Vanity Fair Italia 8 Aprile 2020

(Romina) #1

D.R.


VANITY FAIR


Vanity Prima Linea

STORIE


8 APRILE 2020


i raccomando, che non venga fuori un ri-
tratto del medico eroe che va a mani nude
contro il virus». E ancora: «Quello che mi
chiede è un po’ difficile: se noi medici e infermieri
in prima linea siamo eroi».
Inizia così la conversazione con Claudio Cera-
volo, 72 anni, ex chirurgo, uno dei tre medici pen-
sionati in servizio volontario dai primi di marzo
all’Ospedale di Crema, uno dei luoghi dove la bat-
taglia contro il coronaviurs è stata fin dall’inizio più
drammatica.
Ma guai a chiamarlo eroe, appunto: «Uno, quan-
do è medico, lo è per tutta la vita, un po’ come il
prete. Facciamo solo il nostro dovere», dice. E allo-
ra il dottor Ceravolo, appena ha capito che la situa-
zione sarebbe diventata grave, si è reso disponibile.
Volontariamente. «Ho passato una vita in ospeda-
le», racconta, «quando ho chiuso la mia carriera
ero responsabile del centro oncologico di Crema.
Avevo mantenuto buoni rapporti con la struttura
e allora mi sono fatto avanti: “Se posso dare una
mano, più che volentieri”».
Lui che anagraficamente è nella fascia più a

M


rischio, e che avrebbe potuto starsene chiuso in ca-
sa ad aspettare che questo inferno finisse, ha indos-
sato nuovamente il camice (due per la verità: uno
sull’altro, per cercare almeno fisicamente un riparo
da questo mostro invisibile) ed è sceso in trincea.
Dieci ore al giorno, sette giorni su sette, al pron-
to soccorso ad accogliere e valutare i pazienti con
sospetto Covid-19. «Il mio compito è fare il primo
inquadramento dei casi: li visito, faccio l’anamnesi,
la Tac, che è diventato l’esame d’elezione, li sotto-
pongo al tampone e poi aspetto con loro di vedere
i risultati».

Quando gli chiedo se non ha paura, il dottor Ce-
ravolo mi racconta dell’Africa, di quella volta che
è rimasto chiuso nell’Ospedale di Goma mentre
fuori infuriava la guerra: «Sono abituato a situazio-
ni rischiose, ne ho viste tante. Però sì, il clima psi-
cologico che si vive in questi giorni ricorda molto
quei momenti: stessa tensione, stessa adrenalina».
E paura di ammalarsi? «L’ho messo in conto», spie-
ga, «siamo bardati come astronauti, con tute, so-
vrascarpe, guanti, occhiali, mascherina, ma è chiaro
che può succedere. È una prospettiva assolutamen-
te realistica. La nostra caposala sta molto male.
Spero non accada a me. O almeno di non contrarre
le forme più gravi del virus, ma intanto non ci pen-
so e vado avanti. Faccio il mio lavoro finché posso».
Quando gli chiedo se la sua famiglia è d’accordo
mi dice che sua moglie è preoccupata: «Ma io le
dico: “Hai voluto sposare un dottore? Questi sono
i rischi”».
A Crema, racconta, la situazione è tragica: «Il
pronto soccorso è al collasso. Posti non ce ne sono
più. A volte i pazienti devono aspettare 48 ore su
una barella in corridoio, in attesa che venga trovato
loro un letto in qualche ospedale. Questa è la parte
più dura da affrontare». Le persone, invece, sono
cambiate, in meglio. «La mia esperienza preceden-
te al pronto soccorso era stata molto frustrante»,
dice, «malati insofferenti che perdevano la pazien-
za per niente. Magari avevano una sciocchezza e
facevano scenate isteriche. Adesso è cambiato tut-
to. I pazienti accettano disagi importanti con eroi-
smo. C’è più comprensione, più solidarietà. Se a
qualcuno in attesa da ore dici: “Mi scusi, visito pri-
ma un altro perché respira male”, ti risponde: “Ci
mancherebbe”. La pandemia ci ha reso più fragili,
ma anche più uniti».

di
VERONICA BIANCHINI

IL RICHIAMO AL DOVERE


Ex chirurgo in zone belliche torna in corsia da VOLONTAR IO
al pronto soccorso di CREMA per una guerra di trincea
Free download pdf