La Stampa - 22.02.2020

(Nandana) #1

.


Le lettere sull’emergenza coronavirus in Italia
La prossima settimana, da martedì a venerdì, a dialogare
con i lettori sarà Gabriele Beccaria. Il tema: l’emergenza
coronavirus in Italia. Sabato sarà il direttore Maurizio
Molinari a rispondere alle lettere. Domenica, come di con-
sueto, spazio alla «RisPosta del cuore» di Maria Corbi.

A


nche una persona
senza sintomi può
trasmettere la ma-
lattia, aveva affer-
mato – attirandosi
qualche critica - il
capo del Cdc in un’intervista,
anche se non era chiaro quanti
di questi casi fossero alla base
della trasmissione. Concluden-
do di aver imparato una impor-
tante lezione nelle ultime setti-
mane: che lo spettro della ma-
lattia è molto più ampio di
quanto non apparisse al mo-
mento della sua comparsa sul-
la scena.
Lo confermano, ora, i casi di
positività al coronavirus in ter-
ra veneta e lombarda senza le-
gami chiari e definiti e di cui, in
queste ore, epidemiologi ed
esperti di sanità pubblica stan-
no studiando movimenti e con-
tatti. Si tratta di una di quelle
realtà che inquietano i vertici
dell’Organizzazione mondiale
della Sanità: «Anche se il nume-
ro di contagi fuori dalla Cina ri-
mane relativamente basso –
hanno chiarito - siamo preoccu-
pati per il numero di contagi
che non hanno un chiaro colle-
gamento epidemiologico, ad
esempio che non hanno viaggia-
to in Cina, né hanno avuto con-
tatti con casi confermati». Si de-
ve allora pensare che si sia in
presenza di questi casi, magari
nella fase presintomatica, in
cui si sta per sviluppare la pato-
logia e per diventare potenzial-
mente infettivi? O ad altri anco-
ra, sfuggiti ai pur rigorosi con-

trolli negli aeroporti italiani in
cui sono sbarcati passeggeri
provenienti dalla Cina, dopo
aver fatto scalo magari a Mo-
sca, a Dubai o altrove? O, anco-
ra, a turisti in viaggio nel Bel-
paese con vari mezzi di traspor-
to dal momento in cui è scatta-
ta l’allerta in Cina?
Il coronavirus sta avendo un
impatto che va molto oltre la sa-
lute pubblica e sta riverberan-
do i suoi effetti – ancora difficil-
mente misurabili - nel panora-
ma economico e politico globa-
le. L’intensissima (esagerata?)
attenzione mediatica ha scate-
nato in molti Paesi un’ondata
di fanatismo, alimentando teo-
rie cospirative. La reazione
istintiva – come al tempo della
peste - è quella di bloccare i pos-
sibili infetti e allontanare
chiunque venga percepito, per
quanto ingiustamente, un ri-
schio.
C’è da sperare che le polemi-
che (politiche) di queste ore la-
scino il campo all’azione coor-
dinata dei responsabili della sa-
nità, ad ogni livello di governo,
centrale e locale, per circoscri-
vere la minaccia epidemica.
Le strategie adottate – qua-
rantene, autoquarantene, «di-
stanza sociale», restrizioni va-
rie ecc. – rappresentano da
sempre un modo efficace e pre-
zioso per controllare i focolai
di malattie trasmissibili e l'an-
sia pubblica. Dominabili con
adeguati e rapidi interventi –
come facevano gli antichi magi-
strati di sanità – nei quali la pre-
occupazione aveva il suo sboc-
co nella prevenzione. —
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MAURIZIO MOLINARI


LA STAMPA
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LA TIRATURA DI VENERDÌ 21 FEBBRAIO 2020
È STATA DI 159.524 COPIE


T


anti anni fa i Generali francesi Beau-
fre, Gallois , Ailleret e Poirier, conosciu-
ti in gergo nell'ambito delle loro Forze
Armate come «I quattro Cavalieri
dell'Apocalisse», sancirono una volta
per tutte nel definire la dottrina di im-
piego della Force de Frappe, cioè della componente
non convenzionale del potenziale offensivo france-
se, che «le nucleaire ne se partage pas», sottolinean-
do come il potenziale nucleare di uno Stato non sia
assolutamente condivisibile con altri Paesi. Si tratta-
va di un punto di vista su cui, poco dopo, il Generale
De Gaulle appose - e siamo negli anni di maggior ri-
fiuto della Alleanza Atlantica da parte della Francia


