Le Scienze - 04.2020

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52 Le Scienze 6 20 aprile 2020


Jason M. Forthofer lavora come vigile del fuoco e ingegnere meccanico presso
il Missoula Fire Sciences Laboratory dello U.S. Forest Service, nel Montana. Le
sue ricerche comprendono studi sul campo, in laboratorio e computazionali sul
trasferimento del calore e sul flusso dei fluidi in relazione agli incendi boschivi.

Ero rabbrividito quando al telefono il capogruppo mi aveva
detto: «Un pompiere è morto in un tornado di fuoco. Il suo veicolo
è stato sbalzato via di varie decine di metri».
Sapevo, forse meglio di chiunque altro, che prima o poi sareb-
be potuto succedere. Dieci anni addietro avevo visto per la prima
volta i postumi di un tornado di fuoco. L’oggetto, con un diame-
tro di quasi 300 metri, era fuoriuscito dall’incendio di Indians, in
California, sopraffacendo un gruppo di pompieri. Il vento era co-
sì forte, mi ha raccontato un sopravvissuto, che cercare di metter-
si in salvo era come correre immersi nell’acqua fino al torace. Per
fortuna gli uomini erano su una strada lastricata a due corsie, che
probabilmente è stata la loro salvezza: se fossero stati anche solo a
tre metri di distanza, tra gli alberi e l’erba, sarebbero morti. Quan-
do ho raggiunto il sito, tutto intorno si trovavano enormi rami di
quercia e dal terreno erano scomparsi i ciottoli.
La scena mi aveva impressionato e preoccupato. Evidentemen-
te un tornado di fuoco era in grado di colpire i pompieri rifugia-
ti in zone di solito considerate sicure. C’era mancato poco. Molti
di noi avevano visto i vortici di fuoco, cioè colonne di fuoco rotan-
ti grandi come turbini di polvere, e non li consideravano partico-
larmente pericolosi. Invece i tornado di fuoco – che abbinano la
potenza distruttiva delle fiamme a quella di venti devastanti co-
me in un vero e proprio tornado – erano così rari da essere quasi
leggendari. Io stesso, vigile del fuoco dal 1996 e studioso del com-
portamento del fuoco da otto anni, ne avevo sentito parlare sol-
tanto una volta, in una storia che mi aveva raccontato un pompie-
re veterano.
Tornato alla base nel Missoula Fire Sciences Laboratory, nel
Montana, ho eseguito una ricerca nella letteratura sull’argomen-
to. Sono emersi resoconti, in genere piuttosto approssimativi, su
vari tornado di fuoco avvenuti in tutto il mondo, sia recentemen-
te sia in epoche lontane. Le informazioni sul tema erano così scar-
se che gli scienziati non avevano nemmeno trovato una definizio-
ne condivisa per il tornado di fuoco.
Gli incendi boschivi di enormi proporzioni possono generare


ad alta quota nuvole dette pirocumulonembi. Si tratta di nubi tem-
poralesche ghiacciate che si condensano dall’umidità emessa so-
pra un incendio, dalla vegetazione che ha consumato, dal vapo-
re acqueo nell’atmosfera e come sottoprodotto della combustione
stessa. Secondo alcuni ricercatori, solo quei vortici di fuoco che si
collegano ai pirocumulonembi ad alta quota sono gli autentici tor-
nado di fuoco. Stando a quella definizione ne era stato documen-
tato solo uno, nel 2003, durante una tempesta di fuoco vicino a
Canberra, in Australia. Aveva lasciato danni su una striscia di ter-
reno lunga quasi 24 chilometri.
Per i vigili del fuoco però quell’inquadramento era così restrit-
tivo che serviva a poco. Basandosi sulla definizione operativa del
tornado di fuoco come un vortice di fuoco con venti a una veloci-
tà simile a quella di un tornado, il mio collega Bret Butler e io ave-
vamo raccolto qualunque documento disponibile, per poi conso-
lidare il tutto in manuali e lezioni di addestramento per i vigili del
fuoco. Ora però mi trovavo diretto a sud, verso l’incendio di Carr,
appena fuori da Redding, in California, per indagare sulla morte
di un pompiere in un tornado di fuoco: una tragedia che da molto
tempo cercavo di evitare.

Il tornado di fuoco di Carr
Il sito sembrava una zona di guerra. Né Josh Wurman, noto
esperto di tornado che avevo ingaggiato per l’indagine, né io ave-
vamo mai visto niente di simile. Interi complessi di case erano stati
rasi al suolo e ne restavano solo le fondamenta. L’area era dissemi-
nata di tetti e altri detriti, oltre a veicoli ribaltati più volte. Gli al-
beri erano sradicati o spezzati e privi di corteccia, portata via da
particelle volanti di sabbia e roccia. Tre tralicci dell’elettricità in
metallo, alti una trentina di metri ciascuno, erano stati abbattuti:
uno di loro era stato strappato via dalla base e trascinato in volo per
300 metri. Un container lungo una dozzina di metri era stato lace-
rato, e un tubo di acciaio era attorcigliato ai pali dell’elettricità.
Abbiamo stimato che i venti possano essere arrivati a 250 chi-
lometri orari, una velocità che si raggiunge nei tornado di classe

M

entre l’aereo cominciava a scendere su Medford ci siamo immersi

nella coltre di fumo che copriva il sud-ovest dell’Oregon e il nord

della California. Era la fine di luglio del 2018 e nella regione stava-

no divampando vari gravi incendi. Stavo raggiungendo un team

del Cal Fire (California Department of Forestry and Fire Protec-

tion), che indagava su un incidente fatale avvenuto due giorni prima.
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