La Stampa - 28.03.2020

(Ben Green) #1
CHRISTIAN RAIMO

D

i fatto nel 2020 non
può esistere Marx
senza femminismo,
e Silvia Federici lo
spiega bene. Per questa ragio-
ne, fra le altre, non si può non
conoscere il suo lavoro, e Ge-
nere e Capitale, il volume che
DeriveApprodi manda in li-
breria è un’ottima via per ap-
procciarsi a una delle più im-
portanti pensatrici italiane. A
cura di Anna Curcio, è una
raccolta di una decina di sag-
gi che Federici ha scritto
nell’arco di quasi mezzo seco-
lo, scritti apposta, tradotti,
estratti da altri volumi: da
quando era una giovane mili-
tante femminista negli anni
della contestazione a oggi
che è una delle teoriche acca-
demiche a cui più guardano i
nuovi movimenti di donne.
Il sottotitolo, «Per una lettu-
ra femminista di Marx», indi-
ca il percorso necessario per
un’educazione politica che
riesca a transitare dalla rifles-
sione novecentesca su lavoro
e produzione a una adeguata
allo spirito dei tempi che si
concentri soprattutto sulle re-
lazioni e sul concetto di ripro-
duzione.
Partiamo proprio da qui,
dalla riproduzione. A metà
degli anni settanta Federici

diventò una delle femministe
più intelligenti e innovative
quando mise al centro delle
battaglie politiche quella sul
salario per il lavoro domesti-
co. La cura affettiva, sessua-
le, dei maschi proletari, era la
condizione che il capitale ha
immaginato per le donne: la
riproduzione serve a garanti-
re le forze della produzione.
Occorreva dunque opporsi a
uno sfruttamento nascosto e
collusivo dello sfruttamento
della classe operaia.
A distanza di quasi cin-
quant’anni le cose non sono
molto cambiate. Per chi si di-
chiara marxista le rivendica-
zioni femministe non sono
ancora centrali, e due anni fa
nel bicentenario dalla nasci-
ta di Marx molti convegni era-
no affollati di letture su come
attualizzare Marx, e come an-
dare oltre Marx, ma pochissi-
me speaker erano donne e po-
chissimo di questo dibattito
riguardava l’intersezione su
marxismo e femminismo.
La saggezza politica di Fe-
derici sta proprio nel ricono-

scere, nonostante Marx ab-
bia dedicato alle questioni di
genere una considerazione ri-
dotta nelle sue opere (nel Ca-
pitale, viene fatto notare, su
duemila pagine solo in un
centinaio si fa riferimento a
famiglia, sessualità e lavoro
domestico), il gigantesco de-
bito teorico che il femmini-
smo ha con Marx; ma anche
nel mostrare i limiti della sua
opera. Marx ha fatto il suo;
ora tocca a noi fare il nostro.
L’eredità teorica, valorizzata
dal femminismo, e che dob-
biamo a nostra volta valoriz-
zare è che ci ha lasciato com-

prendere che «le attività che
quotidianamente riproduco-
no la nostra vita sono essen-
ziali per la riproduzione della
forza-lavoro, sono essenziali
per l’accumulazione capitali-
stica».
Da questa constatazione
Federici riesce a ipotizzare
una controstoria della con-
temporaneità, in cui una se-
rie di elementi cardinali della
nostra vita sociale che abbia-
mo dati per naturali vengono
invece rivisti secondo la pro-
spettiva marxista-femmini-
sta. La famiglia nucleare, il
ruolo della casalinga, la ses-
sualità domestica: molti so-
no quei costrutti sociali che si
sono creati di volta in volta a
partire dalle condizioni date
dalla necessità per il capitali-
smo di avere una forza lavoro
disponibile e disciplinata.
Il vaglio critico di Genere e
capitale arriva a mettere in di-
scussione anche altri modelli
di liberazione che si sono fo-
calizzati solo sulla sovrastrut-
tura, potremmo dire, e non
sulla struttura, come per

esempio l’analisi che Federici
compie dell’analisi freudiana
della crisi della famiglia e del-
la società. In poche pagine
Freud ne esce con le ossa rot-
te: accostando l’affermarsi
della psicanalisi con quello
del fordismo, Federici consi-
dera come «a partire da
Freud, la liberazione sessua-

le delle donne, ha comporta-
to un’intensificazione del la-
voro domestico», e prova a ri-
flettere su come quelli che so-
no state considerate patolo-
gie erano forse forme di con-
flitto («Le donne hanno usa-
to la scusa della debolezza,
della fragilità e delle malattie
improvvise - emicranie, sveni-
menti, isterismo - per evitare
i doveri coniugali e il pericolo
di gravidanze indesiderate.

