Vanity Fair Italia 8 Aprile 2020

(Romina) #1

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8 APRILE 2020


ppur si è mossa. In due settimane la scuola italiana –
un pianeta popolato da 830 mila docenti e 8 milioni di
studenti – ha fatto la rivoluzione, o almeno ci sta pro-
vando. Siamo alla quinta settimana di chiusura per le regioni
del Nord, alla terza per le altre, tutti consci che l’ipotesi di
protrarre lo stop fino a giugno non è remota. Il Miur ha
subito suggerito agli insegnanti di «attivare forme di didattica
a distanza»: anni a discutere di come innovare la scuola, e il
coronavirus ci ha costretto all’azione.
All’improvviso – se avete un figlio in età scolare sapete di
che parlo – piattaforme come WeSchool, Google Classroom,
Hangouts Meet, Zoom, bSmart sono diventate coinquiline di
casa e il nuovo tetris organizzativo è gestire le app (ringra-
ziando la saggia scelta di possedere una stampante) per av-
viare la «classe digitale a domicilio», su Pc e smartphone. «In
pochi giorni la scuola ha fatto ciò che avrebbe dovuto avviare
da 5 anni», dice Marco De Rossi, 29 anni, fondatore di We-
School, unica piattaforma italiana gratuita di didattica online
(la usano 2,6 milioni di studenti alle superiori, 1,8 milioni alle
medie). Gestisce 5 mila richieste di assistenza al giorno («il
nodo più critico è la scarsa alfabetizzazione dei prof: alcuni
non hanno la casella mail») e persino qualche attacco hacker
degli studenti («La versione moderna delle nostre chiamate
anonime in segreteria per dire che c’è una bomba a scuola e
saltare la verifica...»).
La #scuolacontinua, come da hashtag lanciato sui social? Sì,
ma a velocità variabile. «Tutto si regge sulla libera iniziativa

dei docenti e di certo alle elementari è più complesso, ma
constatiamo che le differenze maggiori sono tra le città e i
piccoli comuni, dove la connessione è più lenta e c’è meno
competizione tra istituti: lì si procede a rilento», dice De Ros-
si. Ed è un peccato perché «se qualcosa questa emergenza sa-
nitaria ci sta insegnando, è che nulla sarà più come prima, in-
segnamento incluso». Ne è convinto Dario Ianes, pedagogista
e fondatore del Centro Studi Erickson di Trento, che ha lan-
ciato dida-Labs, piattaforma per la scuola primaria dedicata
ai bimbi con bisogni speciali, per offrire ulteriore sostegno
a docenti e famiglie: «Non ha senso riprodurre i soliti pro-
grammi: scuola digitale non significa fare la stessa didattica
usando solo i “live” delle piattaforme, con il prof che spiega
dal tinello e i ragazzi connessi dalle camerette ad ascoltare o,
per le elementari, riversare sui bambini i compiti tradizionali
da inviare via mail o WhatsApp».
Lo dice anche Alberto Pellai, medico e psicoterapueta dell’età
evolutiva: «La scuola si sta giocando tutto. Agli insegnanti
chiedo di avere la vista lunga: non fossilizzatevi sui program-
mi, ma sperimentate nuovi approcci, soprattutto mettete gli
alunni, anche i piccoli, nelle condizioni di svolgere in autono-
mia i lavori assegnati perché i genitori non possono trasfor-
marsi in docenti. Niente ansie sul programma: impareranno
meno? No, diversamente. A qualsiasi età, una delle fatiche
più grosse a livello psicologico è l’auto-regolamentazione:
queste giornate dal tempo sospeso resteranno una lezio-
ne che ricorderemo per la vita».

E


IMPARERANNO DI PIô

Tra stampanti assenti, materie astruse, verifiche complicate, #lascuolacontinua
è un incubo per i genitori? Rilassatevi: il «tempo sospeso» farà maturare i figli

di FRANCESCA AMÉ
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