L\'Espresso - 22.03.2020

(WallPaper) #1

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cazione alla cittadinanza manchi prima di tutto tra chi ne le-
gifera. Non mi è mai sembrato casuale che il nostro Ministero
sia “dell’Istruzione” e non “dell’Educazione”, mentre è proprio
di una scuola che sia anche educativa che abbiamo un dispe-
rato bisogno. È l’educazione, ancor prima dell’istruzione, a
renderci cittadini di una democrazia e gli assembramenti
sconsiderati dei giorni scorsi, gli assalti ai treni, agli aeroporti
e ai supermercati, lo dimostrano: si è trattato di gente con
ogni probabilità istruita, ma non per questo educata.

Q

uel poco di questa materia che si fa in classe, poi,
si potrebbe fare in modo diverso, senza ridurre
tutto a nozione, a qualche articolo di codice o di
costituzione da mandare a memoria. Non è utile
che sia, come era ieri e come è ancora oggi, un’appendice di
altre discipline, o una scheda che si legge alla ine del capi-
tolo di Storia o di Geograia (altra materia impoverita pro-
prio nel mondo iperconnesso e globalizzato di oggi). Non è
sensato che la possa trattare indiferentemente questo o
quell’insegnante alla ine della sua ora e in coda alla sua
speciica materia, come sembrava proporre il governo pre-
cedente. La nostra Costituzione è la più bella del mondo ed
è scritta in modo formidabile, i dodici principi fondamen-
tali vanno letti e imparati, è utile conoscere cosa c’è scritto
nella Costituzione Americana e fa la diferenza sapere
quando è nata l’Unione Europea: nessuno lo mette in dub-
bio. Tutto questo, però, rischia di non bastare e di non avere
ricadute concrete sulla nostra vita, particolarmente su
quella adulta. Su questo sì che la scuola dovrebbe pensare
alla trasformazione in azioni e in comportamenti degli in-
segnamenti che impartisce, ben di più che sulla prepara-
zione al lavoro. Abbiamo bisogno di un’Educazione Civica
che sia politica, ossia funzionamento della polis, dello spa-
zio che abitiamo, delle regole per far stare in piedi l’appara-
to complesso della nostra società, di cui troppo spesso non
conosciamo gli ingranaggi ma pretendiamo che funzioni-
no gratuitamente, subito e al meglio. Ecco perché l’Educa-
zione Civica dovrebbe diventare un sapere prima di tutto
laboratoriale, dove con gli studenti si leggono i giornali, si
naviga sulle fonti web in modo guidato, si studia economia,

così da far conoscere – tanto per fare esempi in tema con
ciò che stiamo vivendo - cos’è un’epidemia, come ci si com-
porta in caso di emergenza, cos’è l’efetto gregge, come fun-
ziona un sistema sanitario, come è organizzata la macchi-
na statale che permette la nostra assistenza e via dicendo.
Questo sapere empirico, così trascurato rispetto a cono-
scenze teoriche a macchia di leopardo, che lo si voglia o no,
è fare politica, quella di cui tanti politici di professione han-
no paura che si faccia in classe, probabilmente perché cre-
dono che gli insegnanti la farebbero nei loro stessi modi.

N


ulla di tutto ciò si può ovviamente improvvisare.
Per fare questo noi docenti dovremmo essere for-
mati – in pedagogia, in storia contemporanea, in
informatica – altrimenti il rischio è quello di inse-
gnare in modi disparati, poco autorevoli e, soprattutto, poco
scientiici. Meglio ancora: ci si dovrebbe avvalere di esperti, di
divulgatori nel senso più nobile di questa parola e aprire le
scuole per farli entrare a insegnarci. Del resto “aula”, in greco,
vuol dire “spazio aperto”, mentre le nostre sono troppo spes-
so spazi chiusi, a volte asittici. Quanto sarebbe utile, non so-
lo per le contingenze che stiamo attraversando, che a scuola
si spiegasse cos’è la cura dell’altro, i modi necessari per at-
tuarla, che a volte prevedono la vicinanza altre la distanza, a
volte l’aggregazione altre l’isolamento. Che si sapesse come
funziona il nostro sistema sanitario e come funzionano quel-
li di molti altri paesi così da renderci consapevoli della fortu-
na di essere assistiti e dei doveri da assumere perché questo
diritto continui a essere garantito a tutti, in primis ai più fra-
gili. Altrimenti il rischio, nonostante tanti anni di studio, è di
scambiare per libertà la violazione dei diritti degli altri e, sulla
lunga distanza, di preferire in modo acritico l’uomo forte che
impone quelle regole basilari a cui non ci si sa spontanea-
mente attenere. La democrazia, per esistere, richiede il senso
civico: il prezzo da pagare per vivere in una repubblica demo-
cratica è il senso civico, che passa dalla rinuncia a un aperiti-
vo e da sacriici più o meno grandi. La dittatura non ha biso-
gno di senso civico, la democrazia, invece, non ne può fare a
meno. Lo diceva meglio di tutti don Milani: «Ho imparato che
il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne tutti insieme è
politica. Sortirne da soli è avarizia».

L


a democrazia prevede di mettere da parte il proprio
interesse individuale ogni volta che questo lede quel-
lo della comunità: per molti è un concetto semplice,
per qualcuno scontato, ma le scene dei giorni scorsi
ci dicono che non lo è per una parte ancora considerevole
della popolazione. La scuola, ne sono sicuro, può svolgere un
ruolo importante per alzare questi numeri e per formare del-
le comunità rappresentative che poi propagheranno i loro
atteggiamenti migliori proprio come un virus. È solo la scuo-
la che può far sì che il sapere, come diceva Foucault, non ser-
va solo a conoscere, ma a prendere posizione. Q
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