Che queste non fossero, pro-
priamente parlando, “malat-
tie” ma forme di resistenza al
lavoro domestico e al lavoro
sessuale lo dimostrano non
solo la diffusione di questo fe-
nomeno ma le recriminazio-
ni dei mariti e le prediche dei
medici»).
Federici è suggestiva anche
quando non è convincente;
ed è chiaro che la parte più pro-
blematica è quella in cui met-
te in discussione il femmini-
smo storico alla luce del con-
cetto di «lavoro sessuale».
Qui il paradigma femmini-
sta-marxista da anni settanta
sembra risentire della data-
zione del lessico operaista, e
misconoscere in parte le for-
me della soggettivazione de-
gli ultimi decenni. Se per il la-
voro domestico, la demistifi-
cazione di Federici dovrebbe
essere introiettata in una
qualunque riflessione politi-
ca; l’interpretazione del ses-
so soprattutto in chiave di
«lavoro sessuale» e la consi-
derazione della sua svaluta-
zione dal momento che la li-
berazione sessuale ha, come
dire, liberalizzato il merca-
to, non riesce a tenere conto
in modo approfondito di co-
me sia cambiato il nostro mo-
do di intessere relazione nel-
la società post-fordista. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

MARCO ROSSARI

C


hi è Tom McCar-
thy? E perché si par-
la così poco di lui?
Poco, o forse non
abbastanza. Abbiamo il più
grande scrittore, come dire,
post-postmoderno – o in-
somma talentuoso, bravo –
e ci facciamo poco caso. Cer-
to: alto, letterario, ambizio-
so. Eppure divertente, gioco-
so, interessante. È nato nel
1969 a Londra, dove vive.
Già da piccolo, quando liti-
gava con il fratello e la sorel-
la in macchina, la mamma
per farli stare buoni snoccio-
lava storie dall’Odissea o da
Shakespeare (povera mam-
ma, ma anche poveri bambi-
ni, poi per forza uno diventa
intellettuale). E infatti: «Ho
sempre voluto fare lo scritto-
re, fin da piccolo». Si è lau-
reato a Oxford e poi s’è tra-
sferito a Praga a trascorrere
una bohème privilegiata.
All’epoca gli artisti, ingle-
si, beati loro, venivano consi-
derati dal governo come pic-
cole aziende a cui offrire
una piccola sovvenzione per
vivere scrivendo le loro poe-
sie e abbattere il tasso di di-
soccupazione. In Inghilter-
ra vivere con quella somma
era impossibile ma, come
McCarthy racconta in un’in-

tervista, nella capitale ceca
appena uscita dal comuni-
smo era sufficiente a fare il
nababbo, oltretutto in una
società dove gli artisti erano
al governo e nei bar era pos-
sibile che il batterista spinel-
lomane con l’orecchino al
naso fosse un ministro. Ma
anche lì, quando i soldi sono

finiti, ha dovuto mantenersi
facendo il nudo in un’acca-
demia artistica. Faceva le
nottate brave da ventenne e
poi si ritrovava in posa per
un bel lasso di tempo, senza
poter muovere un muscolo,
assorto. E proprio in quella
situazione di estrema vulne-
rabilità, di nevrosi statica,
ha cominciato a formulare
idee, pensieri, paragrafi che
sono diventati il romanzo

d’esordio Uomini nello spa-
zio (all’epoca uscì per la de-
funta Isbn). Da lì in poi ha
iniziato a scrivere storie. Ed
ecco arrivare uno dopo l’al-
tro tre romanzi Déjà-vu, Tin-
tin e il segreto della letteratu-
ra, C (senz’altro la sua opera
migliore, candidata al Man
Booker Prize, pubblicata da
Bompiani) e uno strano og-
getto – romanzesco e non ro-
manzesco – che si chiamava
Satin Island.
Quest’ultimo, diario rap-
sodico, meditazione antro-
pologica, romanzo senza
storia e molto altro, ci porta

