Le Scienze - 04.2020

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62 Le Scienze 6 20 aprile 2020


pendenza da oppioidi nei pazienti con dolore cronico. Non ci sono
sufficienti prove scientifiche a sostegno dell’uso di questi farma-
ci per mesi e anni, e ancora meno che dimostrino come inverti-
re questa tendenza. Fortunatamente le ricerche, alimentate da un
flusso di investimenti federali, stanno cominciando a fare chia-
rezza sul problema. Tra le prime scoperte è emerso che la ridu-
zione degli oppioidi nei pazienti a lungo termine ha risultati mi-
gliori quando avviene molto lentamente, dedicando attenzioni
ravvicinate al paziente e indicando metodi alter-
nativi per gestire il dolore. Sorprendentemente
alcuni studi suggeriscono che molti pazienti fini-
scono per sentirsi meglio quando le dosi vengono
ridotte o sospese del tutto, grazie alla scomparsa
di effetti collaterali come letargia, annebbiamen-
to mentale e stipsi grave. Una nuova guida per la
riduzione dei dosaggi, pubblicata lo scorso otto-
bre dal Department of Health and Human Servi-
ces (HHS) statunitense, avvalora questi approcci
lenti, collaborativi e incentrati sul paziente.
Al centro degli studi in corso rimangono alcu-
ne importanti questioni, tra cui alcune problema-
tiche chiave: per esempio, quando l’uso di oppioi-
di è comunque consigliato per il dolore cronico e a quali dosag-
gi, per quali pazienti debba essere gradualmente ridotta la dose e
come procedere quando le persone hanno paura e sono riluttan-
ti. «Al momento la domanda più pressante per gli studiosi del do-
lore è quanto siano efficaci e sicuri gli oppioidi a lungo termine»,
afferma Sean Mackey, capo del reparto di medicina del dolore a
Stanford, che aggiunge: «La verità è che non lo sappiamo». Tutta-
via iniziano ad arrivare risposte su come mettere fine alla grande
storia d’amore tra gli Stati Uniti e gli oppioidi.

vibili. Nel 2016 i Centers for Disease Control and Prevention (CDC)
hanno pubblicato una serie di linee guida che invitano i medici a
prescrivere oppioidi come soluzione estrema contro il dolore cro-
nico, mettendoli in guardia dal prescrivere dosaggi superiori a 50
milligrammi equivalenti di morfina al giorno (gli MME sono un si-
stema per comparare le dosi di vari oppioidi). Anche gli Stati sono
entrati in azione: almeno 36 hanno pubblicato norme o linee gui-
da che limitano la dose di oppioidi prescrivibili. Inoltre molti medi-
ci hanno interpretato le linee guida dei CDC come
una forte stretta sui dosaggi anche per pazienti in
terapia a base di oppioidi da molto tempo. Secondo
un sondaggio del «Boston Globe», nel 2017 quasi il
70 per cento dei medici di famiglia aveva ridotto il
numero di prescrizioni di oppioidi mentre il 10 per
cento aveva smesso del tutto di proporli ai pazienti.
Tuttavia secondo gli esperti la sospensione im-
provvisa dei farmaci è una pratica pericolosa, che
può provocare l’aumento improvviso del dolore
e spingere i pazienti a procurarsi gli oppioidi ille-
galmente o a suicidarsi. «Il paziente è profonda-
mente destabilizzato, a livello medico e psicologi-
co», afferma la psicologa del dolore Beth Darnall,
della Stanford University School of Medicine.
Darnall è stata uno dei 92 esperti che nel settembre 2018 han-
no scritto una lettera aperta alla Pain Management Task Force
federale per denunciare un «aumento preoccupante delle soffe-
renze e dei suicidi tra ai pazienti». Lo scorso aprile sia i CDC sia
la Food and Drug Administration hanno avviato alcune iniziative
per informare i medici riguardo a questi rischi.
Non c’è dubbio che la sospensione improvvisa abbia effetti ne-
gativi, ma purtroppo non è altrettanto chiaro come ridurre la di-


