La Stampa - 20.03.2020

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LA STAMPA
Quotidiano fondato nel 1867
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VICEDIRETTORI
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REG. TELEMATICA TRIB. DI TORINO N. 22 12/03/2018
CERTIFICATO ADS 8567 DEL 18/12/2018.
LA TIRATURA DI GIOVEDÌ 19 MARZO 2020
È STATA DI 157.246 COPIE

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LA FORZA DELLA CARITÀ CRISTIANA

ENZO BIANCHI

LI

LETTERE

& IDEE

E

andrà via senza aver lasciato
un segno tangibile nelle vite
di tutti quelli che ce l’avranno
fatta.
Se tutto questo dolore sarà
stato vano, allora vorrà dire
che ha fatto altre vittime, quelle rimaste vi-
ve soltanto fisicamente. Quando tutto que-
sto farà parte del nostro passato, non do-
vremo tornare all’abituale superficialità,
non dovremo far finta di niente. Sento che
questa è la nostra ultima opportunità, la
prossima potrebbe non lasciarci scampo.
Rispettiamo la paura. Anche per questo,
nei giorni scorsi, ho ripetuto che forse non
era il caso di andare a correre o a fare cose
del genere, altrimenti la gente, guardando
le immagini sui social, avrebbe continuato
a ricavare una sensazione sbagliata. Del ti-
po «in fondo non è una cosa così grave». Og-
gi, invece, bisogna che ognuno di noi di-
venti dittatore di se stesso. Io sto facendo
così, prima di tutto con me stesso. A casa ab-
biamo stabilito che si esce sempre uno alla
volta, per portare giù il cane c’è il turnover.
E poi, in questi giorni, stiamo tornando a
mangiare tutti le stesse cose. Avete notato
che normalmente, in famiglia, succede
che ognuno mangi una cosa diversa? Chi
ha in casa due adolescenti ne sa qualcosa.
Ora è diverso, si mangia una cosa uguale
per tutti, i ragazzi stanno imparando che è
giusto così. Questa parte dell’esperienza
somiglia a quella vissuta dalle nostre non-
ne, somiglia alla guerra. Si sta comincian-

do a capire il vero significato del mangiare.
Dopo, quando tutto questo sarà finito, di-
venterà nostro dovere non dimenticare.
Per questo si dovrà istituire un giorno della
memoria, un giorno in cui tutti dovremmo
stringerci la mano in segno di contamina-
zione positiva e di umanità. Quel giorno
dovrà essere il giorno in cui medici, infer-
mieri, operatori sanitari e tutti quelli che so-
no scesi in prima persona sul campo di bat-
taglia, insieme a tutti quelli che hanno per-
so la vita, dovranno essere celebrati. Un
giorno in cui tutti dovremo stare a casa per
ricordare che quella casa è stata la nostra
trincea, il nostro rifugio, la nostra pancia
della mamma. Quattro mura diventate li-
quido amniotico e, naturalmente, anche
in questo c’è chi è più fortunato e chi meno.
Ora, dobbiamo continuare a vivere e ri-
spettare le regole, ora dobbiamo prender-
ci tutto il tempo che abbiamo a disposizio-
ne e usarlo per parlare ai nostri figli, per far
sentire meno soli gli anziani e per progetta-
re un futuro migliore. Non abbiamo altre
possibilità, questa è una grande opportuni-
tà, se non torniamo migliori di prima vorrà
dire che non saremo all’altezza di preten-
dere un mondo migliore. In questi giorni,
mi sento sospeso e, nello stesso tempo, mi
sento più coraggioso di quando potevo
avere tutto a mia disposizione. Ci sono i
momenti di sconforto e allora mi rifugio
nel dialogo con gli altri, mi piace parlare e
far parlare le persone che mi seguono nei
vari social; ho come sconfitto la paura, la
paura della mia timidezza. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

TM

L

a quale ostacola l’offerta di prodotti, ne
scoraggia la domanda, squilibra la finan-
za di imprese e banche ed esaspera gli
spread fra i tassi di interesse dei Paesi
dell’Eurozona.
Le armi più efficaci per rimediare sono
politiche di bilancio che possono curare anche la qua-
lità delle maggiori spese e dirigere gli interventi dove
sono più urgenti. Altra arma essenziale è un salto in
avanti nell’integrazione comunitaria: coordinando
le misure anti-epidemiche nazionali, minimizzando
le barriere ai confini nazionali, finanziando con fondi
europei investimenti, sussidi e forme di assicurazio-
ne sovranazionale dei rischi che comunque ci acco-
munano. Poiché è ragionevole supporre che lo shock
sanitario sarà relativamente breve, i disavanzi ag-
giuntivi dei bilanci potranno poi interrompersi e rien-
trare gradualmente, mentre rimarrebbero i benefici
di un’Unione più integrata.
La politica monetaria, pur avendo spuntato molte
delle sue armi nelle difficoltà dell’ultimo decennio, ri-
mane però importante, almeno su tre fronti. Innanzi-
tutto può agevolare il finanziamento dei disavanzi
pubblici aggiuntivi che la cura dei danni della crisi
comporta. Se i disavanzi rientreranno dopo lo shock
non sarà compromessa l’indipendenza della Bce e la
sua capacità di controllare nel medio-lungo periodo
la quantità e il costo della liquidità.
In secondo luogo, la politica monetaria può limitare
i pericoli che corre la stabilità finanziaria, con molte im-
prese che rischiano insolvenze contagiose e destabiliz-
zanti per le banche loro creditrici. La Bce ha informazio-
ni e strumenti essenziali per facilitare le banche nel far
fronte alla crisi epidemica. Può, ad esempio, attutire le
tensioni della loro liquidità e incentivarle ad aumenta-

