Vanity Fair Italia 8 Aprile 2020

(Romina) #1

VANITY FAIR


STORIE


8 APRILE 2020


Vanity Respiro

Innesca la produzione di noradrenalina, di cortisolo e di altri
ormoni che in situazioni di pericolo permettono al nostro or-
ganismo di attaccare oppure di fuggire. La particolarità di oggi
è che ci troviamo di fronte a una minaccia invisibile, verso la
quale non abbiamo riferimenti passati che ci possono aiutare».
Come gestire la reazione verso un nemico sconosciuto?
«Rafforzando le nostre risorse interiori insieme a quelle bio-
logiche. Smorzando l’impatto di emozioni traumatiche come
la paura eccessiva, il terrore, il panico che hanno la capacità di
mettere in stand-by il sistema immunitario. La paura è come
un farmaco: entro una certa misura è utile, perché ci fa attivare
reazioni di autoprotezione che in molti casi ci salvano. Ma co-
me ogni farmaco, il tema è il dosaggio: se la paura dura troppo
a lungo o è troppo intensa diventa un veleno. Ci fa produrre un
eccesso di ormoni dello stress, ci porta a contrarre i muscoli, ad
accorciare il fiato, proprio in un momento in cui respirare bene
è fondamentale per ossigenare gli organi, in prima battuta i
polmoni».
Come contrastare il sovradosaggio di paura?
«Per esempio, evitando di esporsi continuamente ai notiziari:
è inutile vederne 10 al giorno, ne basta uno. E anche i media

«Rallentando troviamo una dimensione più vicina ai nostri

bisogni. Stiamo imparando che avere una buona salute non è

scontato, che dobbiamo prenderci cura di noi stessi e degli altri»

dovrebbero limitare l’effetto traumatizzante che una notizia, o
il modo in cui viene data, può avere. Sarebbe importante aprire
il notiziario con i dati positivi, come il numero dei guariti, e sot-
tolineando che per la maggioranza dei casi il virus non è letale.
Tutto questo andrebbe fatto prima di passare alle notizie più
severe, che devono essere date, per mitigarne l’impatto».
Per dirla con Charles Dickens, «Se la malattia e la tristezza
sono contagiose, non c’è niente al mondo così irresistibilmente
contagioso come il riso e il buonumore»...
«Esatto, e prova ne sono anche le reazioni positive all’isola-
mento, le persone che si affacciano ai balconi cantando o che
si riuniscono intorno a un’identità italiana che niente ha a che
fare con il patriottismo, è una reazione istintiva di supporto e
difesa che tende a ricreare connessione con il prossimo: siamo
fatti per stare insieme».
Uno dei grandi temi di questa emergenza è che nessuno sa di-
re quando finirà. Ci aiuti lei: nel lessico di una comunicazione
costruttiva c’è la parola...?
«Impermanenza. In natura, tutto ha un inizio, uno svolgimen-
to e una fine. Il tempo che stiamo vivendo domani diventerà
un ricordo, lo racconteremo, come succede a chi ha vissuto la
guerra. Il principio di impermanenza ci sostiene e ci aiuta a
dosare le energie nel tempo».
Su cosa possiamo far leva per guardare a un domani luminoso?
«Sulla capacità di vivere con maggiore consapevolezza, ap-
prezzando di più quello che abbiamo qui e ora. Gli orientali
parlano della “mente scimmia”, che non è in pace perché, pro-
prio come una scimmia, salta continuamente tra due rami, il

passato e il futuro. Guardiamo al passato con rimpianti e ran-
cori, e al futuro con ansia, perché non sappiamo cosa ci suc-
cederà. Questo meccanismo può essere guarito fermando la
mente nel presente. Oggi il passato non ci aiuta e il futuro non
lo conosciamo, la sola realtà è nel presente. Il resto è illusione».
Stare nel qui e ora ci fa anche resettare problemi e priorità?
«Sicuramente. Pensiamo ad alcuni problemi che avevamo fino
a qualche settimana fa. Di fronte a quanto sta accadendo sono
probabilmente diventati irrilevanti. Nel contempo scopriamo
che in questa battuta d’arresto ci sono anche dei vantaggi. La
circolazione delle auto è quasi azzerata, bruciamo meno petro-
lio, abbiamo la possibilità di un raffreddamento del Pianeta, di
avere un’aria più pulita. È come se la natura respirasse, in una
fase di autoriparazione che le permette di diventare più forte e
sostenerci con nuova energia».
E noi come cambieremo?
«Ci sarà un “dopo”. Pensiamo a un altro fatto epocale, l’11 set-
tembre 2001. In seguito ci sono stati cambiamenti radicali, per
esempio i controlli di sicurezza negli aeroporti: toglierci le scar-
pe, non portare liquidi... Anche il Covid-19 sta tracciando una
linea invisibile tra un prima e un dopo. Abbiamo vissuto una

condizione di enorme stress e insoddisfazione, spinti a fare-da-
re-avere di più. Il sistema ci chiedeva questo: la crescita infinita.
Ora possiamo apprezzare che nel rallentare ritroviamo una di-
mensione umana più vicina ai nostri bisogni. Stiamo imparando
che avere una buona salute non è un fatto scontato e che dob-
biamo prenderci cura di noi stessi e degli altri. Ora che anche
poter fare una passeggiata diventa un lusso dovremo ricordarci
di provare più gratitudine per quello che abbiamo. Anche le co-
se più semplici come un abbraccio possono essere un dono».
Anche il dolore che stiamo provando sarà terapeutico?
«Lo sarà se prenderemo consapevolezza che è inevitabile, co-
me la sofferenza e la morte. La nostra società ha reso questi
elementi alieni, qualcosa da cui ci possiamo proteggere con
una sorta di pensiero onnipotente, e quando siamo costretti a
entrarci in contatto ci troviamo impreparati. Invece, il confron-
to con le difficoltà ci fa scoprire risorse interiori impensate. Si
dice che gli italiani diano il meglio di sé davanti alle grandi
catastrofi. È vero: nella difficoltà vedo fiorire qualità come il
coraggio immediato nel soccorrere chi sta male o sta morendo,
la generosità di chi fuori e dentro gli ospedali lavora 20 ore al
giorno. Credo che anche quando tutto sarà finito, la vicinanza
diventerà la vera risorsa, ciò su cui faremo affidamento. E spe-
ro svanirà l’illusione di poter stabilire confini geografici entro
i quali sentirci protetti. Basta un minuscolo virus a ricordarci
che la natura non conosce barriere e muri: il vento li oltrepassa
tutti».

➺^ Tempo di lettura: 8 minuti
Free download pdf