La Stampa - 19.03.2020

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LA STAMPA
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LA TIRATURA DI MERCOLEDÌ 18 MARZO 2020
È STATA DI 156.244 COPIE


L’

Europa ne sta prendendo consape-
volezza, ma troppo lentamente e
con molte incertezze. La video-con-
ferenza dei leader Ue di martedì po-
meriggio ha prodotto qualche inte-
sa, per il controllo delle frontiere
esterne dell’Unione, il mantenimento della liber-
tà di circolazione intra-Ue delle merci, l’urgente
approvvigionamento congiunto di mascherine e
respiratori. Tuttavia, l’esito della riunione è stato
di ordinaria amministrazione. E’ mancato, nono-
stante i tempi eccezionali che viviamo, un colpo
d’ala capace di far sentire l’Europa vicina e parte-
cipe. Alle critiche degli euro-scettici e dei dubbio-
si di complemento si affianca la delusione di chi,
consapevole del potenziale dell’Ue, deve ricono-
scerne la modestia dei risultati.
L’Italia ha fatto la sua parte con impegno. Ha
portato l’esperienza di giornate durissime, deci-
sioni rigorose, medici e infermieri in prima linea.
Non è poco. A questo punto però è fondamentale
che l’Europa risponda in concreto e rapidamente
alla richiesta di solidarietà. Giuseppe Conte ha op-
portunamente insistito sulla necessità di titoli eu-
ropei “coronavirus” e di garanzie a sostegno delle
economie dei Paesi Ue più colpiti. Oltre alla Com-
missione, sulla stessa linea si è espressa solo la
Francia, che pure qualcuno da noi accusa di oscu-

re trame ai danni dell’Italia. Tiepida e iper-pru-
dente Angela Merkel, mentre altri rigoristi respin-
gevano l’idea senza troppi convenevoli. La strada
è in salita.
Senonché resta l’urgenza di provvedimenti,
con le opportune modalità tecniche, che l’Europa
non deve procrastinare. Dieci anni fa le tergiver-
sazioni e le pastoie decisionali dell’Ue nell’inter-
vento di stabilizzazione finanziaria in Grecia fece-
ro lievitare enormemente per tutti il costo del risa-
namento. Occorre evitare l’errore di allora, tanto
più che oggi le dimensioni della crisi fanno paura
e impongono di ristabilire quanto prima la fidu-
cia negli e tra gli Stati oltre che sui mercati.
Non bastano procedure e strumenti ordinari.
Ci vorrebbero gesti decisi, di forte empatia. Nel
1970 a Varsavia, senza curarsi della contrarietà
anche di alcuni amici, Willy Brandt cadde in gi-
nocchio in silenzio davanti al monumento alle vit-
time del nazismo. Oggi in Europa nessun leader è
in grado di emularlo con un messaggio così con-
tundente e convincente. Né Macron isolato an-
che se evoca “la guerra” alla pandemia, né Mer-
kel prigioniera dei tatticismi e refrattaria a scatti
di audacia anche se vicina al tramonto, né altri
miopi e svogliati. Eppure dovrebbero sapere che
per l’Ue questa è forse l’ultima possibilità per ri-
sorgere, con consapevolezza e lungimiranza,
nell’interesse comune. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

