L\'Espresso - 22.03.2020

(WallPaper) #1
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l primo a morire fu un ex camionista. Si chiama-
va Franco Orlandi, aveva 83 anni. Era un caldo
lunedì 24 febbraio, caldo per la stagione e per la
latitudine. Da nove giorni era ricoverato nel re-
parto medicina dell’ospedale di Alzano Lom-
bardo. Che fosse stato il coronavirus lo scopri-
rono col tampone solo dopo. Quando il nemico
invisibile era già dilagato da quel corpo sofe-
rente per infettare chiunque gli fosse passato accanto. For-
se il paziente zero tanto cercato andava individuato qui,
non a Codogno. L’ospedale di Alzano, dove da 30 anni si
tiene la “Berghem Fest” storico appuntamento della Lega
Nord, serve la Bassa Valseriana, compreso il paese coni-
nante, Nembro.
Franco Orlandi era di Nembro. Il paziente zero e il morto
numero uno che annunciava il più crudele dei mesi per
Nembro, il marzo dei lutti, 94 cadaveri nei primi quindici
giorni, ino alle Idi, in una comunità di 11.500 anime, dove
la media dei tempi normali è di dieci funerali al mese. Sul
fronte del virus sono caduti il bibliotecario, l’ostetrica, l’im-
piegata dell’anagrafe, l’intellettuale, il factotum del cine-te-
atro, il nonno-volontario alle strisce pedonali, il presidente

I


della casa di riposo, il presidente del motoclub, il presiden-
te degli artiglieri, venti alpini, tre fratelli, due commercian-
ti. Più tutti gli altri, meno conosciuti, non per questo meno
importanti. Nessuno di loro avuto diritto alle esequie. Ce
ne sarà, forse, una collettiva, “dopo”, quando tutto sarà ini-
to, quando comunque niente sarà più lo stesso. Questa è la
Spoon River di un paese tra i più colpiti dalla malattia par-
tita da Wuhan, Cina.
All’inizio degli anni Settanta Nembro conobbe la novità
della biblioteca, una sola grande sala nell’ediicio accanto
al municipio che subito divenne il luogo di ritrovo per i ra-
gazzi delle scuole medie. Dove studiare e dove darsi i primi
baci al riparo degli scafali. A condurla era Tullio Carrara,
giovane laureato al primo impiego dai lunghi capelli corvi-
ni, custode non eccessivamente occhiuto del silenzio e
dell’ordine, complice silenzioso delle timide efusioni amo-
rose che ingeva di non vedere. Si era battuto per avere spa-
zi più larghi, prima nel seminterrato dei condomini rossi,
poi nello splendido palazzo neoclassico con inluenze Li-
berty di piazza Italia, il capolavoro della sua tenacia. Alle-
natore delle squadre di calcio dell’oratorio, catechista, an-
che nell’ultimo inverno della sua esistenza terrena, l’ultimo
di 72, Tullio teneva corsi di latino, sulla Divina Commedia e
sul Vangelo, a un gruppo di afezionati seguaci. In nome
della sua fede cattolica, la moglie Giuliana ha voluto scrive-
re che «è tornato alla casa del padre».
Per noi adolescenti negli anni più fervidi della passione
politica, l’impegno aveva il volto di Giulio Bonomi, un fale-
gname autodidatta che aveva una stretta somiglianza con
Michail Suslov, il severo depositario dell’ortodossia sovieti-
ca. Gli occhiali minuscoli, il corpo segaligno, il ciufo di ca-
pelli che gli scendeva ribelle sulla fronte. Nelle riunioni ave-
va sempre la postura del bastian contrario, un padre severo
più che un “compagno” fratello maggiore. Ne sapeva, oh se
ne sapeva. Era stato democristiano da giovane, igura
importante del dissenso cattolico bergamasco. Con
Lucio Magri, il notaio Carlo Leidi e Giuseppe Chia-
rante aveva traslocato negli anni Cinquanta nel Pci e
quindi nel 1969 aderito alla scissione del Manife-
sto. Democrazia proletaria e Rifondazione comu-
nista le altre sue declinazioni successive. Aveva
nel cuore gli operai, assiduo nelle occupazioni
delle fabbriche dove si rischiava di perdere il po-
sto di lavoro. Scomodo, ingombrante e retto, fe-
dele a se stesso: la parabola che gli ha fatto at-
traversare diversi partiti la attribuiva agli altri
che cambiavano rotta. Inviso ai moderati e
alle destre per le sue idee, però rispettato. Lui
era il “diverso parere” con cui confrontarsi. Il
ringraziamento dei suoi cari alla casa di riposo
è il segno che lì ha inito i suoi giorni dopo aver
contato 92 genetliaci.
Nella casa di riposo c’è stato un numero
esorbitante di polmoniti, eufemismo per cela-
re il Covid-19. Non poteva rimanerne immu-
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