La Stampa - 20.03.2020

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Valeria Possi, da due anni vive a Madrid dove la-
vora come docente di italiano. «Io sono chiusa
in casa dallo scorso venerdì. Vivo in un apparta-
mento di 80/85 metri quadrati con tre coinqui-
lini spagnoli. Non abbiamo un balcone e la si-
tuazione del confinamento è un po’ quella che
è. Per fortuna siamo amici e, tra tutti, cerchia-
mo di tenere alto il morale. Stiamo telelavoran-
do, per quanto possibile e io ho spostato le le-
zioni su Skype (anche se qualcuno non era d'accordo). Della vita fuori sappiamo
poco, perché non usciamo: ci sono i controlli, c’è l’esercito in strada, la polizia. La
situazione al momento è piuttosto brutta. Lo stato di allarme non dovrebbe dura-
re più di 15 giorni, ma di certo sarà prolungato. In Spagna si è arrivati alla serrata
totale da un giorno all’altro. A noi, della comunità italiana, è parso che all’inizio il
governo spagnolo non fosse minimamente attento all’emergenza che era in corso
in Italia da giorni. Per dare un'idea: l’8 marzo, nonostante il numero di contagi fos-
se già elevato, sono state permesse tutte le manifestazioni per la Festa della Don-
na in tutta la Spagna. La situazione è stata normale sino all’11 marzo quando ha
iniziato a scatenarsi il panico, a quel punto il Governo è corso ai ripari promulgan-
do un decreto ed ha proclamato lo stato di emergenza, ha proibito alle persone di
uscire di casa e ha chiuso tutto, bar e ristoranti, a meno che non si tratti di farmacie
e supermercati, proprio come è ora in Italia. Speriamo che la situazione si risolva
presto. Animo e yo me quedo in casa». I.FAM. —

Davide Cerrato vive da tre anni in Inghilterra, a
Cheltenham, cittadinia a due ore di distanza da
Londra, e lavora per una società di consulenza
nell'ambito della finanza sostenibile.«Come
tanti italiani sono bloccato fuori dall'Italia. Ave-
vo in programma di tornare due settimane fa
per andare a trovare i miei genitori, ma non ho
potuto farlo. Sino a pochi giorni fa l’emergenza
qui non si sentiva: si leggevano storie dall'Italia e sembrava una cosa molto lonta-
na. Fortunatamente, e finalmente, ora si sta prendendo consapevolezza della si-
tuazione anche qui in Inghilterra. Ci siamo mossi, si parla di telelavoro e in molti,
come la società per cui lavoro, hanno attivato il lavoro da casa. Le ultime settima-
ne sono state molto particolari e strane, perché si vedeva la differenza enorme tra
la percezione dell’emergenza che avevo io, grazie ai contatti con l’Italia, e quella
degli inglesi, che consideravano il Covid19 come qualcosa che non li avrebbe toc-
cati. Purtroppo l’emergenza è arrivata. Ora la consapevolezza c'è e anche qui ini-
ziano ad esserci delle limitazioni. Speriamo che le precauzioni che stiamo pren-
dendo tutti servano e che le cose migliorino. Se c'è una cosa che possiamo impara-
re da questa situazione è che abbiamo bisogno di aiutarci tra di noi. Che restando
divisi, restando chiusi, non otterremo nulla. E speriamo di averlo imparato questo
insegnamento». I.FAM. —

Laura Costadone, vive a Portland, la più grande
città dell’Oregon. «Da una settimana sia io sia
mio marito sia i miei figli, tra cui un bimbo di un
anno, accusiamo sintomi che possono essere
collegati al Covid19: quindi tosse e stanchezza
estrema. Io personalmente ho anche un po’ di
fiato corto (e per una sportiva come me non è
cosa normale). I primi malanni li abbiamo av-
vertiti la scorsa settimana. Purtroppo in America, in questa situazione è quasi im-
possibile vedere un medico. Bisogna passare tramite un sito dove bisogna rispon-
dere a delle domande e poi pagare 50 dollari a testa per vedere un assistente virtua-
le. I test non vengono ancora somministrati: lo stato dell’Oregon ha la capacità di
testare una cinquantina di persone al giorno e nemmeno i medici sono ancora at-
trezzati per fare visite. Per cui siamo in quarantena a casa e speriamo che i sintomi
non peggiorino. Vengono prese in considerazione solo le persone con sintomi mol-
to gravi. Ovviamente in casa è molto difficile tenere le distanze di sicurezza, so-
prattutto con un bambino così piccolo, che ha bisogno costantemente della mam-
ma. Io mi comporto seguendo le precauzioni che si stanno adottando in Italia e
speriamo in bene. In caso ci dovessimo aggravare dovremo chiamare e andare al
pronto soccorso. Il personale non è ancora attrezzato per fare fronte a questa si-
tuazione. I costi? Per le cure dipende dall'assicurazione. Per le terapie intensive si
parla di migliaia e migliaia di dollari. Noi siamo fortunati e non abbiamo proble-
mi. Molti americani non si possono permettere buone assicurazioni ». E. SOL. —