LE RISORSE

PER VINCERE

IL CONTAGIO

STEFANO LEPRI

LI


LETTERE

& IDEE

Oltre al dolore per le migliaia di vittime e
agli incalcolabili effetti della recessione eco-
nomica, il coronavirus rischia di lasciare die-
tro di sé un’Europa in macerie. Una buona
notizia per chi persegue quell’obiettivo, più
o meno dichiaratamente; una prospettiva
allarmante per quanti credono che, pur tra
debolezze e ritardi, il progetto europeo sia
essenziale, nell’interesse dei Paesi membri
e dell’Unione.
E’ naturale che nell’attuale congiuntura
le attese siano rivolte a Bruxelles, per un ap-
proccio comune alla sfida epocale in corso e
per misure rapide ed efficaci. L’Europa ne
sta prendendo consapevolezza, ma troppo
lentamente e con molte incertezze. La vi-
deo-conferenza dei leader Ue di martedì po-
meriggio ha prodotto qualche intesa, per il
controllo delle frontiere esterne dell’Unio-
ne, il mantenimento della libertà di circola-
zione intra-Ue delle merci, l’urgente ap-
provvigionamento congiunto di mascheri-
ne e respiratori. Tuttavia, l’esito della riu-
nione è stato di ordinaria amministrazione.
E’ mancato, nonostante i tempi eccezionali
che viviamo, un colpo d’ala capace di far
sentire l’Europa vicina e partecipe. Alle criti-
che degli euro-scettici e dei dubbiosi di com-
plemento si affianca la delusione di chi, con-
sapevole del potenziale dell’Ue, deve rico-
noscerne la modestia dei risultati.
L’Italia ha fatto la sua parte con impegno.
Ha portato l’esperienza di giornate durissi-
me, decisioni rigorose, medici e infermieri
in prima linea. Non è poco. A questo punto
però è fondamentale che l’Europa risponda
in concreto e rapidamente alla richiesta di
solidarietà. Giuseppe Conte ha opportuna-
mente insistito sulla necessità di titoli euro-
pei “coronavirus” e di garanzie a sostegno
delle economie dei Paesi Ue più colpiti. Ol-
tre alla Commissione, sulla stessa linea si è

espressa solo la Francia, che pure qualcuno
da noi accusa di oscure trame ai danni dell’I-
talia. Tiepida e iper-prudente Angela Mer-
kel, mentre altri rigoristi respingevano l’i-
dea senza troppi convenevoli. La strada è in
salita.
Senonché resta l’urgenza di provvedi-
menti, con le opportune modalità tecniche,
che l’Europa non deve procrastinare. Dieci
anni fa le tergiversazioni e le pastoie decisio-
nali dell’Ue nell’intervento di stabilizzazio-
ne finanziaria in Grecia fecero lievitare
enormemente per tutti il costo del risana-
mento. Occorre evitare l’errore di allora,
tanto più che oggi le dimensioni della crisi
fanno paura e impongono di ristabilire
quanto prima la fiducia negli e tra gli Stati
oltre che sui mercati.
Non bastano procedure e strumenti ordi-
nari. Ci vorrebbero gesti decisi, di forte em-
patia. Nel 1970 a Varsavia, senza curarsi
della contrarietà anche di alcuni amici, Wil-
ly Brandt cadde in ginocchio in silenzio da-
vanti al monumento alle vittime del nazi-
smo. Oggi in Europa nessun leader è in gra-
do di emularlo con un messaggio così con-
tundente e convincente. Né Macron isolato
anche se evoca “la guerra” alla pandemia,
né Merkel prigioniera dei tatticismi e refrat-
taria a scatti di audacia anche se vicina al tra-
monto, né altri miopi e svogliati. Eppure do-
vrebbero sapere che per l’Ue questa è forse
l’ultima possibilità per risorgere, con consa-
pevolezza e lungimiranza, nell’interesse co-
mune. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