  • un suggello che all'epoca fu considerato quale defi-
    nitivo. Su queste basi dottrinali si sviluppò quindi, a
    partire dai primi anni sessanta del novecento, il po-
    tenziale nucleare francese. Un potenziale che però
    rimase sempre il bonsai delle potenze nucleari, per-
    fetto, ben curato, articolato almeno all'inizio su una
    componente tattica ed una strategica, differenziato
    in seguito nelle tre componenti, terrestre, navale ed
    aerea, dotato di una dottrina di impiego adeguata
    che parlava di «dissuasione esercitata dal debole sul
    forte» («dissuasion du faible au fort») ma comun-
    que con almeno tre difetti di base che ne inficiavano
    la credibilità. Il primo consisteva nel fatto che per
    fermare l'avanzata Sovietica le atomiche francesi
    avrebbero dovuto esplodere in territorio tedesco.
    Ipotesi credibile sino agli Anni ottanta, vale a dire si-
    no a quando per l'Armee i nemici di un tempo rima-
    nevano i «casques a bullon», vale a dire gli elmetti
    col chiodo. Molto meno credibile invece allorché si
    iniziò a parlare di quel motore franco / tedesco che
    era, o sembrava destinato a divenire, il motore
    dell'Europa.
    Il secondo era la sostanziale dipendenza della fun-
    zionalità della Force de Frappe da tecnologie e mate-
    riali importati dall'estero. Negli Anni '70 del nove-
    cento un ufficiale italiano raccontava stupito di co-
    me gli apparati di puntamento dei Pluton, artiglie-
    rie semoventi della componente tattica nucleare
    francese, fossero fabbricati dalla Galileo di Firenze.
    Il terzo, infine, era il costo del nucleare, tanto eleva-
    to che finché i francesi si affidarono alla cosiddetta
    triade (mezzi di terra, mare e cielo) li costrinse a de-
    dicare alle loro velleità nucleari circa il 5% del Pro-
    dotto Nazionale Lordo.


Fu soltanto all'inizio degli Anni 90, dopo il terre-
moto strategico che aveva posto fine a quella che un
tempo era definita come l'«eternità comunista»,
che la concezione francese del nucleare, nonché
della funzione della Force de Frappe nazionale, ini-
zio' a cambiare. Immutabile comunque restava in
ogni caso l'idea che un membro permanente del
Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dotato di
diritto di veto non potesse permettersi il lusso di
non disporre di un arsenale nucleare, magari limita-
to, ma comunque temibile. E questa era certamente
una giusta considerazione! Nell'ambito dei centri
di ricerca francesi, che nel settore degli studi strate-
gici erano in quel periodo l'alveare più ronzante di
tutta Europa, si iniziò però a parlare di «dissuasion
partagee» nell'idea che, mentre il nucleare rimane-
va non condivisibile, la dissuasione derivante dalla
sua esistenza potesse invece essere allargata anche
ad altri Paesi. Il concetto, almeno per quanto se ne
sa, non è stato fino ad ora né recepito né esplorato a
fondo nelle sedi ufficiali, pur continuando a riappa-
rire di tanto in tanto in superficie ogni qualvolta si
parlasse di un possibile approfondimento dell'a-
spetto militare dell'Europa. Di recente esso è stato
poi anche il punto di maggior interesse del discorso
con cui il Presidente francese Macron, parlando
all'Ecole Militaire di Parigi ai futuri vertici delle For-
ze Armate Francesi, ha accennato alla possibilità di
porre a disposizione dell'Unione europea il poten-
ziale nucleare della Francia. Un proposito che tra
l'altro si inserisce perfettamente nella linea dei pree-
sistenti trattati che da un lato legano il potenziale
francese a quello inglese mentre dall'altro, con i re-
centi accordi di Aquisgrana, ancorano anche la Ger-
mania al complesso. Se si considera poi come la Spa-
gna sembri essere sul punto di associarsi a questo
carro, anche se ancora non si sa sotto quale forma, c'
è da chiedersi sino a quando il nostro Paese conti-
nuerà a giocare il ruolo del grande assente. Un ruo-
lo che sarebbe pienamente accettabile e giustificabi-
le se a monte ci fosse un preciso orientamento politi-
co, che privilegiasse cioè una ipotesi filoatlantica e
la fiducia nella deterrenza nucleare americana a
fronte di una scelta europea. Ma che diviene assur-
da ed assolutamente imperdonabile nel caso in cui
essa fosse dovuta solo ad inerzia o ad un mancato
approfondimento del problema. —
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Q


