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sotto zero, potrà arrivare di fatto a pagare
lo 0,75 per cento annuo le banche che si
fanno prestare denaro da destinare alle
imprese. Questo trattamento di estremo
favore sarà accordato a patto che l’istituto
di credito non riduca lo stock di inanzia-
menti destinato alle aziende. Saranno suf-
icienti queste misure a garantire all’eco-
nomia reale il lusso di denaro indispensa-
bile a far fronte al devastante contagio del
coronavirus? Tra gli analisti sono in molti
a dubitarne. L’esperienza del recente pas-
sato, negli anni successivi all’esplosione
della bolla inanziaria nel 2008, insegna
che solo una piccola parte della liquidità
fornita da Francoforte al sistema bancario
è andata efettivamente a sostenere le im-
prese. Dopo quello shock, seguito tra il
2011 e il 2012 dalla crisi del debito sovra-
no, gli istituti di credito furono costretti a
far fronte a un aumento senza precedenti
dei crediti a rischio. I prestiti ad aziende
decotte o in diicoltà nei bilanci delle
banche italiane passarono dai 157 miliardi
del 2010 ai 340 miliardi registrati nel 2015.
Una simile massa di attività deteriorate ha
inito per creare gravi problemi agli istituti
meno solidi e peggio gestiti, alcuni dei
quali, come le Popolari venete e Banca
Etruria, sono arrivati al capolinea del
crack, mentre il Monte dei Paschi è stato
salvato a spese dello Stato. Tra il 2008 e il
2014 il Pil italiano si è ridotto di dieci pun-
ti percentuali, mentre la produzione indu-
striale è crollata di circa un quarto. Questo
il contesto in cui si è sviluppata la crisi
bancaria precedente a quella che ci stia-
mo apprestando a vivere.
Che cosa dobbiamo aspettarci adesso?
Negli ultimi anni gli istituti si sono di mol-
to raforzati dal punto di vista patrimo-
niale, così come si è più che dimezzata (da
341 a 145 miliardi) la massa di prestiti in-
cagliati che zavorrava i bilanci nel 2015.
Su questo fronte le banche italiane resta-
no però più deboli rispetto ai concorrenti
europei: il peso dei inanziamenti a ri-
schio sul totale dei crediti si aggira nel no-
stro Paese intorno all’otto per cento con-
tro il 3 per cento circa che è la media
dell’Unione europea. Va detto che giganti
stranieri come Deutsche bank navigano
in cattive acque per efetto soprattutto di
una colossale esposizione su prodotti de-
rivati. E inoltre bisogna tener presente
che Intesa e Unicredit, i due campioni na-
zionali del credito, hanno raggiunto una
posizione di relativa tranquillità sul fron-
te dei crediti a rischio, quantomeno nei
confronti di altri concorrenti come Monte
paschi, Banco Bpm e Ubi. La prossima on-
data di insolvenze aziendali causate
dall’epidemia globale inirà quindi per in-
vestire un sistema che non ha ancora
completato le pulizie di bilancio. Come
già negli ultimi anni, i tassi d’interesse in-
torno allo zero continueranno a incidere
pesantemente sui margini di proitto e an-
che le commissioni sui servizi bancari
frutteranno di meno perché la recessione
prevedibilmente ridurrà la domanda, per
esempio, di gestioni patrimoniali da parte
dei clienti. Poi c’è l’incognita di Stato,
quella dei Btp. Oltre il 20 per cento del de-
bito pubblico italiano è nei forzieri degli
istituti di credito nostrani. Se la crescita
dello spread dovesse andare fuori control-
lo, le banche potrebbero trovarsi a far
fronte a potenziali rischi supplementari
sui propri investimenti e inirebbero per
stringere i cordoni della borsa. A farne le
spese sarebbero ancora una volta le azien-
de intrappolate nella spirale di debiti e
perdite innescata dal coronavirus. Q
Lo skyline dei
grattacieli in cui
hanno sede le maggiori
banche europee,
a Francoforte,
dove c’è anche la Bce