Vanity Fair Italia 8 Aprile 2020

(Romina) #1
Vanity A bordo!

VANITY FAIR


STORIE


8 APRILE 2020


ono scesi tutti. Il comandante ha chiesto solo un
paio di minuti: ha bisogno di stare da solo sul
ponte di comando dal quale ha dovuto affronta-
re il peggiore dei fortunali che, in quasi trent’anni
di mare, gli sia capitato.
«The brave captain», il capitano coraggioso – così
l’hanno chiamato i giornali di mezzo mondo – ora che è tutto
finito, è triste. Si può essere tristi di lasciare una nave? Sì, si
può, lui lo sa. E allora accende il microfono e, nel silenzio di
quelle tonnellate di ferro, fa un annuncio, come ne ha fatti mi-
gliaia. Questa volta non lo ascolterà nessuno e non ha impor-
tanza, perché è solo per la sua nave. Le dice a voce alta: grazie.
E anche: buonanotte. E suona il fischio, in suo onore.
Poi, attraverserà la Diamond Princess, ripensando a tutto, pog-
gerà un piede sulla scala verso la terraferma e, nell’istante di
passaggio dalla superficie liquida a quella solida, farà una pro-
messa silenziosa: ci incontreremo ancora, non può finire così.
Sulla banchina qualcuno gli scatterà una bellissima foto. Ma
quella, diversamente da ciò che è successo prima, la abbiamo
vista tutti.

Il comandante Gennaro Arma, rientrato in Italia la sera del
16 marzo, ha trovato ad attenderlo: Luigi di Maio che l’ha sa-
lutato col gomito, una nomina a commendatore da parte del
presidente della Repubblica, molte richieste di interviste di
cui non si capacita, e suo figlio Diego, 10 anni, ancora sveglio
alle 11 e mezza di sera. Dopo averlo abbracciato, gli ha rega-
lato una maglietta fatta da lui: un arcobaleno con una scritta
«Andrà tutto bene». «L’ho stretto forte ed è stato solo in quel
momento che ho capito che era finita», racconta dalla sua casa
di Sant’Agnello, nella penisola sorrentina, dalla quale era par-
tito esattamente due mesi fa, pronto a imbarcarsi per la prima
di diverse crociere nei mari d’oriente a bordo della Diamond

Princess, la nave che aveva visto nascere in cantiere nel 2003 e
di cui, da due anni, è il comandante. La nave che passerà alla
storia per essere stata, per lunghi giorni, il secondo più gran-
de focolaio al mondo del Covid-19 dopo la città di Wuhan, in
Cina.
Settecentododici infettati, cinque morti, tremilasettecento
persone a bordo in quarantena.

A fine gennaio un suo passeggero sbarcato a Hong Kong è
risultato positivo al Covid-19. Il paziente zero di quelli che
sarebbero diventati moltissimi altri. Che cosa ha pensato
quando glielo hanno comunicato?
«Mi sono preoccupato: non era più a bordo, ma ci era stato.
Siamo rientrati in Giappone, gli ufficiali di quarantena sono
saliti sulla nave e hanno chiesto la lista dei passeggeri che
erano passati dall’ospedale di bordo lamentando sintomi in-
fluenzali. Li hanno testati, erano 10 positivi. Da lì è cominciato
tutto, ed è stato un susseguirsi di sentimenti fortissimi. La pre-
occupazione, dicevo, ma poi anche la determinazione di fare
qualcosa, la gioia, alla fine, di vedere sbarcare tutti. L’orgoglio
per come il mio equipaggio ha reagito all’emergenza».
Lei che cosa ha fatto?
«Solo il mio lavoro di comandante».
Chi è un buon comandante?
«Dal mio punto di vista è qualcuno che ha una autentica atten-
zione per gli altri, che si tratti dell’equipaggio o dei passeggeri.
Il contatto umano fa sempre la differenza. Nelle mie crociere
io cerco di scambiare una parola con tutti, di andare sui ponti
passeggeri, in cambusa, nelle officine e nella sala macchine e
dire grazie a chi ci lavora. Le navi possono essere case di una
grande, sconfinata famiglia».
Come si comunica attenzione a una nave in quarantena?
«All’inizio della crisi facevo annunci rivolti all’equipaggio e

S

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