dritti dritti al nuovo ogget-
to proposto da Bompiani
con il titolo Macchine per
scrivere, bombe, meduse,
una serie di saggi scritti tra
il 2002 e il 2016, che riassu-
mono e rilanciano una poe-
tica stratificata e comples-
sa, ma sempre immaginifi-
ca, sempre feconda.
Ci sono non so quanti ro-
manzi sepolti sotto questi te-
sti, così come in ogni suo ro-
manzo troviamo sottotrac-
cia una grande quantità di ri-
flessioni filosofiche. Come
DeLillo, come Sebald, come
Pynchon, come tanti altri
grandi che l’hanno precedu-
to McCarthy si occupa di me-
ditazioni sul tempo, sul trau-
ma, sulla paura, come fareb-
be un pittore o un film-ma-
ker. Figlioccio di James Joy-
ce, si disinteressa alla trama
canonica per costruire archi-
tetture filosofiche (eppure C
è anche un libro appassio-
nante). Ogni testo deve colti-
vare anche un valore digres-
sivo, deve nascondere boto-
le, deve fare un passo di lato

ogniqualvolta il lettore cre-
de di averlo faccia a faccia. E
nella scrittura saggistica
non si smentisce. Qui McCar-
thy mette in cortocircuito il
meteo su Londra con la Ter-
ra desolata («Il tempo privi-
legiato nel poema è il gerun-
dio, il presente che conti-
nua: breeding, mixing, stir-

ring, covering. Questa è una
caratteristica comune a tutti
i bollettini meteo»), registra
nell’Ulisse il sublime del de-
grado e l’avvento della
meat-physics o metafisica
della carne («Dimenticate
pure la bellezza apollinea:
ciò che Bloom vuole sapere
è se le statue greche hanno il
buco del culo»), svela attra-
verso Ballard, Nabokov,
Ford Madox Ford le falle pa-

radossali del realismo («La
sfida, per lo scrittore, non
consisterebbe mai nel raffi-
gurare realisticamente que-
sto reale, e nemmeno nel raf-
figurarlo “bene”; ma nell’av-
vicinarlo nella piena consa-
pevolezza che esso, come
un itinerante buco nero, rap-
presenta – sebbene questa
non sia più la parola giusta –
il punto in cui l’intero proget-
to della scrittura collassa e
implode»), ripercorre Ster-
ne in tutte le sue multiformi
capriole («La comicità, co-
me ci dice Bergson – le cui
idee di durée sono così per-
fettamente prefigurate da
quelle di Sterne – consiste
nella trasformazione della
vita unica o “naturale” in
meccanismi che generano ri-
petizione»), si dilunga sulla
profusione di protesi che si
trova nell’opera di David
Lynch.
Insomma unisce i puntini
che s’è andato creando nel
corso delle sue letture per
formare idra e chimere mai
viste. Non tanto trovare un
senso, quanto inventarlo.
Questo libro è un’immersio-
ne nella letteratura e nel
mondo, una fluttuazione fi-
no al momento rivelatore
del contatto con la medusa:
l’ustione della pagina. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

GETTY

Promotrice della campagna «Un salario per il lavoro domestico»
Silvia Federici (Parma, 1942) è sociologa e filosofa italiana
naturalizzata statunitense. Ha insegnato all’Università in Nigeria e
all’Hofstra di New York. Tra i suoi libri: «Il punto zero della
rivoluzione» (Ombre Corte), «Calibano e la strega » (Mimesis)

architetture di genere / silvia federici

Se l’emicrania della moglie dell’operaio

è resilienza ai doveri coniugali “capitalisti”

Una raccolta di saggi per una “lettura femminista” di Marx (che di donne, in realtà, ha parlato poco)

Una controstoria della modernità che “rivede” famiglia, ruolo della casalinga, sessualità domestica

Silvia Federici
«Genere e Capitale»
DeriveApprodi
pp. 132, € 12

Freud ne esce
con le ossa rotte:
la psicoanalisi
accostata al fordismo

Questo libro
è un’immersione
nella letteratura
e nel mondo

Saggistica

architetture filosofiche / tom mccarthy

Che meraviglia vivere nel gerundio,

il tempo dei bollettini meteo (e di Eliot)

Quindici saggi, quasi romanzeschi, sul clima, gli scrittori, il proliferare delle meduse negli oceani

ILLUSTRAZIONE DI MATTIA DISTASO

Testi che riassumono
una poetica
complessa, stratificata
e immaginifica

Scrittore inglese post-postmodernista
Tom McCarthy è nato a Londra nel 1969. Fa parte del gruppo
International Necronautical Society. Tra i suoi titoli: «Déjà-vu»,
«Uomini nello spazio», «Tintin e il segreto della letteratura», «C»
(finalista al Man Booker Prize 2010», «Satin Island» (Bompiani)

Tom McCarthy
«Macchine per scrivere,
bombe, meduse»
(trad. di Mara Dompè)
pp. 296, € 19

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