L
a porta di casa è spran-
gata. «Mio marito è
andato a vivere da
un’altra parte. Una
nostra amica gli ha prestato
un appartamento vuoto e se
ne sta lì, da solo. Dorme su
una brandina, mangia con i
colleghi. Qui a casa? Per ades-
so non viene: ci sentiamo la se-
ra al telefono. Lui aspetta. E
noi pure».
Periferia di Settimo Torine-
se, primissima cintura della
città. Al primo piano di questo
palazzo che guarda da lonta-
no giardini e negozi, abita la
donna che ha scelto di incarce-
rarsi da sola. Di chiudere,
cioè, il mondo fuori da casa, e
di starsene lì in quelle tre stan-
ze con i due figli ormai grandi.
Aspettando una sentenza che
soltanto il tempo le può dare.
E che ha a che vedere con il vi-
rus che terrorizza il mondo. Il
suo nome è Yemin. Ha 50 an-
ni, e all’inizio gennaio s’era im-
barcata su un volo diretto a
Wuhan, per andare a festeg-
giare il capodanno cinese con
la madre. Laggiù, in quei gior-
ni, si ballava nelle strade. E
nel resto del mondo la parola
coronavirus non lo conosceva
quasi nessuno. Quando tutto
è cambiato il capodanno cine-
se era appena finito. A Wuhan
la polizia bloccava le strade.
Impediva alla gente di uscire.
Yemin, appena ha potuto s’è
imbarcata su un volo per tor-
nare in Italia. Lei i due figli:
Xu, 24 anni, e Xu Yi di 20. E
adesso se ne sta lì, nella prigio-
ne volontaria ad aspettare
che la quarantena che s’è auto
imposta - e ha imposto ai suoi
figli - finisca.
«Il cibo ce lo porta una mia
amica. Arriva la sera, mette la
pentola e i sacchetti con le
provviste davanti all’uscio e
se ne va. Quando lei se n’è an-
data, e s’è chiusa alle spalle an-
che il portone, io apro la por-
ta, prendo quel che c’è lì sullo
zerbino, e richiudo subito a
chiave» racconta. Per paura
che qualcuno le faccia del ma-
le? «No per senso di responsa-
bilità. Per evitare di far del ma-
le ad altri, se mai avessimo
contratto il virus. Per poter,
un domani, andare in giro a te-
sta alta e dire che anche noi ab-
biamo fatto la nostra parte nel
difendere la salute di tutti».
Ecco, questa storia di eremi-
taggio volontario, di auto re-
clusione, racconta meglio di
qualsiasi altra vicenda tutta
l’ansia di quella che, con fin
troppa semplicità, viene chia-
mata la comunità cinese. Che
osserva incredula ciò che sta
accadendo tutt’intorno a loro.
Vale a dire ristoranti vuoti. Ne-
gozi senza clienti. Le inspiega-
bili e assurde aggressioni per
strada. E Gianni Huang, pro-
prietario dei ristoranti «Fu-
jiyama» di Torino fa i conti:
«Le nostre attività sono al col-
lasso. Basta un niente e i locali
si svuotano». Da metà genna-
io i tavoli restano vuoti. Mr
Huang è chiaro: «Altro che dif-
ficoltà per pagare l’affitto, ora
iniziamo ad avere problemi
anche per gli stipendi del per-
sonale».
Yemin, chiusa nel suo ap-
partamento fortino osserva il
mondo fuori attraverso la tv.
«Non mi sento una prigionie-
ra. Mi sento libera di essere
una donna responsabile». E in-
tanto conta i giorni del suo iso-
lamento. «Ne dobbiamo fare
ancora nove». Come sta? «Io
benissimo e pure i miei figli.
Non abbiamo febbre, non ab-
biamo sintomi strani. Non c’è
assolutamente nulla che non
vada nella nostra salute». Mr
Huang la chiama di tanto in
tanto. Il marito passa sotto ca-
sa la sera a fare un cenno di sa-
luto sotto le finestre. Xu e Xu
Yi, guardano il mondo dallo
schermo dei computer. Lei
dalla tv satellitare.
Lo sa che è stata aggredita
un’altra donna a Torino? «No,
nessuno me lo aveva detto.
