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P
assata la buriana forze
politiche, autonomie
locali, sindacati e im-
prese potranno torna-
re a litigare. E’ fisiolo-
gico in tempi normali.
Nell’Italia dello “state a casa” e
delle imprese, piccole e grandi,
costrette a chiudere le asce di
guerra vanno seppellite. Il gover-
no deve poter contare sulla solida-
rietà dell’opposizione e, per con-
verso, coinvolgerla nelle scelte in
cui è in gioco la salute degli italia-
ni e il loro futuro.
Collaborare fra nemici politici
è un paradigma che sta alla classe
politica sciogliere. Ci riuscirono
democristiani, comunisti (stalini-
sti) e galassia liberaleggiante alla
fine degli anni ’40; non dovrebbe
essere impresa impossibile per
pentastellati, leghisti, Pd e Fi. Se
non lo faranno ne pagheranno il
prezzo alle urne, dopo averne fat-
to pagare uno ben più alto al Pae-
se. Quanto alla provinciale dialet-
tica Roma-Regioni impallidisce
di fronte alle profonde spaccatu-
re di Nord sotto Salò e in guerra
partigiana, Roma città aperta,
Sud liberato dagli alleati.
L’unità nazionale consente di fa-
re appello ai migliori talenti su piaz-
za, senza far caso a colori o simpa-
tie. Donald Trump si è fatto affian-
care da uno spietato critico, Antho-
ny Fauci; ma è il miglior immunolo-
go americano, ben venga alla Casa
Bianca. Bene ha fatto la Lombar-
dia ad arruolare Guido Bertolaso –
iniziò un’imbattibile carriera
creando da un prato l’ospedale per
rifugiati di Ta Phraya, in Thailan-
dia. Abbiamo tanti disoccupati ec-
cellenti, tipo Mario Draghi per il
fronte economico. Il Presidente
del Consiglio fa miracoli per tenere
insieme il Paese, ma è isolato. Ha bi-
sogno di una sorta di consiglio di si-
curezza nazionale, che ne sorreg-
ga le conferenze stampa notturne
con un’ampia rete d’esperienze, co-
noscenze, contatti. E rassicuri gli
italiani che il premier non è solo.
Se questa è una guerra, e lo è,
serve far quadrato intorno a chi è
al fronte. Il nemico è invisibile.
Non lo è l’esercito di chi lo combat-
te. Se vogliamo che vinca dobbia-
mo dargli non solo solidarietà e
plauso, ma anche mezzi sufficien-
ti e protezione. Non mandarlo al-
lo sbaraglio. Altrimenti ripetere-
mo gli errori del passato, degli Al-
pini nella campagna di Russia
con le gavette di ghiaccio, dei rac-
conti di mia madre, infermiera a
Napoli, di amputazioni di gambe
e piedi congelati di soldati che tor-
navano dalle montagne di Grecia
e Albania. Erano andati con i san-
dali per deserto africano.
Dobbiamo risparmiare questa
sciatteria a medici, infermiere, au-
tisti di ambulanze, all’intero
schieramento sanitario che si è
mobilitato senza se e senza ma. A
fianco e dietro di loro, ai milioni
di persone che fanno sopravvive-
re il Paese in regime di “state a ca-
sa”, tenendo aperte farmacie e su-
permercati e lavorando nei molti
settori “essenziali”.
Gli italiani non sono ingrati. Lo
hanno dimostrato con gli scrosci
di applausi dai balconi che saluta-
vano l’abnegazione, spesso ai limi-
ti dell’eroismo, del nostro persona-
le sanitario. Vanno ringraziati an-
che la commessa di Conad o l’inge-
gnere di Acam. Ma la gratitudine
non basta. Tocca a chi ha responsa-
bilità gestionali a tutti i livelli, dal
Presidente del Consiglio al dirigen-
te di Asl, tradurle in misure concre-
te per dare alle nostre truppe mez-
zi, sicurezze e protezione sufficien-
ti per vincere questa guerra. —
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SEGUE DALLA PRIMA PAGINA
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STEFANO STEFANINI
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T
ra i dati giornalieri che ci vengo-
no forniti dalla Protezione Civi-
le sui casi di Covid-19 quelli che
contano, in quanto certi e ogget-
tivi, sono solo il numero dei de-
cessi e dei ricoverati (in terapia
intensiva o in altri reparti). Solo questi.