Frate Isaia Claudio Gazzola monaco cistercen-
se, vive in Francia da molti anni e da alcuni risie-
de a Parigi dove insegna in una delle facoltà teo-
logiche della città. Racconta la sua lontananza
dallo studio di casa, tra i suoi libri. «Come passo
il tempo in questo periodo di epidemia, di emer-
genza e di confinamento? Io sono un monaco e
sono abituato al confinamento, inteso in senso
positivo. Per me non è pesante. Fa parte della mia vita di tutti giorni, della mia quo-
tidianità. In monastero i nostri ritmi sono molto più lenti che fuori, sono scanditi
dalla preghiera; per cui, anche in questa situazione, mantengo questo tipo di rela-
zione con il tempo. Continuo poi la mia attività di insegnamento. Anche a Parigi le
scuole e le università sono chiuse e si è passati all'insegnamento online mettendo
a disposizione degli studenti video e testi sulle piattaforme telematiche. La Fran-
cia ha adottato le disposizioni italiane solo da venerdì scorso, sino a quel momen-
to avevo seguito la situazione da lontano sentendo gli amici in Italia e leggendo i
giornali. Poi anche Parigi ha chiuso tutto e ha vietato alle persone di uscire di casa.
In questo momento di emergenza bisogna ricordarsi, però, che il tempo si può vi-
vere anche allo stretto, anche in un piccolo luogo come una stanza. L’importante è
sapersi in relazione e comunione con gli altri che condividono la stessa condizio-
ne». I.FAM. —

Luca Pautasso, collegnese di nascita e newyor-
kese di adozione da cinque anni. «Vivo a Broo-
klyn, lavoro a Manhattan. Mi occupo di vendita
al dettaglio e dal 16 marzo sono a casa perché
l'azienda ha attivato il telelavoro e le giornate
sono scandite da conference call. Di fatto per il
mio settore mi trovo in vacanze forzate. Di cer-
to la routine quotidiana si è interrotta e sarà co-
sì sicuramente sino al 30 marzo, poi si vedrà. Già da qualche tempo qui a New York
si era registrato un calo del traffico quotidiano, anche perché molte aziende han-
no ripiegato sul telelavoro e bar e ristoranti nelle ultime ore sono stati chiusi, e
adesso possono effettuare solo il servizio take away (che per le abitudini dei new-
yorkesi è un aspetto da non trascurare). L’atteggiamento da queste parti è pruden-
te già da numerose settimane, così come le restrizioni su voli e su viaggi. Sono stati
cancellati i grandi eventi, per evitare gli assembramenti, proprio come è stato deci-
so in Italia. Ogni città può decidere come comportarsi. I singoli Stati hanno larga
autonomia e lo Stato di New York ha preso provvedimenti molto più restrittivi di
altre parti del Paese. Anche se il nostro quotidiano, a quando sento dai racconti di
amici e parenti in Italia, sembra essere meno duro del vostro. Speriamo che la si-
tuazione migliori presto per tutti. Stay safe, stay healthy. Restiamo a casa e rima-
niamo fiduciosi del futuro». I.FAM. —