Ma, del resto, sono chiusa qui
dentro». Ha paura? «Perché
dovrei? Io sto bene e i miei fi-
gli pure. Se stiamo in autoiso-
lamento è per prudenza, per
senso di responsabilità, per-
ché questo si deve fare quan-
do si vive in mezzo ad altre
persone». Al massimo suben-
tra la noia, dice. «Ma poi pensi
che se tutto andrà bene sarà
stata una specie di vacanza
non programmata. Un prolun-
gamento di quella che abbia-
mo fatto in Cina».
E mentre lei parla il mondo
fuori va avanti. Le notizie in tv
incalzano. Basta un decesso
in ospedale per alzare il livel-
lo di attenzione. Far crescere
ancora l’ipersensibilità collet-
tiva. E mentre lei parla dall’al-
tra parte della città il signor
Jian Chen, di anni 42, nego-
ziante con bottega in corso Re-
gina Margherita, annuncia
che per lui l’isolamento è fini-
to. E lunedì si riprende in ma-
no vita e lavoro. «Sto bene.
Non ho nulla. Anch’io mi ero
isolato da tutto e da tutti chiu-
dendomi in casa per 15 gior-
ni». Da solo? «Sì. Assoluta-
mente da solo». —
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P
icchiata, afferrata per
il collo, insultata: «Ci-
nese di merda, virus,
vai via da Torino».
Questa volta non è successo
di notte, né in periferia. Ma al-
le 17 di giovedì, in pieno gior-
no, sotto i portici del centro. La
seconda aggressione razzista
da psicosi coronavirus è acca-
duta in via Cernaia, davanti a
una gelateria affollata, a un in-
crocio iper trafficato.
Stavolta a colpire non è sta-
to un branco di bulli, come nel
caso di Cheng e Ye, presi a bot-
tigliate l’11 febbraio in via So-
spello. Ma una coppia di italia-
ni di mezza età.
Hu ha 40 anni, vive a Torino
dal 1997. L’hanno assalita
all’improvviso, mentre era al
semaforo di corso Siccardi.
Aspettava il verde. È stato un
attimo: le si sono affiancati un
uomo e una donna, avranno
avuto 30 o 40 anni. Prima gli
insulti, poi i calci e i pugni. «Di-
strazione cervicale da aggres-
sione» con prognosi di sette
giorni, è la diagnosi dell’ospe-
dale Gradenigo. Non sono tan-
to le botte a farle male adesso,
ma l’umiliazione. Hu è torine-
se da vent’anni. Gestisce un
bar a Porta Palazzo. Ha tre fi-
gli, il più grande va all’Univer-
sità. Parla un italiano quasi per-
fetto, si spacca la schiena ogni
giorno dietro al bancone a ser-
vire caffè e amari. I suoi clienti
sono soprattutto italiani: resi-
denti, ambulanti. Un avvento-
re storico del suo bar, barba gri-
gia e accento piemontese,
mentre Hu piange e racconta
quanto ha dovuto subire, le
mette una mano sul collare e
dice: «Se sono stati due italiani
a farti questo, io mi vergogno
di esserlo». Lei risponde: «Ho
deciso di denunciare per i miei
paesani, per i miei figli. Queste
cose non devono succedere.
Se non denuncio, ricapiterà a
qualcun altro».
È giovedì pomeriggio e sono
quasi le 17. Hu cammina svel-
ta per via Cernaia: come tutti i
giorni, da qualche tempo a
questa parte, la aspettano alla
Chiros per una seduta di fisio-
terapia: sta in piedi 12 ore al
giorno, ha male alla schiena.
Senza il massaggio quotidia-
no non riesce nemmeno ad al-
zarsi. La visita medica è l’unica
uscita extra lavoro. I giorni del-
la settimana per lei sono tutti
uguali. La sveglia, nel suo ap-
partamento in Parella, suona
alle quattro. Hu apre il bar alle
cinque, lo chiude dopo le 18.
L’aggressione è alle 16.47.
«Stavo per attraversare corso
Siccardi», racconta la donna.