LO SCATTO

CHE MANCA

ALL’UNIONE

MICHELE VALENSISE

P

rima di chiuderci nelle nostre case per
scontare la quarantena abbiamo com-
prato moltissima farina. In altre nazio-
ni la gente ha fatto scorta di carta igie-
nica o ha accatastato confezioni di ac-
qua minerale nei carrelli. Noi italiani
invece ci siamo premurati di avere un numero suf-
ficiente di pacchi di farina su cui contare. Eppure
siamo cresciuti nell’artificio. Abbiamo mangiato
roba industriale, buonissima, da quando siamo
nati. Per attribuire il gusto a qualcosa ci siamo fi-
dati del nome scritto sulla confezione. A chi im-
porta davvero se tra gli ingredienti di una tortina
c’è davvero la carota, o negli gnocchi le patate?
Quel che importa è che siano buoni, e lo erano, lo
sono sempre stati. La cosa curiosa è che tutte quel-
le bellissime confezioni di pasta, o le scatole di bi-
scotti, le merendine, il pane a cassetta sono anco-
ra lì, sugli scaffali dei supermercati, a nostra di-
sposizione. Ma noi abbiamo comprato farina.
Pensavamo che saremmo stati più bravi di loro,
che avremmo fatto dei pasticcini buonissimi nei
nostri forni inadeguati, con le ricette trovate su In-
ternet? Noi che fino all’arrivo della pandemia
non avevamo il minimo interesse per cucinare,
correvamo a lavorare, a divertirci, e quando era il
momento di mangiare scartavamo roba che met-
tevamo nel microonde, o scaldavamo sughi, sbat-
tevamo petti di pollo su una piastra, aprivamo sac-
chetti in cui l’insalata era già tagliata e lavata...
Certo, adesso abbiamo tempo.
Il tempo è l’unico bene la cui disponibilità è au-
menta in maniera esponenziale. Ma il tempo non
basta e così come senza alcun dubbio non divente-
remo violinisti studiando per l’intera quarante-
na, non si capisce perché dovremmo trasformar-
ci in fornai. Ma la verità è che non ci importa. Non
è per questa ragione che abbiamo comprato tutta
quella farina. Noi volevamo fare soltanto una co-
sa: impastare. Fare quei vulcani con il latte al cen-

tro, sbriciolarci il burro sempre troppo freddo, le
uova che non sai mai se con o senza il bianco, o il
rosso. E poi mischiare tutto, lasciando che il latte
coli fino a terra, e il burro si appiccichi al calice di
vino che teniamo a portata di mano. Una specie
di esercizio zen, tipo “metti la cera togli la cera” di
karatè kid. Non impastiamo per cucinare davve-
ro qualcosa, e tantomeno per cucinare qualcosa
di buono. Conosciamo i nostri limiti. Certo, poi li
inforniamo perché è brutto buttare quella roba
appiccicosa nella spazzatura. I ciambelloni sgon-
fi possiamo sempre rifilarli ai vicini simulando ge-
nerosità (e il vicino sarà costretto a buttarli nel bi-
done fuori dal cortile, simulando apprezzamen-
to) e le tagliatelle che sanno di segatura divente-
ranno le fionde dei bambini. Già, i bambini. An-
che i bambini impastano. Basta tirare su le mani-
che dei maglioni, una sedia per arrivare al piano,
lavarsi prima le mani. Ai bambini piace impasta-
re, o almeno questo è quello che pensiamo noi. Di
certo ai bambini piace più impastare che mettere
in ordine la propria stanza, o lavarsi i denti. Ma so-
no quasi sicura che piaccia loro meno che guarda-
re i cartoni, o fare un qualsiasi gioco col tablet, il
telefonino, il computer. Ma noi pensiamo che im-
pastare è meglio. Perché è un gesto antico, lo face-
vano le nostre madri, i nostri nonni, i bisnonni, lo
facevano nei Promessi Sposi e persino nella Divi-
na Commedia. E quando abbiamo paura ci voltia-
mo sempre indietro, pensiamo che abbiamo cor-
so troppo, che dobbiamo rallentare. Dobbiamo
fare il pane, quando abbiamo paura. D’accordo,
facciamo il pane. Tanto quando il virus passerà
torneremo a correre per strada, a ballare, andre-
mo a lavorare come fosse la cosa più bella del
mondo. E nel forno torneremo a infilarci le pizze
surgelate. E un giorno, tra molti anni, troveremo
nascosti da qualche parte tutti quei pacchi di fari-
na e finalmente ci verrà da ridere. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

