Vanity Fair Italia 8 Aprile 2020

(Romina) #1

VANITY FAIR


STORIE


8 APRILE 2020


Vanity Avanti un altro

el Paese in cui i laureati in Ingegneria chimica sono
costretti a trasformarsi in psicanalisti, Sonia Leggie-
ri, 26 anni, ha stipato i suoi studi in un cassetto: «Mi
sto specializzando in ingegneria biomedica» e sistemato il
suo lettino nella corsia di un supermercato. All’Esselunga di
Viale Zara, Milano, al centro di una città che proprio negli
ultimi giorni ha assistito inerme al picco dei propri contagi,
Sonia batte gli scontrini, striscia i bancomat e osserva i clienti
in fila, invitandoli con calma alla razionalità. Dice quasi d’un
fiato di riuscire a «leggere nei loro occhi la paura». Il primo
allarme − ricorda riavvolgendo un tempo che ora appare dila-
tato, recente eppure già storicizzato − «è stato vedere la gen-
te che all’improvviso riempiva i carrelli all’inverosimile con
i prodotti più diversi per il timore della dispensa vuota». In
un ballo in mascherina in cui ognuno ha dovuto interpretare
ruoli e improvvisare passi ai quali non era preparato, Sonia
ha danzato leggera, «per farmi forza e restituire tranquillità
a chi si accalcava senza rispettare la delimitazione prevista
e la distanza di sicurezza». Nel corso dei giorni, con il volto
travisato e i guanti d’ordinanza, «l’azienda è una grande fa-
miglia e ci ha messo in condizioni di assoluta sicurezza fin dal
principio di questa brutta storia», questa figlia di emigranti
pugliesi «entrambi foggiani» che alla fine degli anni ’60 prese-
ro il treno dal Tavoliere dirigendosi verso altri climi e dialetti,

di
MALCOM PAGANI

foto
MARCO GAROFALO

INGEGNERIA SENTIMENTALE


N


ha saputo parlare il linguaggio universale della «solidarietà».
In un momento simile, dice, «questa parola è importante.
Sto riscoprendo me stessa e anche se alla fine del turno sono
stanca e stremata, mi sento felice. Soddisfatta di poter dare
un aiuto concreto alla comunità». I suoi genitori, argomenta:
«Sono spaventati. Mi raccomandano di stare attenta e io li
rassicuro spiegando che essere impauriti è normale, ma che
l’unico modo che conosco per superare la paura è combatter-
la. Non voglio essere ipocrita e quindi se mi domanda: “Ha
paura?” le rispondo di sì senza esitare. Non sono un medico
né tantomeno un eroe. Non è il mio abito, la mia indole, la
mia storia. Ma ferma non posso e non voglio stare. Ora è il
momento di lavorare in prima linea». Dal suo punto di osser-
vazione prova a non dimenticare mai «che dall’altra parte c’è
una persona come me, che vive le ansie di quest’epoca e che
esattamente come chiunque altro chiede solo di poter torna-
re a casa in fretta e senza rischi». Allora Sonia non cede agli
isterismi né alla tentazione di sventolare un’esenzione. Esce
di casa, indossa il camice, prende posto sulla sedia girevole e
guarda le serrande del supermercato in cui entrò tre anni fa
alzarsi lentamente come ogni mattina. Domani ci sarà spazio
per correre, accelerare e lasciarsi alle spalle il nemico. Ma − è
un’epoca di paradossi − «accadrà solo quando la corsa si sarà
fermata».

Dalla sua postazione all’Esselunga la cassiera SONIA LEGGIER I incontra le paure più
recondite degli italiani. Le affronta con razionalità e senso del dovere: «Non ho l’abito
dell’eroe, ma cerco di rassicurare con lo sguardo tutti quelli che vedo attraversati
dal timore. Ne usciremo, ma solo quando la corsa del contagio si sarà fermata»
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