono. Per raggiun-
gere tale obbiettivo spetta al governo ema-
nare direttive chiare e coerenti, alla popo-
lazione evitare alibi per sfuggire al loro ri-
spetto, all’informazione distinguere l’ob-
bligo di segnalare l’allarme dalla tentazio-
ne di diffondere l’allarmismo.
L’andamento del contagio in Cina pare
confermare l’efficacia dell’isolamento nel
ridurre il numero degli infettati da questo
nuovo virus che sta dilagando dall’Est del
pianeta a tutto l’Occidente. Certamente i
regimi autoritari, come quello che gover-
na quel grande Paese, hanno armi più effi-
caci per convincere i propri cittadini ad os-
servare le disposizioni emanate dal gover-
no. Se non siamo disponibili a barattare le
nostre libertà democratiche nemmeno
con la nostra sicurezza, persino della no-
stra salute, abbiamo una sola strada, quel-
la che sostituisce all’obbedienza imposta
dal potere di chi comanda la responsabili-
tà e l’orgoglio di un dovere civico imposto
da noi stessi.

P


rima il Nord è tutta una
bellezza, Milano è fanta-
stica, ci dà il lavoro,
ogni cosa funziona a me-
raviglia, gli ospedali so-
no eccellenti, la gente è
educata, le università sono efficien-
ti e offrono servizi impeccabili, mi-
ca come da noi che è tutto allo sban-
do, e poi sparite come se un bravo
prestigiatore vi avesse ingoiato nel
suo cilindro. Un tipo imbufalito su
Facebook scriveva oggi: «Siete dei
mentecatti. I meridionali che stan-
no tornando al Sud tornano a casa,
dalle loro famiglie, non fanno nien-
te di male. Informatevi prima di
sparare stronzate».
A questo signore, e a quelli che
la pensano come lui, vorrei ricor-
dare che ogni inconsapevole infet-
tato ne infetta altri due, tre o quat-
tro a sua volta. È questo il bene
che si vuole alle famiglie?
E ora mi rivolgo a voi, cari geni-
tori di meridionali irresponsabili:
i vostri figli passano mesi e mesi
lontano dalle vostre braccia col-
me d’amore, quando stanno nelle
città al Nord per studiare, e non
necessitano del vostro conforto, o
della pasta al pomodoro prepara-
ta nelle vostre cucine. Sono tran-
quilli, basta una telefonata. Per-
ché proprio adesso, che il momen-
to è difficile, e richiede uno sforzo
da parte di tutti, sentono questa
urgenza che potrebbe portare a
conseguenze anche drammati-
che? Chi controlla le loro quaran-
tene volontarie? Siamo sicuri che
avranno tutti la responsabilità ne-
cessaria di isolarsi e prendere le
dovute precauzioni per salvaguar-

dare anche gli altri?
E questo vale allo stesso modo per
pendolari e persone mature, che
alla stregua dei più giovani non
hanno perso tempo per raggiunge-
re i propri nuclei familiari.
A te, ancora a te, caro meridionale
irresponsabile, vorrei dire quanto se-
gue.
Quando il Nord ti ha accolto per-
mettendoti di realizzare il tuo futu-
ro (ovvero, ciò che il Sud spesso ti ha
negato), non ti ha chiesto conto di
niente. Ti ha aperto la porta. E ora lo
ripaghi in questo modo? La retorica
del meridionale che eccelle in ogni
ambito, e che diventa bravo avvoca-
to, magistrato, medico, e illumina
con la sua allegria e savoir-faire il tri-
ste Nord, ora va ancora bene, ma fi-
no a un certo punto. Non sono tutti
Falcone e Borsellino, ce lo avete di-
mostrato ieri sera. La retorica del
“siamo meglio noi”, “abbiamo più
cuore”, “che ne sanno al Nord del no-
stro essere solidali e gentili”, ieri
mattina al nostro risveglio ha mo-
strato i suoi limiti.
E ancora a te, caro meridionale irre-
sponsabile, vorrei ricordare che per
tutte le scusanti che potrai portare a
tua difesa, dopo la tua fuga di ieri se-
ra, saranno invalidate in blocco, per-
ché in guerra vale solo una regola: il
soldato scorretto disonora la sua gen-
te. Ma lo Stato in questo caso ha falli-
to in una missione: regolare il flusso
di una transumanza prevedibile. Pri-
ma dell’ultimo decreto avrebbe dovu-
to pensare alle eventuali disobbe-
dienze, mettendo in atto più control-
li, e dunque è colpevole in parte.
Sì, caro meridionale irresponsabi-
le, dovevi restare a casa. Aiutare il
Nord che ti ha aiutato. E già immagi-
no le tue obiezioni: non avrei potuto

aiutare il nord rimanendo a casa. E
invece sì. Anche gli esempi hanno
una loro forza, e nella solidarietà del
momento si creano anelli di una soli-
darietà più grande.
E già che ci sono, mentre ti scrivo,
cercando di usare la mia compren-
sione (e credimi, ce la sto mettendo
tutta per giustificarti, ma non ci rie-
sco fino in fondo), mi viene da riflet-
tere su un’altra questione: l’indigna-
zione di quelli che si rifiutano di capi-
re le motivazioni di altri che, con al-
trettanta ostinazione, fanno di tutto
per aiutare i disperati che bussano al-
le nostre porte (e porti). Popoli che
davvero hanno la disperata “necessi-
tà di scappare”. Un posto per tutti: la
Siria. La guerra, l’orrore, le torture.
A voi è bastato meno.
L’indicazione del Governo a resta-
re a casa per evitare che il sistema sa-
nitario nazionale subisse un collas-
so. E dunque ditemi, cari meridiona-
li come me, siete ancora del parere
che avete ragione? Per fortuna c’è
una parte del sud Italia che la pensa
in un altro modo, e sono quelli rima-
sti lì, al nord, il triste nord (ma poi
perché triste?), ad aspettare. Non so-
no più scemi di voi, no, sono solo più
responsabili, e sapevano che andar-
sene così, senza ragionarci sopra, si
sarebbe rivelato un altro immenso e
superficiale errore.
P. S. Bastava poco, davvero poco.
Qualche settimana. E invece non
avete capito niente. Ma con quale co-
raggio poi tornerete al Nord? E ades-
so lo so, piogge di critiche e sermoni,
ma dal canto mio ho sempre pensato
che essere coerenti con ciò che pen-
siamo imponga anche un prezzo al-
to da pagare. E io sono già pronta,
con il portafoglio in mano. —
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LA SOLIDARIETÀ


COMINCIA


CESTINANDO


GLI EGOISMI


REGIONALI


SEGUE DALLA PRIMA PAGINA


“CARI MERIDIONALI, SIATE RESPONSABILI:


RESTATE AL NORD”


CATENA FIORELLO


I NOSTRI CONNAZIONALI


SONO SPESSO ACCUSATI,


A TORTO O RAGIONE,


DI MANCARE


DI DOVERE CIVICO


LASPINA FIORELLO ZAGREBESKI STEFANINI


SEGUE DALLA PRIMA PAGINA


SEGUE DALLA PRIMA PAGINA


ALLO STATO


SERVONO I CITTADINI


LUIGI LA SPINA


LUNEDÌ 9 MARZO 2020 LA STAMPA 19

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