Le Scienze - 04.2020

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22 Le Scienze 6 20 aprile 2020


Boogich/iStock

CLIMA


Prevedere il riscaldamento


I risultati dei modelli climatici si sono dimostrati corretti


I modelli climatici globali sono oggi lo strumen-
to più efficace per mettere in relazione i cambia-
menti del clima sulla Terra con quelle che posso-
no essere le loro cause, le cosiddette «forzanti»
del clima, siano esse naturali o di origine umana.
A partire dagli anni settanta si sono cominciati a
usare modelli, prima piuttosto semplici, poi via
via più sofisticati, per prevedere l’andamento del
clima nel futuro. Oggi, a distanza di alcuni decen-
ni, possiamo vedere retrospettivamente se han-
no avuto successo oppure no. È quanto hanno
fatto Zeke Hausfather, dell’Università di Califor-
nia a Berkeley, e collaboratori in uno studio pub-
blicato su «Geophysical Research Letters».
I ricercatori hanno confrontato 17 previsioni
passate di temperatura media globale con quel-
lo che è avvenuto in realtà nei decenni seguen-
ti. Nel far questo, però, bisogna tener presente
che i risultati dei modelli non dipendono soltan-
to dalla bontà dei modelli stessi, ma anche dagli

scenari forniti ai modelli per l’andamento futuro
delle forzanti, in particolare di quelle di origine
umana, o antropiche.
In altre parole, i risultati di un modello po-
trebbero essere sbagliati solo perché il model-
lo stesso ha considerato scenari futuri diver-
si da quelli che poi si sono avverati nella realtà.
Tenendo conto anche di questo fattore, Hausfa-
ther e colleghi hanno trovato che 14 modelli su 17
hanno previsto in modo corretto la futura tem-
peratura globale, due l’hanno sovrastimata e
uno l’ha sottostimata.
In sostanza, i modelli del clima, che oggi stan-
no diventando sempre più perfezionati e ci per-
mettono di effettuare stime anche per i cambia-
menti climatici alla scala di singole regioni del
globo, mostrano la loro validità nelle stime glo-
bali della temperatura futura fin dagli albori del
loro sviluppo.
Antonello Pasini

Quasi tutto il metano
immesso in atmosfera dopo
il 1870 è di origine antropica.
Ed è paradossalmente una
buona notizia, come spiega
uno studio pubblicato su
«Nature». Il metano è il
secondo gas serra per
importanza dopo l’anidride
carbonica (CO 2 ); trattiene il
calore 30 volte di più ma resta
molto meno in atmosfera (in
media nove anni, mentre la
CO 2 un secolo).
Finora è stato difficile per
gli scienziati distinguere il
metano naturale da quello
prodotto dalle attività umane,
e quantificarne il contributo
al riscaldamento globale.
Tuttavia gli autori dello studio,
diretto da Benjamin Hmiel
dell’Università di Rochester,
negli Stati Uniti, hanno
analizzato il carbonio-14
(un isotopo del carbonio)
nell’aria rimasta intrappolata
in «carote» di ghiaccio
antico della Groenlandia.
Dall’analisi è emerso che gran
parte del metano liberato in
atmosfera a partire dalla metà
dell’Ottocento deriva dall’uso
di combustibili fossili.
Ne consegue che gli
studi precedenti hanno
ampiamente sottostimato
il nostro contributo alle
emissioni, che va aumentato
del 25 o addirittura del 40 per
cento, mentre quello naturale
va ridotto di dieci volte.
Questo rende il contenimento
delle emissioni di metano un
obiettivo possibile in tempi
brevi. E i benefici, nella lotta
ai cambiamenti climatici,
potrebbero essere superiori
al previsto.
Eugenio Melotti

Il metano
di origine
antropica è
sottostimato
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