uando diventare «un grande» non è più
un tema in tutti i sensi, allora sei libero
di dire quello che pensi. Il coraggio non
è più un’opzione ma una realtà. Così
Giorgio Armani, il re della moda, dal
suo trono lancia parole severe per come
le donne vengono trattate non solo nella vita vera
ma anche in quella patinata della pubblicità e della
moda. «Si parla di donne stuprate in un angolo. Le
donne oggi sono regolarmente stuprate dagli stilisti,
e mi ci metto anch'io. È indegno quello che succede».
E così la presentazione della sua collezione Emporio
diventa lo sfondo di una sfida all’impero maschile e
maschilista che usa da sempre il corpo delle donne
vincolandolo a una «schiavitù » di immagini. «Penso
a certi manifesti pubblicitari» spiega lo stilista, «in
cui si vedono donne provocanti, seminude: succede
che in molte si sentano obbligate a pensare anche lo-
ro di mostrarsi così. Questo per me è uno stupro».
E badate che non si confondano le parole di Arma-
ni con una appassionata presa di posizione contro il
body shaming. Perché non vi è niente di rivoluziona-
rio nella buona educazione che dovrebbe imporre a
tutti di non sottolineare le caratteristiche fisiche di

chiunque, qualsiasi esse siano. Certo dire «in carne»
è meglio che dire «grassa» ma non cambia la sostan-
za. Armani va oltre, soprattutto perché fa autocriti-
ca, l’unica vera strada verso il cambiamento. La Mo-
da ha stressato l’immagine femminile come anche
la pubblicità dove l’Italia ha il record dell’utilizzo del
corpo delle donne. La regista Lorella Zanardo, autri-
ce del documentario «Il corpo delle donne» ha de-
nunciato come anche se non sia questa la causa del-
la violenza sulle donne, nelle sue tante forme, ne è
comunque una delle cause. «I media veicolano l’im-
magine della donna come cosa, e concorrono alla
sua deumanizzazione».
E nella sua arringa a favore delle donne lo stilista
parla anche di moda: «Sono stufo di sentirmi chie-
dere le tendenze del momento. Le tendenze non so-
no niente, non ci devono essere. La cosa più impor-
tante è vestire le donne al meglio oggi evitando il ri-
dicolo, non discutere di “cosa va di moda”. Piantia-
mola di essere succubi di questo sistema». Armani
chiede scusa «per lo sfogo e le parole forti». «Senti-
vo di doverlo dire». Figurati Giorgio, le donne ti di-
cono « Grazie». —
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Strage di Bologna, tutti i dubbi
sulla sentenza
Forse con questa lettera mi attire-
rò il biasimo, se non l’odio, di mol-
ti e l’indifferenza di tanti altri. Ma
ritengo, probabilmente in modo
presuntuoso, di essere una perso-
na libera e, quindi, esprimo il pen-
siero che ho maturato. Mi sono fat-
to la convinzione che le sentenze
sulla strage di Bologna siano una
delle più grandi falsità della storia
italiana, se non altro per come ven-
gono motivate. Può anche darsi
che il massacro sia di matrice ne-
ra, ma non lo si può dedurre in ba-
se agli elementi forniti dai magi-
strati che lasciano tantissimi dub-
bi: non ci sono confessioni, né te-
stimonianze incontrovertibili.
Molti punti oscuri non sono stati
chiariti come il numero delle vitti-
me, la natura di alcuni resti uma-
ni, la presenza a Bologna di terrori-
sti di altra organizzazione. E an-
che, da poco, la individuazione di
eventuali mandanti, avvenuta a
molti decenni dalla data dell’at-
tentato e, se non sbaglio, dopo
qualche precedente assoluzione
per gli stessi. E si tratterebbe di
mandanti per lo più deceduti da
molto tempo. E’ lecito, pertanto,
se si ama la verità, farsi venire dei
dubbi che dovrebbero interessa-
re, piuttosto che un semplice citta-
dino, come me, chi ha la responsa-

bilità della sicurezza e della giusti-
zia in Italia, in primis chi è al verti-
ce degli organismi giudiziari. Solo
Cossiga, a quanto mi risulta, ha
osato avanzare delle riserve. Nor-
male? Sì, in un Paese conformista
e che ha paura di se stesso.
ENRICO VENTUROLI, ROMA