re il credito, soprattutto a favore di imprese, settori, re-
gioni, famiglie particolarmente colpite. Ciononostan-
te, la tradizionale funzione delle banche nel trasmette-
re la politica monetaria all’economia può incepparsi;
ed ecco un terzo fronte di azione per la Bce: “saltare le
banche” con interventi diretti in acquisto di titoli pub-
blici e privati, fino alla carta commerciale di imprese
non finanziarie, assumendosi temporaneamente ri-
schi di credito che a crisi conclusa potrà ricollocare sui
mercati e presso le banche commerciali.
L’insieme delle decisioni del 12 e del 18 marzo impe-
gnano la Bce su tutti e tre i fronti. In particolare, il nuo-
vo programma di acquisti di titoli per l’emergenza pan-
demica è ampio e flessibile, diretto ad attenuare le diffi-
coltà sia di interi Paesi (compresa l’Italia, ma è stata fi-
nalmente superata l’esclusione della Grecia dal “quan-
titative easing”) che di singole imprese.
Non illudiamoci però di poter fare a meno delle po-
litiche di bilancio e dell’integrazione comunitaria. Se
i governi non si muovono con decisione e l’integrazio-
ne europea non fa un salto di qualità, le facilitazioni
monetarie ci manterranno nell’attuale trappola di sta-
gnante liquidità col rischio, finita l’emergenza sanita-
ria, di ricapitare in una crisi finanziaria da eccesso di
debito e rischi.
Detto questo, sia nei governi nazionali che a Bruxel-
les non mancano sforzi per trovare accordi che superi-
no le difficoltà. Sforzi spesso frustrati da miopi nazio-
nalismi e polemiche divisive; sforzi poco pubblicizza-
ti, anche per discrezione istituzionale e diplomatica,
ma che potrebbero rafforzarsi a vicenda. Non è solo
per l’azione schiettamente sovranazionale della Bce
che far parte di un’Europa che fatica a rafforzarsi è me-
glio che isolarsi in un mare globale in tempesta virale,
economica e finanziaria.
Twitter@francobruni7 —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

REDAZIONE
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sportelli del Salone

I

n questo tempo di coronavirus si è aperto
un acceso dibattito fra pastori, teologi e fe-
deli sull’alternativa tra chiese aperte o
chiese chiuse, partecipazione alla messa o
digiuno eucaristico. Non manca qualche
intervento polemico, intollerante verso il
parere degli altri e addirittura sarcastico, ma me-
glio non tenerne conto. In particolare, ciò è avve-
nuto dopo che Francesco ha richiamato tutta la
chiesa a non disertare ma a esercitare una carità
compassionevole e creativa verso i malati, i mo-
renti e verso le persone anziane, sole e fragili. Il
Papa ha avuto anche l’audacia di dire ad alta vo-
ce che «le misure drastiche non sempre sono buo-
ne». Non per mancare della virtù della pruden-
za, ma per risvegliare l’intelligenza della carità e
per indicare ai cristiani che, soprattutto in ore cat-
tive come queste dell’epidemia, occorre vivere il
comandamento dell’amore del prossimo.
Quanto alla celebrazione della liturgia eucari-
stica, nessuna posizione miracolistica né di arro-
gante certezza e tantomeno di intransigentismo
cattolico. Non siamo più in epoche nelle quali la
peste era sentita come un giusto castigo di Dio per
le infedeltà degli umani, né pensiamo che vi siano
recinti o realtà sacre esenti dall’essere portatrici di
contagio, e non siamo neanche inclini ad afferma-
re il legalismo del precetto. Dunque, si devono cer-
tamente evitare celebrazioni liturgiche con assem-
bramenti di gente e, al riguardo, occorre rispetta-
re le precauzioni prescritte dall’autorità civile. I
miei dubbi non riguardano queste dovute osser-

