LINA IRIS VIKTOR, 2018. COURTESY THE ARTIST AND MARIANNE IBRAHIM GALLERY, CHICAGO
ci, sociali e mentali a seconda
dell’indole degli autori. Qui
di particolare impatto i lavori
di Guillaume Bonn mostrano
l’urbanistica di Mogadiscio o
di Bera oggi, di fronte ai rude-
ri, consumati da un venten-
nio di guerra, di quella che
avrebbe dovuto essere la glo-
ria architettonica italiana:
brandelli di grandeur, scam-
poli distrutti e abbandonati
di hotel di gran lusso ridotti a
scheletri.
Segue una sezione dedica-
ta alle questioni di genere, al-
la sessualità e all’identità indi-
viduale. Se la prima parte par-
lava di spazi, qui i protagoni-
sti sono i corpi, i volti, le pose
e l’abbigliamento: modi di vi-
vere, di essere. Alle volte la
temperatura visiva è cruda,
secca, secondo lo stile impie-
toso delle polaroid; altre vol-
te c’è la posa costruita, perfi-
no glamour, ma non senza
ve-nature sarcastiche, pole-
miche, ovvero politiche. Co-
me nel lavoro di Athi-Patra
Ruga artista sudafricano che
lavora con la performance e il
video, giocando, appunto,
con il cliché che vorrebbe i ne-
ri sempre selvaggi, anche sul
piano erotico.
La terza parte del volume
parla di «Mito e memoria»: la
storia, anche iconografica,
viene riletta, raccontata di
nuovo, reinterpretata, perfi-
no messa in parodia. Di parti-
colare valore le maschere tra-
dizionali vestite con giacca e
cravatta realizzate da Edson
Chagas, ex fotoreporter che
si interroga su come il conte-
sto sociale determini la perce-
zione del reale, ribaltando la
seduzione che quelle masche-
re esercitarono un secolo fa
su Picasso e compagni: come
un contrappasso per le De-
moiselles d’Avignon.
L’ultima sezione è dedica-
ta ai «Paesaggi interiori»: sto-
rie intime, memoir, riflessio-
ni sulla sfera personale e fa-
migliare. Un nome fra tanti
quello di Lebohang Kganye,
artista originaria di Johanne-
sburg, che recupera alcune
foto della madre morta e ci
sovrappone sé stessa, diafa-
na, vestita con quegli stessi
abiti, come una gemella fan-
tasma della genitrice assen-
te. La madre si muove in que-
gli spazi lontani, sono foto di
vacanze, di feste, talune inti-
me, casalinghe, private; e ac-
canto a lei la figlia in traspa-
renza: una tautologia visiva.
In fondo, un emblema
dell’intero libro: una donna
di oggi che dichiara la distan-
za rispetto a un passato per-
sonale e storico.
Oltre cinquanta artisti ci
passano davanti sfogliando
Africa del XXI secolo: cin-
quanta voci per oltre trecen-
to foto, per dirci cosa signifi-
ca realmente vivere in Afri-
ca, oggi.—
© RIPRODUZIONE RISERVATA
SEGUE DA PAGINA XIV
Immagini
IMAGES COURTESY OF ATHI-PATRA RUGA AND WHATIFTHEWORLD
Figlia di liberiani fuggiti dalla guerra civile,
Lina Iris Viktor è nata e cresciuta a Londra
nel 1987. I suoi lavori multimediali mescola-
no fotografia, performance, pittura, traendo
ispirazione dalla mitologia antica, cosmolo-
gie tribali africane, arte tessile. E nella prassi
attinge alle tecniche artigianali tradizionali
di doratura con oro a ventiquattro carati. Nel-
la serie, «A Heaven. A Hell. A Dream Defer-
red», scava nella storia mitica della Liberia,
fondata come colonia di insediamento al
principio del XIX secolo da un’organizzazio-
ne che lottava per l’abolizione della schiavitù
e il reinsediamento degli afro-americani libe-
rati in Africa occidentale, nella convinzione
che i neri vi potessero trovare maggiori chan-
ce di libertà che negli Stati Uniti. Utopia, pur-
troppo, incompiuta. Al centro dei ritratti mi-
niati in oro di Viktor si trova la «Sibilla libi-
ca», personaggio della mitologia classica che
si riteneva predicesse sventure e che più tar-
di sarebbe divenuto un motivo diffuso nella
letteratura e nell’arte del movimento aboli-
zionista americano.
Cosmologie tribali
Athi-Patra Ruga è nato a Umtata, Sudafrica, nel 1984. Il suo
progetto «The Future White Women of Azania» descrive una
sua personale nazione utopica. Ne fa parte «Night of the Long
Knives» (qui sopra) in cui una figura in un bozzolo di palloncini
colorati è in procinto di mutare. Potrà rivelarsi maschio o fem-
mina, nero o bianco, etero o queer – o tutte queste cose insie-
me. Nelle fantasticherie di Ruga il genere, la razza e l’identità
sono sempre fluidi, mai rigidi. A sinistra ci sono le «abo dade»
(sorelle) prive di volto ed ermafrodite;a destra i Fiori di Azania
dai colori accesi. La zebra con i denti a sciabola è l’emblema na-
zionale. Una critica acuta della storia difficile e della politica
del Sudafrica con una prospettiva diversa: la rappresentazio-
ne edenica del divenire, nella quale il passato, il personale e il
politico convergono in una gioiosa visione carica di possibilità.
Un mondo fluido carico di possibilità
SABATO 28 MARZO 2020LASTAMPA XVII
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