Non dobbiamo assolutamente guardare il
numero dei nuovi contagiati: è un valore fuor-
viante perché rappresenta solo una porzione
del vero totale degli infetti, e restituisce quindi
un quadro che sottostima la situazione reale.
Il tampone viene fatto solo alle persone che
manifestano sintomi evidenti, e in molti casi
nemmeno a tutte queste: ci sono infatti parec-
chi soggetti sintomatici a cui il tampone non
viene eseguito. Il (parziale) censimento dei so-
li casi sintomatici è inoltre temporalmente sfa-
sato rispetto al momento in cui l’infezione è
stata contratta, visto che il periodo di incuba-
zione dura in media circa 6 giorni (fino a un
massimo di 14 giorni) e che possono passare
altri 2 giorni circa per l’effettuazione del prelie-
vo e avere poi l’esito del tampone.
Quale può essere il numero effettivo dei
contagiati? È difficile da dire. Lo scorso 16
marzo sulla nota rivista Science è stata pub-
blicata una ricerca condotta dall’Imperial
College di Londra e dalla Columbia Universi-
ty secondo la quale l’86% dei contagiati dal
coronavirus in Cina sono state persone non
registrate come infette, in quanto prive di sin-
tomi (o con sintomi così lievi da non essere se-
gnalati): vale a dire 6 volte tanto il numero
dei casi registrati. L’esperienza di Vo’ Euga-
neo (dove i tamponi sono stati fatti a tutti a
tappeto) porta a pensare che i casi totali pos-
sano essere 3 volte superiori a quelli ufficiali.
Altre stime dicono che questo numero possa
addirittura essere 10 volte più alto. Alla luce
di questo, è del tutto inopportuno fare proie-
zioni sul possibile picco (di cui tanto si è parla-
to e si parla, guarda caso rimandandolo di set-
timana in settimana) sulla base del numero
dei contagiati registrati. Alla stessa stregua
non è il caso di calcolare il tasso di mortalità
usando come denominatore il dato ufficiale
degli infetti: i morti in rapporto al numero to-
tale dei Covid-19 è molto inferiore rispetto al-
la terribile percentuale che oggi deriva dai nu-
meri utilizzati (9% di decessi!) e non rende
giustizia delle ottime cure offerte dall’enco-
miabile lavoro di medici, di infermieri e
dell’altro personale del nostro straordinario
Servizio Sanitario Nazionale.
Alla luce di queste considerazioni, credo
che le cose da fare sarebbero due. Primo. Noi
tutti dovremmo comportarci come se chiun-
que (ognuno di noi compreso) fosse infetto,
usando quindi scrupolosamente tutte le ac-
cortezze del caso. Non uscire di casa e, se pro-
prio si deve, stare distanti gli uni dagli altri, la-
varsi le mani. Come se tutti fossimo portatori
del virus. Secondo. Il Governo dovrebbe isti-
tuire un sito web nel quale tutte le persone
che hanno sintomi perduranti (febbre, tosse
secca, spossatezza, rinorrea, ecc.), ma che ad
oggi non sono censite quali infette perché
non oggetto di test, siano chiamate a segnala-
re la loro condizione e la propria posizione
(con adeguate conseguenze penali in caso di
omesse o false dichiarazioni). In questo mo-
do si avrebbe una mappatura (aggiornata)
dei casi non ospedalizzati e della loro distri-
buzione sul territorio, sicuramente più signi-
ficativa di quanto non sia il numero dei nuovi
contagi giornalieri registrato dalla Protezio-
ne Civile. Questo tipo di approccio, inoltre, ci
consentirebbe di avere maggiore consapevo-
lezza delle guarigioni (i casi non inizialmen-
te classificati come contagiati non sono trac-
ciati nemmeno quando risolti), per le quali è
auspicabilmente attesa l’immunizzazione,
contribuendo alla riduzione del rischio com-
plessivo e aumentando il numero di soggetti
pronti a contribuire alla ripartenza. Penso
che si tratti di un’idea concreta, semplice e di
immediata realizzazione. E che potrebbe for-
nire utili informazioni per la comprensione
del Covid-19 e per la programmazione di
eventuali nuove o diverse misure per il conte-
nimento della diffusione del virus. Non man-
cherebbero gli esperti medici ed epidemiolo-
gi nonché le software house disponibili a da-
re un immediato contributo di “menti e brac-
cia”. Certo, ci vuole del senso civico, ma spe-
ro che a questo punto - vista la drammaticità
della situazione in cui ci troviamo - si sia risve-
gliato in ognuno di noi. —
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S
omiglia di più a spe-
gnere e riavviare un
reattore nucleare.
