L\'Espresso - 22.03.2020

(WallPaper) #1
Italiavirus / La prima linea

sociazione avvocatura degli infermieri
sono arrivate al ministro della Salute e a
tutte le aziende sanitarie alle prese con la
mancanza di protezioni e tamponi.
Appena oltre la stazione di Porta Gari-
baldi a Milano, le fioriture sulle torri del
Bosco verticale sono già un paradiso di
nuvole rosa. Nel silenzio dei viali senza
traffico, anche le sirene lontane mordono
lo stomaco. L’ennesima eliambulanza
della giornata galleggia lenta nella luce
del tramonto verso il tetto del pronto soc-
corso di Niguarda. Piloti e rianimatori os-
servano dai finestrini qui sotto il cortile
dell’ospedale. Maschere e occhialoni an-
che per loro. Scaricano un malato grave in
barella, accompagnato dalla bombola di
ossigeno. Stessa scena intorno alle ambu-
lanze terrestri, che entrano ed escono dal
tunnel dell’accettazione: pazienti pallidi,
il viso coperto dalla mascherina, il vestito
che indossavano a casa, la bombola bian-
ca accanto. I lettighieri ripuliscono l’in-
terno e ripartono. Anche a questi volonta-
ri o stipendiati va il riconoscimento. Rac-
colgono i malati casa per casa, protetti da
semplici camici di cellophane. Ma perfino
nella città metropolitana alcune associa-
zioni di soccorso hanno dovuto fermare


le ambulanze. Ora lavorano a mezzo ser-
vizio: non ci sono mascherine per tutti e
senza protezione non si esce.
Il buio della sera rende visibile la vita
sospesa dentro le grandi finestre della ri-
animazione al primo piano: il monitor
con i battiti rapidi di un cuore in affanno,
i teli verdi, le flebo appese e in mezzo in-
fermieri-astronauti che con mosse misu-
rate controllano parametri vitali, sommi-
nistrano terapie, cambiano i farmaci. La
distesa dei loro pazienti è appena sotto il
davanzale, ovviamente non visibile da
fuori. Li si possono immaginare sdraiati a
pancia in giù, uno accanto all’altro, come
fosse una nuova sceneggiatura dei registi
Andy e Larry Wachowski per un sequel
del film Matrix. Dal 21 febbraio, dopo la
conferma del primo focolaio di Covid-
in provincia di Lodi, l’attività degli ospe-
dali in Lombardia corre molto più veloce
di ogni tetra fantasia.
«Ti senti protagonista di un film di fan-
tascienza», racconta al telefono Anna, in-
fermiera nel reparto di terapia intensiva
di un grande ospedale di Milano, un com-
pagno e due figlie sotto i dieci anni, con
cui vive in autoisolamento: «Mi occupo di
rianimazione dal 2001, ma adesso è dav-

A destra: il personale
dell’ospedale di Brescia
si prepara all’arrivo di
un’ambulanza nell’area
in cui è stata creata
una tensostruttura per
facilitare le procedure

«Non ci facciamo illusioni. Non arriverà alcun nuovo medico
a darci una mano. Lo sappiamo benissimo che le truppe in
campo sono queste. E su queste dobbiamo contare», parla
un pneumologo, ha appena smontato il turno in un reparto
Covid-19 di un ospedale comasco, chiede l’anonimato,
perché tutte le direzioni sanitarie hanno vietato a medici e
infermieri di riferire alla stampa quello che sta succedendo
in corsia. Eppure sono molti a volersi raccontare. Nelle
parole c’è la volontà di denunciare le mancanze - dal
personale che scarseggia, alle introvabili mascherine -,
e l’urgenza di condividere il peso della sofferenza, che è
enorme. «Qui, nel nostro ospedale, abbiamo trascorso le
prime due settimane a vincere la resistenza della direzione
sanitaria, contraria a creare percorsi di isolamento, dal
triage alle rianimazioni. Siamo riusciti a spuntarla e a


IN ATTESA DEI RINFORZI


Nelle corsie manca personale. Pochi gli specializzandi e i pensionati che hanno risposto all’appello


di Gloria Riva


mettere a punto il sistema appena in tempo, perché il
giorno successivo i letti sono stati tutti riempiti, al ritmo di
un nuovo paziente ogni quindici minuti. Eravamo già sotto
organico prima che tutto questo cominciasse, iguriamoci
adesso». L’aiuto viene dai colleghi specialisti di altri reparti:
chirurghi, isiatri, dermatologi, persino gli anatomopatologi
si fanno avanti, «perché di pneumologi, rianimatori e
anestesisti ce ne sono pochi e sappiamo che le aziende
sanitarie non riusciranno ad assumerne di nuovi. Non per
cattiva volontà, semplicemente perché non ce ne sono.
Quelli in pensione non hanno risposto alla “chiamata alle
armi” (se non in minima parte), spaventati dall’elevata
contagiosità del virus. Ed è impossibile fargliene una colpa».
I tentativi della Regione Lombardia di assumere nuovo
personale hanno dato scarsi risultati, se non altro perché i
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