L’automobile alla sfida
dell'elettrificazione
Il mondo dell'auto, dopo la gran-
de rivoluzione delle marmitte ca-
talitiche, si appresta a sostenere la
grande sfida dell'elettrificazione,
un passo importante verso una
mobilità sempre più ecosostenibi-
le. Alla luce di questo nuovo impie-
go energetico di certo sorgeranno
piccoli grandi problematiche che
saranno oggetto di studio da par-
te degli addetti ai lavori e mi pare
di capire che uno dei problemi più
assillanti sarà quello della ricarica
dove colonnine, adattatori per
prese e quant'altro creeranno disa-
gi e attese non indifferenti nei pun-
ti di approvvigionamento. Vorrei
esprimere un mio pensiero che po-
trebbe addirittura anche essere
captato come suggerimento, sem-
pre che possa essere attuabile. Se
tutte la case automobilistiche op-
tassero in blocco di utilizzare lo
stesso formato per le batterie dei
motori elettrici progettandole fa-
cilmente semovibili, manovrabili

ed estraibili, per gli utenti sarebbe
sufficiente una fermata veloce
presso le stazioni di rifornimento
per sostituire l'accumulatore scari-
co che il gestore provvederebbe
poi a ricaricare. Una progettazio-
ne su larghissima scala ridurreb-
be di certo i costi, si limiterebbe no-
tevolmente la necessità di nuove
colonnine, si eviterebbero code
estenuanti per la ricarica, le stazio-
ni di servizio diventerebbero cen-
tri di riapprovvigionamento e tor-
nerebbero ad essere punti di riferi-
mento importanti. Forse il proble-
ma insolubile potrebbe essere
quello di far accordare più case au-
tomobilistiche sullo stesso proget-
to, ma il gioco potrebbe valere la
candela.
PINO MARTINI

Se in Parlamento i “responsabili”
spuntano come funghi
Gli onorevoli Razzi e Scilipoti han-
no fatto scuola: in Parlamento, il
luogo che dovrebbe esprimere il
meglio della politica nazionale,
stanno spuntando come funghi i
nuovi «responsabili», pronti a pun-
tellare il traballante governo di
Giuseppe Conte che perde pezzi
pur di salvare la pagnotta.
Al grido di «tengo famiglia», schie-
re di onorevoli sono disposti a but-
tare a mare le proprie idee ed i pro-
pri valori pur di portare a casa le

ricche prebende che spettano ai
parlamentari.
Forse a parole tutti disprezzano
Razzi e Scilipoti, ma poi se li tengo-
no ben stretti e, commossi, li rin-
graziano di nascosto.
ARMANDO PARODI-GENOVA

LO SPETTRO


DELL’UNTORE INVISIBILE


EUGENIA TOGNOTTI


Sono circa 2 milioni le persone prive di ac-
cesso all’acqua potabile e a servizi igieni-
co sanitari in Burkina Faso. Nel corso del-
lo scorso anno il numero di sfollati interni
è inoltre cresciuto di dieci volte: più di 500
mila persone hanno trovato rifugio in aree
molto povere e sovraffollate. A lanciare

l'allarme alla comunità internazionale è
Oxfam, confederazione internazionale di
organizzazioni non profit per la riduzione
della povertà globale. In un comunicato,
Oxfam sottolinea l'intensificarsi degli
scontri nel nord e nell'est del Burkina Fa-
so, aggravati da siccità e cambiamenti cli-

matici degli ultimi anni. Una crisi resa an-
cora più grave dall'instabilità politica che
caratterizza il Paese, in cui 318 mila bam-
bini non possono andare a scuola e in cui il
94 per cento degli sfollati è a rischio cre-
scente di epidemie perché vive in aree so-
vraffollate. —

REDAZIONE
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sportelli del Salone