Miriam Bertaina, imprenditrice torinese che
ora si trova a Jedda, in Arabia Saudita, con il ma-
rito e due figlie di 4 e 9 anni. «Ciao Italia, ciao To-
rino. Sono qui con mio marito e le mie figlie di 4
e 9 anni. Sino alla settimana scorsa ero in un’al-
tra città sul Golfo Persico, dove stavo lavoran-
do a una serie di eventi e progetti. Poi tutto è sta-
to cancellato per l'emergenza coronavirus e i
collegamenti sono stati chiusi. Così abbiamo preferito spostarci a Jedda, che è una
città grande e servita anche dal punto di vista sanitario. Gli altri italiani sono rien-
trati la settimana scorsa in extremis, noi abbiamo pensato molto sul da farsi. Cos'e-
ra giusto fare? Tornare in Italia o rimanere qui? Ce lo siamo chiesto più e più volte.
Poi abbiamo deciso di restare, anche perché con due bambine piccole avremmo
corso troppi rischi. Avremmo dovuto prendere quattro voli e sperare che non ve-
nissero cancellati, fare code interminabili all'aeroporto. Spostarci sarebbe stato
un rischio gravoso. Qui ora è tutto chiuso: aeroporti, negozi, ristoranti, uffici.
Aperti solo alimentari e farmacie, proprio come in Italia. Le scuole sono chiuse già
da una settimana. L’Italia è vista come un esempio. Tutti ci guardano, tutti stanno
imparando qualcosa dall’Italia e questo mi fa essere molto orgogliosa. Speriamo.
Dobbiamo fermarci tutti, altrimenti non ce la faremo a superare l’emergenza. Mi
manca la mia città. Mi manca il mio Paese». M.T.M. —

Carlotta Longo, lavora come lifestyle manager
a Dubai da tre anni. «In questo periodo non è fa-
cile per nessuno che è espatriato essere lontani
da casa. Viviamo la situazione con molta ap-
prensione. C’è da dire, però, che il Governo de-
gli Emirati Arabi ha agito per tempo e ha subito
adottato misure preventive. Già due settimane
fa, ad esempio, le scuole erano chiuse, così co-
me i parchi, le piscine, le palestre. Qui si stanno prendendo misure contenitive e di
prevenzione che in tanti altri paesi non sono state adottate e questo ci fa stare tran-
quilli. L’impressione è che il Governo stia prendendo tutte le misure necessarie
per tutelare i cittadini, anche se si tratta di decisioni difficili. L’ultimo provvedi-
mento è di pochi giorni fa e riguarda chi si trova all’estero ma è residente e vuole
rientrare negli Emirati Arabi: non potrà farlo per le prossime due settimane. Sicu-
ramente è una misura estrema, non facile da prendere, che però in questo momen-
to ci fa sentire sicuri. Ma certo ci dimostra il fatto che il Governo locale sta facendo
davvero il possibile per tutelare la salute e l’incolumità dei propri cittadini e degli
stranieri. Certamente la situazione non è facile per nessuno, qui come altrove. Ma
come membri della comunità italiana a Dubai cerchiamo di starci vicino e di aiutar-
ci a vicenda, nella speranza per tutti noi, che viviamo lontano da Torino, che que-
sto brutto momento passi in fretta». M.PEG. —

Stefano Rosso, giornalista torinese vive a Mo-
naco di Baviera, in Germania. «La situazione
qui è un po’ strana, perché quando si parla con
le persone ci si accorge che manca la consape-
volezza della situazione. Io mi informo con le
notizie che arrivano dall’Italia e l’impressione
è di essere indietro di un paio di settimane sia
come percezione del problema sia per le misu-
re che vengono adottate. Ora hanno iniziato a proibire gli eventi pubblici per evita-
re i raggruppamenti di persone, a limitare le aperture di bar e ristoranti che posso-
no restare aperti sino alle 15 e possono accogliere sino a un massimo di trenta per-
sone. Ma la gente può andare in giro. Il lavoro da casa è incoraggiato, ma in molti
approfittano della giornata fuori dall'ufficio per andare al parco a mangiare o a
prendere il sole. Non c’è molta percezione di ciò che sta capitando. Dehor pieni.
Probabilmente la prossima settimana ci sarà una chiusura totale, di un coprifuoco
sullo stile italiano, ma sono sempre misure isolate perché ciascuno Stato della
Confederazione tedesca può scegliere autonomamente. Qui in Baviera si parla di
chiusura totale, ma la maggior parte delle persone sembrano non rendersi conto,
non avere la percezione del pericolo. Quasi non si rendono conto della gravità del
problema dei contagi. Continuano a proporre cene e serate assieme. Non c’è l’idea
della quarantena». I.FAM. —

