Corriere della Sera - 22.02.2020

(Sean Pound) #1


CorrieredellaSera Sabato22Febbraio
PRIMOPIANO

11


È


questo il modo in cui finisce il mon-
do. Nonconuno schiantomacon
un lamento. Ora cheèarrivato, ora
che lo spaventosocoronavirus è tra
noi,tornano in mente iversi del po-
eta. E se la fine non si manifestasse
tramiteladeflagrazioneroboantediuna
esplosione micidiale ma si insufflasse in noi,
silenziosa,vaporosa e inavvertitacome lo è la
letale vita infinitesimale dei microrganismi?
Se non si annunciassecon un tuono assordan-
temacon un semplice, distrattocolpo ditos-
se?
Ce lo chiediamo in questo primaverile mese
difebbraio dell’anno duemilaventi nei nostri
comodi letti insonni dei nostri accoglienti ap-
partamenti d’Occidente. Siamo al sicuro, sia-
mo protetti, siamo bencoperti e,forse, pro-
prio per questo, tremiamo al pensiero di una
morteche giungacome ospiteinatteso, sub-
dola o violenta,comunque improvvisa, sbalor-
ditiva, quasi inconcepibile.
Ma, se facciamo mentelocale, scopriamo,
poi, checelo stiamo chiedendo, inverità, da
parecchi decenni. Ognivolta la minaccia ci ap-
pare inaudita, senza precedenti ma, poi, se pe-
schiamo nella nostra memoria ci accorgiamo
che la nostra intera esistenza è stata scandita
dagli allarmi di un’imminente fine deitempi.
Da bambini abbiamo sognato iterrificanti fun-
ghi atomici dei film sull’apocalissetermonu-
cleare;daragazzi degli anni 80, quandoèfi-
nalmente giunto il nostro turno di godere del-
le gioie sfrenatedischiuse dalla rivoluzione
sessuale, arrivò l’Aids a frustrare i nostri ardo-
ri; da adulti, infine, è stata tutta una sequela di
mucche pazze, pesti suine, tsunami, attentati
terroristici e Sars a guastare i nostri giorni di
figli prediletti della storia umana.
C’è, infatti, in questi ricorrenti stati d’allar-
mecollettivo qualcosa che nontorna. Noi, cit-
tadini del prospero e medicalizzato Occidente,
apparteniamo, dati alla mano, al pezzettodi
umanità più agiata, sana, sicura, protetta e
longevache abbia maicalcatolafaccia della
terra, eppure sembriamo la più impaurita, in-
sicura, isterica. Noi nati, cresciutiepasciuti
nel più lungo periodo di pace e prosperità che
la storia ricordi, noi che sappiamo tutto (o che
crediamo di sapere tutto), siamo poi pronti a
prestar orecchio alla diceria del primo untore

che passa, siamo la più facile preda di angosce
da fine del mondo imminente. Si direbbe pro-
prio che, nell’era d’Internet, non sappiamo vi-
veresenza un’apocalisse all’orizzonte.
Giuntiaquestopuntounchiarimentoè
d’obbligo: non stoaffattosuggerendo che
l’epidemia incorso non rappresenti un perico-
loreale. Non sono in grado divalutareilri-
schio sanitario delcoronavirus e, dunque, mi
rimettototalmente alla scienza e invito tutti i

diAntonioScurati


AeroportoDuebambiniaSydneyinAustralia(Epa)

LAPAURA


L’INERZIA EL’ISTERIA


QUANDOVA INPEZZI


UN’IDEADI MODERNITÀ


Èfinitaincrisilacognizionedellafinitudineumana


L’avanzaredell’epidemiacipolarizzaagliestremi,


mentredovremmoricostruireunacoscienzacollettiva


lettori a fare altrettanto.Stosoltanto notando
che nella nostra psicologiacollettiva ogni seria
minaccia al nostro benessere o, addirittura, al-
la nostra stessa sopravvivenza,tende a polariz-
zarsi agli estremi. La nostra risposta a essa, sia
che lo spettrodella fine declini il paradigma
apocalitticonellaforma dellacatastrofevio-
lenta sia che lo declini in quella dell’agente pa-
togeno, oscilla quasi sempre tra la scrollata di
spalle («è solo un’influenzacome tante») e la
disperazione paranoide («siamo tuttifottu-
ti»).
Questoimmaginario globale isterizzatoci
dice che la modernità ha fallito: quasi nessu-
no, purtroppo, crede più nel suo glorioso pro-
getto di previsione econtrollo, nelle magnifi-
che sorti e progressive. Ma ci dice anche un’al-
tracosa: non siamo piùcapaci di equilibrato,
adulto, «sano» rapportocon la morte. Il nostro
destino di morenti non trova piùcodici cultu-
ralicapaci di elaborarloeaffrontarlo ponen-
doci all’altezza delcompitoassegnatoci dalle

tanteminacceletali che gravano sulle nostre
vite e sul nostro mondo.
La storia naturale è una storia di estinzioni.
La storia umana è racconto dicalamità ed epi-
demie devastanti. Anche senzavoler risalire
alle pestilenze medioevali o seicentesche, ba-
sterà ricordare che in soli due anni, tra il 1918 e
il 1920, l’epidemia d’influenza «spagnola»fece
decine di milioni di morti in tuttoilmondo.
Anche in Italia, aitempi dei nostri nonni, non
ci fu famiglia che non ebbe una vittima. Eppu-
re, nemmeno alloravenne la fine del mondo.
Insomma, se la minaccia è seria — soprat-
tutto quando la minaccia è seria — sarebbe il
caso di evitare sia l’inerzia sia il panico, sia la
faceziacomica sia il melodramma. Ma per far
questo, dopo decenni di malintesa e malripo-
sta euforia edonistica, in Occidentedovrem-
mo ricostruire unacoscienzacollettiva della fi-
nitudine umana, una cultura della morte. Ed è
un processo lungo, faticoso e lungo.
©RIPRODUZIONERISERVATA


Ilprecedente


LA«SPAGNOLA»


Tra il 1918 e il 1920, l’epidemia d’influenza
«spagnola»causò decine di milioni di
decessi nel mondo. Anche in Italia, doveil
virus furesponsabile della morte di un
numerocompreso tra i 350 e 650 mila. Nel
mondo sicalcola che le vittime furono
comprese tra i 50 e i 100 milioni facendo di
questa pandemia la più mortale della
storia dell’umanità, superiore persino alla
peste nera del XIV secolo

Addioequilibrio
Noinatiecresciutinelpiùlungo
periododipaceeprosperitàchela
storiaricordisiamolapiùfacile
predadiangoscedafinedelmondo

VENDERECON CHRISTIE’S


ARTE CINESE EISLAMICA


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