Vanity Fair Italia 8 Aprile 2020

(Romina) #1

VANITY FAIR


Vanity Daily

STORIE


8 APRILE 2020 i fermarsi a Marco Ferrari, capoturno allo stabi-
limento Parmalat di Collecchio, non gli è venu-
to in mente neppure per un minuto. «Andiamo
avanti, i miei colleghi e io. Qui non si chiude mai, turni
da otto ore, giorno e notte. Anzi, con l’emergenza dob-
biamo produrre più di prima».
Sui nastri trasportatori, latte e yogurt vengono con-
fezionati, inscatolati e impilati, pronti per essere carica-
ti e consegnati in giro per l’Italia. «Sono generi di pri-
ma necessità. Lo so bene, visto che ho un bambino di
3 anni e 4 mesi».
Ferrari è in Parmalat dal 2001, ha 38 anni e una mo-
glie,  dipendente di  un’industria manifatturiera della
zona. Tutti e due non hanno la possibilità di lavorare


di
ENRICA BROCARDO

IL TURNO INFINITO


D


da casa.  «Per fortuna i nonni,  i genitori di mia mo-
glie, stanno a cinquecento metri da noi, vengono tutti i
giorni a prendersi cura del nipotino». Che, sempre per
fortuna, è ancora troppo piccolo per fare domande, per
intuire che cosa sta succedendo, «anzi, lui è felicissimo
perché con i nonni si diverte».
Gli chiedo  come  si senta  a  essere uno dei tanti  ita-
liani che continuano a svolgere un lavoro utile a tutti,
compresi quelli che, potendo lavorare in remoto, sono
meno esposti al rischio di contagio. Ma lui si schermi-
sce. «Ognuno fa il suo.  Io e gli altri dipendenti dello
stabilimento siamo consapevoli dei pericoli e anche
un po’ impauriti  come tutti,  ma le misure di sicurez-
za  qui  sono scattate subito, ancora prima che venisse
dichiarata zona rossa. Abbiamo camion in arrivo e in
uscita  tutto il tempo  e i controlli  sono scattati imme-
diatamente.  Lavoriamo a una distanza di sicurezza di
un metro e mezzo l’uno dall’altro, le zone comuni ven-
gono sanificate due o tre volte al giorno.  Non invidio
chi può continuare a svolgere il proprio lavoro da casa.
Sono orgoglioso di quello che stiamo facendo». Ai cin-
que minuti per la pausa caffè con i colleghi nessuno di
loro  ha rinunciato.  «Facciamo il possibile per  parlare
di altro, si fa la battuta, si cerca di sdrammatizza-
re e di dimenticare la stanchezza. L’unico problema
è che con la sospensione delle partite di calcio è venuto
a mancare l’argomento principale delle nostre conver-
sazioni», scherza.
Qualche giorno fa, è andato a fare la spesa della set-
timana  e ha trovato che sugli scaffali alcuni prodotti
erano esauriti. «Davamo per scontato che tutto fosse
lì  sempre  a disposizione. Nessuno di noi avrebbe mai
immaginato  di  arrivare al  supermercato  e  di  accor-
gersi che nel frigorifero le mozzarelle erano finite. Ho
pensato a mio nonno, che ha 91 anni. Prima non davo
tanto retta ai suoi racconti della guerra.  Giusto pochi
giorni fa mi ha detto: “Vi lamentate perché non po-
tete uscire a fare una passeggiata. Io non avevo da
mangiareÓ».
I suoi genitori vivono a ottanta chilometri: «Non li
vedo da due settimane, ma ci teniamo in contatto con
videochiamate tutti i giorni, hanno nostalgia del nipoti-
no. L’emergenza ci ha unito, anche se a distanza. Parlia-
mo più spesso di quanto facessimo prima. Se abbiamo
imparato qualcosa da tutto questo è quanto contano gli
affetti. Non vedo l’ora di andarli a trovare. Non solo di
vederli, ma anche di toccarli».

C’è chi lo smart working non lo può fare, ma non se ne lamenta.
Sono i lavoratori della FILIERA ALIMENTARE che assicurano il flusso
a scaffale della grande distribuzione

foto
MARCO ONOFRI
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