vanze ma piuttosto le poco meditate modalità con
cui si offrono surrogati come le messe private,
quelle solitarie, quelle trasmesse attraverso le più
svariate forme che il web offre. Per la chiesa cattoli-
ca, infatti, il sacramento non è mai virtuale, ma va
vissuto nella sua realtà, e l’eucaristia va vissuta co-
me cena del Signore celebrata da una comunità.
L’eucaristia è un evento in cui insieme si mangia e
si beve, cioè si assimila, il corpo del Signore, dopo
aver insieme ascoltato la Parola, diventando così
il corpo ecclesiale di Cristo. Se è vero che non c’è
chiesa senza eucaristia, è altrettanto vero che non
c'è eucaristia senza chiesa. Come ha detto con
semplicità ma acutezza il vescovo di Milano, «al-
tro è mangiare il pane, altro è guardarlo in una fo-
tografia». I malati e i morenti hanno bisogno del
corpo di Cristo, devono poter lasciare questa terra
nella speranza della vita eterna e con i segni di una
carità che non viene meno. I fedeli hanno il diritto
di essere nutriti dai sacramenti e di poter morire
con quei conforti che la chiesa ha sempre loro pro-
posto come salvifici. Se si sta per un certo tempo
senza eucaristia, occorre avere consapevolezza di
questa privazione, di un digiuno che non può esse-
re alleviato da surrogati. C’è sempre la preghiera,
in particolare c’è la lettura della Scrittura che con-

tiene la parola di Dio, ma la mancata partecipazio-
ne all’eucaristia deve essere sentita dai cristiani co-
me una prova che li pone in attesa di poterla cele-
brare di nuovo, quale viatico necessario nel cam-
mino verso il Regno. Certo, un monaco lo sa bene,
San Benedetto come tanti eremiti del deserto, vis-
se per anni senza eucaristia e senza celebrare la Pa-
squa, ma i bisogni della fede dei credenti sono di-
versi, appunto “secondo il grado della fede di cia-
scuno”, direbbe l’apostolo Paolo.
È significativo che questa urgenza da me invoca-
ta fin dall’inizio della crisi sia stata manifestata da
un vescovo come Mariano Crociata, da presbiteri
come padre Sorge e don Massimo Naro, da un teo-
logo come Ruggieri, da laici come Riccardi, Stefa-
ni, Melloni, Faggioli, Cardini e da tanti altri. Più
che mai in questi giorni emerge la testimonianza
di pastori che amano la loro comunità e per essa
svolgono il loro servizio con abnegazione e con la
gratuità del Vangelo. Ed è significativo che tra i
morti vi siano anche tanti presbiteri, come nella
diocesi di Bergamo: pastori in mezzo al loro greg-
ge. «In casi di malattia grave, la presenza del sacer-
dote diventa un balsamo importante» ha scritto il
vescovo di Gozo. In questa direzione si orientano
anche gli opportuni suggerimenti per la celebrazio-

ne dei sacramenti in tempo di emergenza Co-
vid-19 indicati dalla Segreteria generale della Cei,
suggerimenti veramente ispirati dal Vangelo e da
una intelligente sollecitudine pastorale. Né chiese
chiuse, né assembramenti ecclesiali o liturgici, ma
un operare sempre secondo i sentimenti di Cristo
Gesù, senza che nell’economia sacramentale, sia-
no privilegiati alcuni ed esclusi altri.
L’appello del Papa è stato dunque un mettere
in guardia tutta la chiesa dalla sonnolenza spiri-
tuale, dall’appiattimento della sua disciplina su
quella dell’autorità politica e, a mio parere, da
una debolezza della fede che diventa tentazione
per tutti noi quando la strada si fa difficile, oscu-
ra, nel deserto della sofferenza e della prova. Te-
nere le chiese aperte significa non chiudere le
porte a chi, osservando le precauzioni, vuole en-
trare in esse a pregare, a trovare conforto nella fe-
de, ma significa anche invitare a intercedere da-
vanti a Dio e a stare vicini a tutti quelli che sono
vittime dell’epidemia in modi diversi.
In sintesi, in una situazione temporanea di gra-
ve emergenza e pericolo di vita la comunità cristia-
na si trova nelle condizioni di non potersi riunire
per celebrare l’eucaristia. I credenti nutrono la loro
fede pregando la liturgia delle ore, nell’ascolto del-
la parola di Dio contenuta nelle Scritture e nella lec-
tio divina, in una forma di digiuno eucaristico. Tut-
tavia, come indicano le normative pubblicate dal-
la Cei, in condizioni di necessità e infermità non
possono essere negati a nessuno i sacramenti. —
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SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

L’ILLUSIONE DELLA LEVA MONETARIA

FRANCO BRUNI

LA NECESSITÀ DI UN GIORNO DEL RICORDO


GIUSEPPE FIORELLO

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