Chiudere attività è fa-
cile: riaprirle non lo è
affatto, e questo è an-
cora più vero in un Paese di pic-
cole e micro imprese come è il
nostro. Realtà con scarso capita-
le alle spalle, vessate da imposte
e adempimenti, già provate da
anni di crescita zero.
Facciamo l’esempio più banale.
Pensate ai bar di cui sono pieni le
nostre città e che vivono grazie al
consumo di caffè e brioche al ban-
co, la mattina, un’abitudine per
milioni di italiani. Potranno so-
pravvivere a un distanziamento
sociale prolungato, forse destina-
to a protrarsi fino alla scoperta di
un vaccino?
Il governo si è posto, per fortu-
na, il problema di tutelare filiere
produttive “essenziali”. Ma la divi-
sione del lavoro è ramificata e com-
plessa. Per fare la passata di pomo-
doro che non deve mancare sugli
scaffali del supermercato non ser-
ve solo che qualcuno quei pomodo-
ri li raccolga: servono macchinari
per lavorarli, macchinari che si pos-
sono rompere e che magari debbo-
no essere sostituiti. Perché siano
sostituiti, qualcuno deve continua-
re a produrli e qualcun altro deve
continuare a mettere a sua disposi-
zione materiali e componenti. Al-
tri ancora debbono trasportare tut-
te queste cose. Se si spezza un anel-
lo della catena, vanno in fumo rela-
zioni e pratiche consolidate e, al-
meno per un certo periodo di tem-
po, il prodotto nei negozi non arri-
va più. Siamo sicuri che sia facile di-
stinguere l’essenziale da ciò che
non lo è?
Nei prossimi mesi, un numero
straordinario di persone benefice-
rà di qualche sostegno, ormai è
chiaro. Nessuno di noi però cerca
di avere un reddito per il gusto di
ricevere il bonifico. Lo stesso vale
per gli aiuti. Lo diceva già Adam
Smith: persino il mendicante, che
dipende dalla carità del suo prossi-
mo, “con il denaro che uno gli dà,
acquista da mangiare”. La carità è
utile solo alla coscienza di chi la
fa, se chi la riceve non ha beni da
poter acquistare.
Il Covid19 ha innescato un feno-
meno di deglobalizzazione che
ha già un effetto distruttivo sulle
filiere internazionali. La chiusura
nazionale lo amplifica.
I generali combattono sempre
l’ultima guerra. Così fa chi pensa
solo a strumenti per “sostenere la
domanda”. Ma oggi bisogna guar-
dare al dato dell’offerta. Questo
vuol dire aiutare le imprese a sta-
re aperte. L’interlocuzione con le
parti sociali dovrebbe mirare a
proteggere nel modo migliore i la-
voratori, non a guadagnare con-
senso chiudendo stabilimenti. La
riconversione delle aziende, affin-
ché possano essere utili a produr-
re mascherine o strumenti per l’e-
mergenza ma soprattutto affin-
ché non interrompano l’attività,
deve essere agevolata in ogni mo-
do. Ai supermercati ora si racco-
manda di prendere la temperatu-
ra a chi entra, pochi giorni fa il Ga-
rante della privacy aveva vietato
alle imprese di fare lo stesso: a ne-
gozi e aziende va data la più am-
pia possibilità di sperimentare
strategie per proteggersi e dun-
que rimanere attivi.
Non abbiamo mai visto un’eco-
nomia fermarsi così, neanche in
tempo di guerra. Combattere la
pestilenza non può voler dire ge-
nerare la carestia. —
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LUNEDÌ 23 MARZO 2020 LA STAMPA 21