UNA SOLUZIONE NON UNIVERSALE

Quando perseverare con gli oppioidi

Se da una parte i ricercatori stanno studiando il modo migliore per disa-
bituare i soggetti con dolore cronico a dosi elevate di oppiodi, è altrettan-
to evidente che non tutti i pazienti possano o debbano farlo. I CDC hanno
esplicitamente escluso i malati di tumore o anemia falciforme dalle indi-
cazioni cautelative sulle prescrizioni di oppioidi. Inoltre gli specialisti non
amano mettere in pericolo l’equilibrio dei pazienti con dolore troppo inten-
so. Andrea Anderson, attivista dei diritti dei pazienti ed ex direttore esecu-
tivo della Alliance for the Treatment of Intractable Pain, racconta un nu-
mero sterminato di storie di pazienti ai limiti (un uomo sopravvissuto a 20
minuti di elettroshock, un paziente coinvolto in un incendio) che si affida-
no a quantità massicce di oppioidi e non hanno il coraggio di ridurle. Nes-
suno dovrebbe essere obbligato a farlo, concordano gli esperti.
I medici hanno inoltre incontrato pazienti in condizioni stabili e funziona-
li mantenendo una dose sostenuta, pazienti che lavorano e si prendono
cura delle loro famiglie senza elevare eccessivamente i dosaggi. «Cono-
sciamo pazienti che assumono 15-20 MME al giorno per anni senza pro-
blemi», afferma Will Becker, direttore della Opioid Reassessment Clinic
presso il VA Medical Center di West Haven, nel Connecticut, riconoscendo
tuttavia di «averne incontrati molti che non sono riusciti ad attenersi a un
basso dosaggio e oggi sono in pessime condizioni».
Le questioni più spinose riguardano i pazienti sotto dosaggi elevati che
continuano a soffrire per il dolore e per una scarsa qualità della vita, ma
che non vogliono ridurre le dosi. Spesso questi pazienti hanno un quadro

medico complesso, con una serie di problematiche fisiche o psicologiche
che rendono difficile capire in quale percentuale il loro dolore sia dovuto a
un problema biologico di fondo, quali siano i risultati degli effetti collatera-
li e quali sofferenze derivino da altre patologie. «In questi casi ci ritroviamo
in una zona grigia», dice Sean Mackey, che dirige il reparto di medicina
del dolore alla Stanford University. «Dobbiamo offrire un approccio perso-
nalizzato a ogni paziente e lavorare fianco a fianco. Non esiste una solu-
zione universalmente valida».
Non tutti i pazienti possono tollerare una riduzione dei dosaggi, anche se
condotta lentamente e con attenzione. È il caso di Nadine Hagl, una vete-
rana dell’esercito di 53 anni, inviata alla clinica di Becker dopo diversi anni
di terapia con dosi elevate di Percocet (un mix di ossicodone e acetamino-
fene). Il quadro clinico di Hagl è molto complesso. Oltre a un’artrite dolo-
rosa che la obbliga a camminare con un bastone, la donna soffre di distur-
bo da stress post-traumatico e, prima dell’intervento di bypass gastrico
nel 2014, pesava 108 chili per 154 centimetri di altezza (oggi pesa meno
di 60 chili). Il suo apparato digerente non è in grado di sopportare farma-
ci antidolorifici antiinfiammatori non steroidei, una delle possibili alterna-
tive agli oppioidi, e non risponde positivamente alla buprenorfina, un far-
maco usato per ridurre i sintomi dell’astinenza da oppiodi. Il caso di Hagl
è complesso anche dal punto di vista psicosociale, data la diagnosi di di-
sturbo da stress post-traumatico e il fatto di essere una madre single di un
ragazzo nello spettro autistico. Insieme al team di Becker, Hagl ha tentato

La riduzione

degli oppioidi

nei pazienti a

lungo termine

ha risultati

migliori quando

avviene molto

lentamente
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