TM

REDAZIONE
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Nella crisi economica che ormai si teme la
più grave da 75 anni a questa parte, l’Italia è
più fragile degli altri non solo perché da noi
il virus è arrivato prima. Il panico sui merca-
ti che si è aggravato ieri, e continuerà, pro-
viene dall’impressione che gli Stati Uniti sia-
no impreparati a reagire, e che la Cina non
sia in grado di avviare la ripresa mondiale
come fece nel 2009.
Il dato di fondo confortante è che il mon-
do ha risorse in abbondanza per riprender-
si. Proprio le disuguaglianze prodotte dalla
globalizzazione hanno permesso di accu-
mulare una enorme quantità di risparmio. I
governi potranno attingervi per tutti gli in-
terventi necessari a sostenere l’economia in-
debitandosi a tassi di interesse molto bassi.
Solo l’Italia avrà difficoltà a far questo. La
salita dello «spread», poi fermata dalla Bce
ma che potrebbe riprendere, esprime il ti-
more che lo sforzo sia troppo grande per un
Paese così indebitato, e con una economia
già quasi ferma. Si rischia un circolo vizio-
so: se i creditori sospettano che l’Italia non
ce la faccia, imporranno al suo debito tassi
che le impediranno di sostenerlo.
Le severe regole di bilancio dell’euro, con-
tro cui fino a ieri la maggior parte dei nostri
politici inveiva, sono di fatto sospese. Pos-
siamo spendere quanto vogliamo; il proble-
ma è evitarne i contraccolpi. L’unione mone-
taria europea, altro che impedirci, offre una
speranza di salvezza; purché riesca a rispon-
dere alla sfida di una catastrofe imprevista,
nuova sotto tutti gli aspetti.
La Francia vuole aiutarci, dopo aver co-
piato tutte le nostre misure di isolamento
compreso il modulo di autocertificazione.
La Germania esita, eppure Angela Merkel e
il suo vice, il ministro delle Finanze Olaf
Scholz, con cautela stanno cercando di far
maturare la disponibilità a interventi comu-
ni dell’Europa.
La mentalità tedesca, moralistica e legali-
stica, consiglia di non offrire soccorso trop-
po presto, prima che chi è in difficoltà mo-
stri di aver fatto tutti gli sforzi che può. Qua-
le segnale migliore si potrebbe dare che
bloccare subito i pensionamenti anticipati
di «quota 100»? Si tratta di una misura co-
stosissima che tra l’altro ha privato gli ospe-
dali di medici esperti.
Se il disordine sui mercati finanziari conti-
nuerà, non è escluso che l’Italia debba rivol-
gersi al Mes o Esm, quell’istituzione che nei
mesi scorsi alcuni dipingevano come stru-
mento per asservirci. No, sarebbe la soluzio-
ne più praticabile; e dato il disastro senza
precedenti che tutto il continente affronta,
certo non ci imporrebbe condizioni esose.
Dall’Europa tuttavia occorre altro, in ag-
giunta a misure dei singoli Stati che sembra-
no andare nella stessa direzione: nessuna
azienda deve chiudere, nessun lavoratore
deve perdere il posto. Può darsi che il model-
lo sociale europeo si riveli più adatto di quel-
lo americano a reggere alle conseguenze
della pandemia;a però bisogna anche elimi-
nare le debolezze che mostra.
Massicci aiuti alle aziende, e forse alle
banche, andranno coordinati. Ad esempio,
le compagnie aeree andranno sostenute,
perché il blocco dei voli non le mandi in ban-
carotta. Se ogni Stato lo fa per conto suo, sa-
ranno in parte (o tutti, nel caso italiano) sol-
di buttati. Occorre invece un piano di aggre-
gazioni continentale che ponga fine al mito
della «compagnia di bandiera».
Anche in altri settori, i poteri pubblici do-
vranno mostrare che il loro ruolo, accresciu-
to dall’emergenza, risponde a un progetto.
Il debito aggiuntivo diverrà sostenibile se si
prova che serve a costruire un futuro nuo-
vo, non a tornare a vecchie abitudini. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

