Vanity Fair Italia 8 Aprile 2020

(Romina) #1

VANITY FAIR


COPERTINA


8 APRILE 2020


Vanity Copertina

smesso di suonare le campane a morto, le strutture sanitarie
sono allo stremo, molta gente muore in casa, troppo in fretta
per poter ricevere una cura, un’assistenza, un tentativo mise-
ricordioso di alleviarne la sofferenza.
La dottoressa Conti sa, meglio di chiunque altro, tutto que-
sto. Eppure ogni mattina, percorrendo in macchina da sola i
55 chilometri che separano la sua casa di Milano dall’ospe-
dale, in un angolo remoto della sua testa si agita un pensiero
che assomiglia alla speranza, una voce le dice: il lavoro che
fate all’ospedale fa la differenza. Una voce che assomiglia
alla sua. «Mi attacco a quel pensiero. Poi faccio un bel respi-
ro, compongo il numero di mia nonna e la terrorizzo un po’:
magari anche oggi riesco a farla stare in casa». Il tempo di
quella chiamata ed è al parcheggio del Papa Giovanni. Gira
la chiave, scende. Si ricomincia.
Al pronto soccorso arrivano tra gli 80 e i 90 pazienti Co-
vid-19 al giorno, un flusso continuo che va smaltito nei repar-
ti. Al momento impegnati nell’emergenza ce ne sono 5, da
48 letti l’uno. Più gli 80 della rianimazione. Gli alpini stanno
completando l’ospedale da campo da 300 posti «ma i malati
non finiscono mai», dice la dottoressa. Il suo unico obiettivo,
per le 12 ore di turno abbondanti, è farli respirare. Fa la pneu-
mologa, è il suo mestiere sempre, ma con questo virus che si
attacca ai polmoni e se li mangia è una specie di guerra di
posizioni: lui cammina veloce e quando perde se ne va piano

arzo 2020, un giorno come tanti
Fuori è primavera, a Milano c’è il sole, il
termometro segna 19 gradi, siamo chiusi in
casa.
Quando tutto è cominciato – un uomo, a
lungo noto solo come «il trentottenne», poi
definito «il paziente uno», infine dignitosamente chiamato col
suo nome, Mattia, veniva ricoverato all’ospedale di Codogno.
Era il 20 febbraio – faceva freddo, buio presto, e il mondo era
ancora un posto rumoroso. Adesso si sentono solo cani, aerei.
Il canto insistente degli uccelli tira giù dal letto, troppo pre-
sto, intere città. Ma dove si nascondevano tutti questi uccelli,
prima?
A interrompere il sonno della dottoressa Caterina Conti
è una sveglia che anticipa di un pezzo la fauna urbana, e che
lei, nel dormiveglia, quasi ogni mattina scambia per il cica-
lino che di solito porta attaccato al camice o il campanello
d’allarme del reparto. Il suo si chiama Unità operativa com-
plessa di Pneumologia, l’ospedale è il Papa Giovanni XXIII
di Bergamo.
Le traiettorie imperscrutabili del virus Covid-19 sono pas-
sate di lì con una frequenza e un’insistenza tali da aver reso la
Bergamasca l’epicentro di una tragedia di cui solo tra un po’
potremo vedere i confini. Il forno crematorio della città non
riesce a bruciare tutte le bare, nelle valli i sacrestani hanno

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