Le Scienze - 04.2020

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Benché gli oppioidi cominciassero a essere prescritti in massa
a tutti coloro che soffrivano di mal di schiena grave e altre malat-
tie prolungate, la maggior parte degli studi ne aveva analizzato gli
effetti solo per un periodo uguale o inferiore a sei settimane, un
lasso di tempo non sufficiente per rilevare le dipendenze fisiche e
psicologiche che si sviluppano nel corso dei mesi e degli anni e ca-
pire che le persone hanno bisogno di dosi sempre più elevate man
mano che il loro organismo diventa assuefatto ai farmaci, aumen-
tando il rischio di problemi respiratori, offuscamento e sovrado-
saggi potenzialmente fatali.
All’epoca alcuni medici avevano sollevato la questione dell’as-
senza di conoscenze scientifiche al riguardo. Erin Krebs frequen-
tava la Facoltà di medicina a metà degli anni novanta. La studiosa
di oppioidi ricorda la sensazione di sorpresa e scetticismo per il fat-
to che questi farmaci, mai studiati nel lungo periodo, fossero pre-
scritti per mesi e anni di seguito. Krebs, che oggi dirige il reparto di
medicina interna generale al Minneapolis VA Health Care System,
sta studiando nuovi metodi per aiutare i pazienti di allora a gestire
il dolore con dosi più sicure, ma anche la questione più fondamen-
tale, se gli oppioidi rappresentino di per sé una scelta valida per il
dolore prolungato. L’anno scorso ha pubblicato il primo trial ran-
domizzato che ha messo a confronto diretto per un anno intero gli
oppioidi e gli antidolorifici non oppioidi, dagli antinfiammatori più
comuni come l’ibuprofene ai farmaci per il dolore neuropatico co-
me il gabapentin. Il suo team ha monitorato 240 pazienti con dolore
intenso alla schiena o alle articolazioni, riscontrando una riduzio-
ne del dolore e degli effetti collaterali nei pazienti che avevano rice-
vuto i non oppioidi. Krebs ricorda che nel 2010, quando propose lo
studio, «la convinzione che gli oppioidi fossero la soluzione miglio-
re era talmente radicata che qualcuno non giudicava etica la possi-
bilità che alcuni pazienti non li ricevessero».

L’attrazione per gli oppioidi


L’idea che gli oppioidi siano idonei per il trattamento del dolo-
re cronico, cioè che persiste per oltre tre mesi, risale a metà de-
gli anni novanta, quando la comunità medica iniziava a prende-
re più seriamente il problema del dolore. Il periodo coincise con
l’introduzione dell’OxyContin, una versione a rilascio prolunga-
to dell’oppioide ossicodone, e la diffusione di alcune false verità
al riguardo, come la sua sicurezza a lungo termine e la sua capaci-
tà di non creare dipendenza – affermazioni che in seguito sareb-
bero state oggetto di alcune cause legali multimilionarie. Prima
di allora alcuni oppioidi naturali, come la morfina, oppure sinte-
tici, come l’ossicodone, erano stati usati principalmente per il do-
lore acuto a breve termine, i tumori e le cure palliative. Secondo
un’analisi dei CDC, il numero di ricette mediche per oppioidi tra il
1999 e il 2010 è quadruplicato.
Questi farmaci erano considerati un’alternativa economica agli
interventi di elezioni per il dolore cronico non curabile, ovvero i
programmi interdisciplinari di gestione del dolore e riabilitazio-
ne, composti da team di psicologi, medici, fisioterapisti, terapeuti
occupazionali e altri specialisti, che lavorano insieme al paziente
per diverse settimane in centri specializzati. Un approccio che ri-
chiede risorse nettamente superiori rispetto all’assunzione di una
pillola, ma che è in grado di affrontare la natura «biopsicosociale»
del dolore cronico, il fatto che le sofferenze del paziente non sia-
no determinate solo dall’attivazione di fibre nervose, ma anche
dall’umore, dal carattere, dal contesto sociale e persino dal signifi-
cato che il paziente attribuisce al dolore. «Il dolore dovuto al peg-
gioramento di un tumore è molto meno sopportabile rispetto al
dolore legato all’allenamento per una maratona o al parto», osser-
va Mark Sullivan, psichiatra del Center for Pain Relief dell’Univer-
sità di Washington a Seattle.


di avvicinarsi a diverse terapie alternative, ma il dolore si è sempre sca-
tenato con una forza dirompente. Il medico e la paziente hanno deciso
di tornare al Percocet in dosi inferiori, abbinato a una serie di terapie non
farmacologiche e a un attento monitoraggio.
Gli specialisti del dolore e delle dipendenze concordano che i pazienti
in terapia a base di oppioidi per lunghi periodi dovrebbero essere moni-
torati attentamente, sia per gli effetti collaterali sia per il rischio di abuso
delle sostanze. Tutti i 50 Stati federali prevedono programmi di monito-
raggio delle prescrizioni che consentono ai medici di capire se il pazien-
te sta ricevendo una doppia dose prescritta altrove, mettendo la propria
salute a rischio.
Considerate le pressioni verso una riduzione dell’uso di oppioidi, è pro-
babile che il numero di persone che li assumono a lungo termine con-
tinui a diminuire. Mark Sullivan, psichiatra del dolore all’Università di
Washington, ricorda come trent’anni fa l’uso di questi narcotici fosse
molto più sporadico. «Credo che arriveremo a un punto in cui, proprio
come agli inizi, gli oppioidi verranno usati soltanto se indispensabili e
a breve termine, mentre l’uso prolungato sarà riservato soltanto ai ca-
si eccezionali».

Il quadro clinico, psicologico e sociale di
Nadine Hagl, 53 anni, veterana dell’esercito
degli Stati Uniti, è molto complesso.
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