DAL PANE AI BISCOTTI

IN QUARANTENA

TORNA LA VOGLIA DI IMPASTARE

ELENA STANCANELLI

La Stampa
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Anna Masera
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SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

P

roprio le diseguaglianze pro-
dotte dalla globalizzazione
hanno permesso di accumula-
re una enorme quantità di ri-
sparmio. I governi potranno at-
tingervi per tutti gli interventi
necessari a sostenere l’economia indebi-
tandosi a tassi di interesse molto bassi.
Solo l’Italia avrà difficoltà a far questo.
La salita dello «spread», poi fermata dalla
Bce ma che potrebbe riprendere, esprime
il timore che lo sforzo sia troppo grande
per un Paese così indebitato, e con una eco-
nomia già quasi ferma. Si rischia un circo-
lo vizioso: se i creditori sospettano che l’Ita-
lia non ce la faccia, imporranno al suo debi-
to tassi che le impediranno di sostenerlo.
Le severe regole di bilancio dell’euro,
contro cui fino a ieri la maggior parte dei no-
stri politici inveiva, sono di fatto sospese.
Possiamo spendere quanto vogliamo; il
problema è evitarne i contraccolpi. L’unio-
ne monetaria europea, altro che impedirci,
offre una speranza di salvezza; purché rie-
sca a rispondere alla sfida di una catastrofe
imprevista, nuova sotto tutti gli aspetti.
La Francia vuole aiutarci, dopo aver co-
piato tutte le nostre misure di isolamento
compreso il modulo di autocertificazio-
ne. La Germania esita, eppure Angela
Merkel e il suo vice, il ministro delle Fi-
nanze Olaf Scholz, con cautela stanno
cercando di far maturare la disponibilità
a interventi comuni dell’Europa.
La mentalità tedesca, moralistica e le-
galistica, consiglia di non offrire soccorso
troppo presto, prima che chi è in difficol-
tà mostri di aver fatto tutti gli sforzi che
può. Quale segnale migliore si potrebbe
dare che bloccare subito i pensionamenti
anticipati di «quota 100»? Si tratta di una
misura costosissima che tra l’altro ha pri-
vato gli ospedali di medici esperti.
Se il disordine sui mercati finanziari
continuerà, non è escluso che l’Italia deb-
ba rivolgersi al Mes o Esm, quell’istituzio-
ne che nei mesi scorsi alcuni dipingevano
come strumento per asservirci. No, sareb-
be la soluzione più praticabile; e dato il di-
sastro senza precedenti che tutto il conti-
nente affronta, certo non ci imporrebbe
condizioni esose.
Dall’Europa tuttavia occorre altro, in
aggiunta a misure dei singoli Stati che
sembrano andare nella stessa direzione:
nessuna azienda deve chiudere, nessun
lavoratore deve perdere il posto. Può dar-
si che il modello sociale europeo si riveli
più adatto di quello americano a reggere
alle conseguenze della pandemia;a però
bisogna anche eliminare le debolezze
che mostra.
Massicci aiuti alle aziende, e forse alle
banche, andranno coordinati. Ad esem-
pio, le compagnie aeree andranno soste-
nute, perché il blocco dei voli non le man-
di in bancarotta. Se ogni Stato lo fa per
conto suo, saranno in parte (o tutti, nel ca-
so italiano) soldi buttati. Occorre invece
un piano di aggregazioni continentale
che ponga fine al mito della «compagnia
di bandiera».
Anche in altri settori, i poteri pubblici
dovranno mostrare che il loro ruolo, ac-
cresciuto dall’emergenza, risponde a un
progetto. Il debito aggiuntivo diverrà so-
stenibile se si prova che serve a costruire
un futuro nuovo, non a tornare a vecchie
abitudini. —
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SEGUE DALLA PRIMA PAGINA

18 LA STAMPAGIOVEDÌ19 MARZO 2020


LI

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