L\'Espresso - 22.03.2020

(WallPaper) #1
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Papa Giovanni XXIII. I produttori di ossi-
geno liquido hanno raddoppiato le forni-
ture ai reparti di tutta la provincia, dopo
aver allestito un serbatoio mobile da
trentamila litri in città, che si aggiungono
ai quarantamila distribuiti dall’impianto
già esistente. Le aziende del settore sono
state precettate dai carabinieri perché il
servizio non rischi interruzioni. E con la
ferocia mostrata a Bergamo, l’epidemia
sta attraversando Brescia e la sua provin-
cia. Romeo, infermiere agli Spedali Civili,
si è dovuto fermare: «Sono positivo, sì,
ma vivo solo e mi sono autoisolato con un
po’ di viveri. La febbre è passata, è però
rimasta la tosse e non sento più odori e
sapori. Guarirò. Ma un collega da giorni
ha la febbre e stasera al telefono mi ha
detto che aveva problemi a respirare. Lo
ammetto, ho un po’ di paura. Mi faccio
coraggio pensando ai tanti che riescono a
mantenersi stabili e vengono dimessi».
Come per ogni piena, si attende che
scenda l’onda. «Non è proprio il momen-
to di abbassare la guardia, questo è fon-
damentale», spiega all’Espresso Michele
Carlucci, primario dell’Unità operativa
d’emergenza e accettazione dell’ospedale
San Raffaele di Milano: «Quanti si infetta-
no oggi manifestano i loro sintomi più in
là. Vedremo quello che accadrà nei pros-
simi giorni, grazie alle decisioni prese per
contenere la malattia. Abbiamo visto con


quale velocità si è diffusa. Bisognerà sa-
per aspettare».
Eppure c’è sempre chi è convinto di es-
serne immune. Come la proprietaria e i
clienti di un locale karaoke, denunciati in
settimana dalla polizia a Brescia: saraci-
nesca abbassata, entravano dal retro. «È
incredibile ma ancora oggi», racconta
Elena, mamma e infermiera in un ospe-
dale in Brianza, «mi telefonano le amiche
e mi chiedono se la situazione sia davvero
così grave. Io, chiusa nelle mie protezio-
ni, li vedo soffrire i malati. Li vedo anche
morire. Un uomo cosciente nel suo casco
di plastica per l’ossigeno mi ha preso la
mano e mi ha chiesto di chiamargli un
prete. Un altro che stavamo per intubare
mi dice: salutate mia moglie e mia figlia.
Queste cose le viviamo fin dal primo gior-
no in tutti gli ospedali: ma non possiamo
pubblicarle, perché ci licenzierebbero.
Questa tragedia cambierà il mondo. Ma
ha già cambiato ciascuno di noi». Q

MI HA CHIAMATO UN COLLEGA.

AVEVA UN PO’ DI FEBBRE,

ORA FATICA A RESPIRARE.

SÌ, LO AMMETTO, ORA HO PAURA
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