Vanity Fair Italia 8 Aprile 2020

(Romina) #1

VANITY FAIR


STORIE


8 APRILE 2020


Vanity Emilia

Forse per questo ci ha fregati in modo così rapido
e silenzioso. Riusciremo a invertire la rotta, cam-
biare le regole, ricostruire una speranza, o abbia-
mo già sprecato le risorse che mancano come il
sangue negli ospedali? Abbatteremo i confini cul-
turali che ci hanno fatto sembrare lontane realtà
con cui invece condividevamo il letto da anni? Ci
riapproprieremo dell’idea di una politica non affo-
gata nel presente ma proiettata nel futuro? Che ne
sarà dell’Europa non solidale, rigida con i popoli,
flessibile con la finanza? Capiremo che la natura è
padrona nel nostro destino? La scienza si unirà in
un’unica voce dal timbro chiaro, intonato e incon-
fondibile? Le risposte soffiano nel vento.
Nell’attesa che l’incubo finisca e si possa rico-
struire un mondo nuovo noi restiamo al balcone
e cantiamo, sì. Lo spettacolo deve continuare, ci
ripetiamo.
Anche se il palcoscenico si è ridotto a pochi cen-
timetri quadrati, se i morti escono dalle case senza
passare per gli ospedali, se gli anziani se ne vanno
in cielo senza applausi, se gli inviati che furono di
guerra oggi sono nei centri di raccolta delle salme,
se abbiamo bisogno di infermieri quanto di medici.
Sui balconi va in scena l’opera popolare con tut-
te le sue contraddizioni.

Che sia drammatica, melodrammatica, esagera-
ta, caricata, enfatica, plateale, esibizionistica, for-
zata, appariscente, istrionica, semplice, naturale o
spontanea non importa. Le bianche lenzuola, gli
arcobaleni, il tricolore e i panni appesi, gli applausi
e le malinconie delle persone sole, le trombe, i val-
zer, le luci e le nostre miserie. Anche oggi restiamo
al balcone, piccolo teatro d’Italia, ad aspettare la
nostra liberazione. Questa volta dipende solo da
noi.

i nostri nonni fu chiesto da un bal-
cone di andare in guerra, a noi di
cantarci sopra. Oggi, come allora, ci
dicono che vinceremo. Non troppo
rassicurante visti i precedenti, ma
per ora i nostri balconi reggono e ci
danno una mano ad andare avanti, mentre la terra
trema sotto ai nostri piedi e gli ospedali trabocca-
no di malati. Sul nostro nemico invisibile si è scrit-
to di tutto tranne che soffra le serenate alla finestra
o i canti popolari, ma è anche questo un modo per
stare in casa. Per esistere e resistere.
Qui a Bologna la primavera insiste ogni matti-
no, timida e disinteressata. Dalle finestre di casa
vedo un grande giardino che non sembra preoccu-
parsi del caos in cui ci siamo ritrovati in pochi gior-
ni. Il mio, di balcone, è molto silenzioso e si apre su
di un bosco felice, disinteressato delle nostre pre-
occupazioni. La natura ci spiega per bene quanto
sia insignificante l’uomo per lei, come quella fidan-
zata che il giorno dopo averti mollato va in giro
indisturbata facendoti sentire trasparente.
Ma la sera è diverso. È una specie di perenne
Natale ormai, perché solo a Natale si è costretti
a stare in casa e si prova gratitudine nel non re-
stare soli. Un Natale con i morti, però, di un’Italia

inginocchiata a una Milano già martire e Santa.
Preghiamo per Lei, ma poi le parole a tavola man-
cano, come le messe la domenica. Dio è morto, a
quanto pare, aspettando la resurrezione del figlio.
I medici, che fino a prima dell’epidemia che sta
cambiando tutto erano al centro di ogni tipo di po-
lemica, sfiduciati, portati a gran voce nei tribunali
dell’opinione pubblica, oggi sono tornati a essere
i nostri eroi. A loro è affidata la salvaguardia non
solo della nostra salute, ma di quel senso di on-
nipotenza, di distacco dalla morte, di cui ci siamo
ammalati molto prima del virus. Ogni loro sforzo
tiene faticosamente insieme le nostre vecchie cer-
tezze che vacillano. Li ringrazieremo ancora finita
questa avventura dell’umanità? Ne dubito, ma lo
spero.
Qualcuno dice «noi italiani siamo in vantaggio,
perché ci è successo prima». Nelle chat di gruppo
si parla in anticipo di economia e ripresa. Come se
fossimo ancora in gara con il vecchio mondo. Io
invece credo che la gara sia appena finita o debba
finire. Il virus ha approfittato di tutte le falle del
nostro mondo globalizzato, contemporaneamente.

A


«Il virus ha approfittato delle falle del nostro mondo.

Riusciremo a costruire una nuova speranza?»

➺^ Tempo di lettura: 6 minuti
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