Caro Direttore,
quando vediamo una «Stella di David» o un «Ju-
de» disegnati su una porta, un portone, un muro;
quando notiamo svastiche che deturpano le tom-
be di un cimitero ebraico; quando sentiamo che è
stato profanato il «Giardino dei Giusti»; quando
leggiamo un messaggio antisemita, una scritta
razzista, una qualsiasi parola offensiva e denigra-
toria; quando veniamo a conoscenza di atrocità
tenute nascoste per decenni, noi tutti, donne e uo-
mini, giovani e anziani, di qualunque colore sia la
nostra pelle, il nos`tro credo religioso e la nostra
fede politica, non cadiamo nel tranello di reagire
con rancore a tanta cattiveria, ma isoliamo questi
virus maligni - che offendono ogni valore di soli-
darietà e di pace – «incollando» il nostro cuore su
tutte le espressioni di odio.
Tutti noi uomini di buona volontà che credia-
mo nei valori morali, civili e sociali; tutti noi che

mai smetteremo di piangere vittime innocenti -
vedi i morti delle foibe, che per oltre settant’anni
hanno subito l’umiliazione di coloro che per «esi-
genze di partito» hanno rimosso quei tragici or-
rori - ; tutti noi che continueremo ad onorare la
memoria sacra dei martiri, degli eroi, di tante
persone comuni e sconosciute che si sono immo-
late per difendere gli ideali di democrazia e di ci-
viltà, isoliamo ogni traccia indegna lasciata da
gente deviata e sostituiamola con pensieri e con-
creti atti d'amore.
Uniamo tutti i nostri cuori per ricordare ai
giovani le atrocità commesse nel triste recente
passato che tante tragedie hanno provocato.
Tutti i nostri cuori straripanti d'amore per guar-
dare al futuro e creare uno scudo impenetrabi-
le a difesa del bene.
RAFFAELE PISANI —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

SEGUE DALLA PRIMA PAGINA


LI


LETTERE


& IDEE


Il premio Carlo Casalegno, il ri-
conoscimento intitolato alla
memoria del vicedirettore del
giornale simbolo dei valori del-
la Costituzione e vittima del
terrorismo, che la direzione de
«La Stampa» assegna ogni setti-
mana al giornalista che più si è
messo in evidenza, questa vol-
ta va ad Andrea Joly, collabora-
tore della Cronaca di Torino,
per il servizio sulla pasticceria
Pfatisch finita all’asta. —

Andrea Joly


PREMIO CARLO
CASALEGNO

La Stampa
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Il numero del giorno


2 milioni


Le persone senz’acqua in Burkina Faso


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Anna Masera
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LETTERE


PARIGI E LA FORZA


DI DISSUASIONE NUCLEARE


GIUSEPPE CUCCHI


ARMANI SI SCHIERA


DALLA PARTE DELLE DONNE


MARIA CORBI


RISPONDE IL DIRETTORE


Con le scritte antiebraiche


l’estrema destra


tenta di rafforzarsi e fare proseliti


Caro Pisani,
quanto lei esprime e scrive riflette il valore dell’articolo 3 della Costituzione repubblicana che co-
stituisce il vero antidoto ad ogni forma di intolleranza e discriminazione nel nostro Paese. Resta il
legittimo interrogativo sul perché un così significativo numero di episodi antiebraici si stia verifi-
cando, soprattutto attraverso scritte offensive nei confronti di chiunque. E, in particolare, in una
regione come il Piemonte nel cui dna non c’è l’estrema destra ma anzi la lotta partigiana durante
la Seconda Guerra Mondiale. Credo che la risposta abbia a che vedere con l’identità stessa dell’e-
strema destra nel nostro Paese. Si tratta di gruppi molto minoritari, quasi catacombali, che opera-
no molto spesso ai margini della vita pubblica e vivono in una situazione di autoisolamento cultu-
rale ma si giovano della cornice di una crescente polarizzazione della vita pubblica, che porta
all’affermazione degli estremi. Questi estremisti percepiscono così la possibilità di uscire dal
buio, tornare in superficie ed ottenere ogni sorta di riconoscimenti. Da qui il loro desiderio di re-
clutare, fare proseliti, al fine di ottimizzare l’attuale inquieta fase politica per rafforzarsi, acqui-
stare spazio, visibilità e in ultima istanza legittimità. Per tali gruppi provare a fare proseliti signifi-
ca esaltare la propria ideologia d’odio verso il prossimo e questo spiega il moltiplicarsi delle scrit-
te antisemite così come la scelta di farlo in una regione italiana culla della lotta partigiana. —
© RIPRODUZIONE RISERVATA

SABATO 22 FEBBRAIO 2020LA STAMPA 23

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