Carlo Alberto Ferraris, ingegnere informatico
vive a Tokyo da sei anni dove lavora in un’azien-
da di e-commerce giapponese. «Ad oggi la situa-
zione non è così disastrosa. Stranamente. Qui
in Giappone il virus si è manifestato prima di
quando sia arrivato in Italia, ma non sembra es-
serci stata una crescita esponenziale di casi, al-
meno stando ai numeri ufficiali. L’impressio-
ne, però, è che i dati riportati non siano del tutto veritieri e trasparenti; probabil-
mente c’è un po’ d’interesse a tenerli bassi per cercare di evitare la cancellazione o
il posticipo delle Olimpiadi. L'epidemia sta crescendo lentamente, ma non siamo
ancora in una situazione di collasso strutturale del sistema sanitario. Qui a Tokyo
non ci sono limitazioni di alcun genere sugli spostamenti: si può uscire e si può an-
dare ovunque prendendo anche il treno o l’aereo. Ci sono solo limitazioni per en-
trare e uscire dal Paese e oggi è stato annunciato che i cittadini di alcuni paesi, tra
cui l’Unione Europa, non potranno più richiedere visti per entrare in Giappone:
non è ancora chiaro se questo provvedimento si applica a chi, come me, ha il visto
permanente e, per lavoro, va e viene dal Giappone. Per il resto non ci sono grandi
problemi. Per ora toccando ferro. Bisognerà vedere nei prossimi giorni e nelle
prossime settimane cosa succederà. Da quattro settimane lavoro da casa. Le noti-
zie che arrivano dall’Italia, purtroppo, sono molti preoccupanti». I.FAM. —

Emanuele Campo, 32 anni, abita Sidney da più
di otto dove lavora come capocantiere nell’am-
bito delle costruzioni autostradali. «Qui stiamo
continuando a lavorare perché il governo ha de-
ciso che i settori come l’edilizia non si possono
fermare. In molti casi, invece, è stato attivato il
lavoro da casa. Praticamente tutte le scuole
pubbliche sono aperte, mentre hanno chiuso
quasi tutte quelle private e cattoliche. Qui comunque è tutto aperto e la gente può
circolare liberamente, non c’è alcun tipo di divieto. I treni e i bus continuano ad es-
sere affollati, mentre forse ci saranno delle limitazioni sui voli interni. Al momen-
to l'emergenza non sembra essere percepita come particolarmente seria. Il consi-
glio più frequente è 'Lavatevi le mani' e 'State a un metro di distanza', ma non ci so-
no limitazioni o divieti. C’è stato comunque l’assalto ai supermercati, come un pa-
io di settimane fa in Italia. La gente cerca soprattutto di acquistare carta igienica,
scottex, salviette, cibo in scatola. Le persone sono state prese dal panico, senza
considerare che ci sono i piccoli negozi che hanno a disposizione beni di prima ne-
cessità. Mi auguro che anche qui, come in Italia, blocchino tutti e impongano la
quarantena in modo serio, evitando di isolare solo i casi sospetti senza andarli ad
approfondire. La situazione non è bella, soprattutto per i giovani. Mando un ab-
braccio a tutta l’Italia». I.FAM. —

Da Madrid

“L’allarme è stato sottovalutato
In Spagna le chiusure dei locali
sono scattate in forte ritardo”

le voci

Dal mondo

a Torino

“La nostra città

saprà ripartire”

I messaggi di chi vive all’estero

Tra paura e voglia di reagire

Da portland, oregon

“Le cure sono costose negli Usa
Solo per ottenere assistenza virtuale
si devono pagare 50 dollari a testa”

IL CORONAVIRUS

Da Cheltenham, Inghilterra

“Dobbiamo tutti imparare qualcosa
da questa grave situazione
Restando divisi non otterremo nulla”

Da Parigi

“Come monaco conosco l’isolamento
Il tempo si può vivere allo stretto
ma senza dimenticare gli altri”

Da New York

“C’è meno traffico nella Grande Mela
Ma il nostro quotidiano
pare essere meno duro del vostro”

Da Jedda, Arabia saudita

“Qui ci ammirano e ci seguono:
l’Italia è un esempio da imitare
Sono orgogliosa di essere italiana

Da dubai

“Il governo degli Emirati Arabi
sta adottando tutte le misure
per tutelare la salute dei cittadini”

Da Monaco di Baviera

“I parchi sono pieni di gente
In Germania non c’è la percezione
della pericolosità del contagio”

Da Tokyo

“I dati ufficiali sembrano confortare
L’impressione è che le autorità
vogliano salvare le Olimpiadi”

Da Sydney

“Anche in Australia c’è stato panico
La gente ha fatto scorte di cibo
ma non è scattata la chiusura totale”

IL CORONAVIRUS

38 LASTAMPA VENERDÌ20 MARZO 2020
CRONACA DI TORINO


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