Che aggiunge: «Il semaforo
era rosso e io ero ferma. Mi si
sono avvicinati due italiani,
un uomo e una donna. Men-
tre attraversavo l’uomo mi ha
detto “Cinese di merda, virus,
vai via da Torino”. Io sul mo-
mento ho fatto finta di nulla,
avevo paura. Ho continuato a
camminare, ma mi seguiva-
no. Davanti alla gelateria del
civico 19, l’uomo mi ha detto
di nuovo “Cinese di merda,
vai via, tu hai il virus”. La don-
na urlava: “Vai via altrimenti
ti ammazzo, cinese di mer-
da”». Hu cerca di dileguarsi,
tentando prima di calmarli.
«Ho provato a spiegare che an-
che se sono cinese non vuol di-
re che abbia il coronavirus.
Gli ho detto di smetterla, altri-
menti avrei chiamato la poli-
zia» ricorda seduta sul diva-
netto di pelle rossa del suo
bar. «Ho preso il cellulare –
prosegue Hu – ma ho compo-
sto solo 1 e 1. Prima che finis-
si di digitare il numero di
emergenza quella donna mi
ha sferrato una manata sul
collo e mi ha colpita con calci
e pugni. Poi mi ha presa per il
collo di nuovo. Mentre lei mi
picchiava l’uomo continuava
ad inveire».
Il racconto dettagliato di
Hu, insieme alla descrizione
dei suoi aggressori, sono sta-
te verbalizzate dagli agenti
del commissariato Dora Van-
chiglia. «Mi hanno aiutata i
passanti e i clienti della gelate-
ria – conclude Hu – sono stati
loro a farli allontanare. La
mia dottoressa della Chiros
mi ha detto che dovevo anda-
re a denunciare subito. Io ero
terrorizzata non sapevo cosa
fare». Un cliente italiano, sfo-
gliando il giornale, sottoli-
nea: «È andata esattamente
come a quei due ragazzi in via
Sospello, che vergogna”.
Cheng e sua moglie erano sta-
ti presi a bottigliate alle due
di notte. Stavano rientrando
a casa. Prima era toccato ad
un’altra donna. E. SOL. —
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YEMIN
CON I DUE FIGLI
Yemin, con i due figli, è rientrata da poco da un viaggio a Wuhan
Il marito è andato a vivere da un’altra parte: “Non è venuto con noi”
“Prigionieri per scelta
Ci lasciano il cibo
sullo zerbino di casa”
Donna cinese aggredita in centro
“Hai il virus, vai via o ti ammazzo”
Un uomo l’ha insultata, una donna l’ha colpita. Terzo episodio in poche settimane
Parola d’ordine: prepararsi al
peggio. Al di là dei toni rassi-
curanti, utilizzati al termine
dell’incontro, è la sintesi della
riunione straordinaria della
task force regionale sul coro-
navirus per fare il punto sulla
situazione in Piemonte dopo i
primi casi di contagio in Lom-
bardia: presenti i direttori del-
le Asl, i responsabili del Sere-
mi (Servizio di riferimento re-
gionale di epidemiologia per
la sorveglianza e il controllo
delle malattie infettive), il di-
rigente responsabile del Set-
tore Programmazione dei ser-
vizi sanitari regionali, i re-
sponsabili dei Servizi di Emer-
genza 118 e della Protezione
civile del Piemonte. E natural-
mente l’assessore alla Sanità
Luigi Icardi. Obiettivo: recepi-
re la nuova ordinanza del mi-
nistero della Salute, potenzia-
re il sistema organizzativo, af-
frontare le prime difficoltà di
carattere logistico. È il caso
delle mancate o ridotte forni-
ture di mascherine, gel e disin-
fettanti, con l’invito a raziona-
re il materiale disponibile.
Tutto questo mentre anche in
Piemonte, da Vercelli a Chi-
vasso, rimbalzano segnalazio-
ni di casi sospetti.
La circolare ministeriale, si
diceva: prevede misure di iso-
lamento quarantenario obbli-
gatorio per i contatti stretti
con un caso risultato positivo
e dispone la sorveglianza atti-
va con permanenza domicilia-
re fiduciaria per chi è stato
nelle aree a rischio negli ulti-
mi 14 giorni, con obbligo di se-
gnalazione da parte del sog-
getto interessato alle autorità
sanitarie locali.
Ma nel corso della riunio-
ne, dove sono stati seguiti in
diretta gli aggiornamenti dal-
la Lombardia, è stato ritarato
il sistema organizzativo ospe-
daliero e pre-ospedaliero con
percorsi dedicati in caso di pa-
zienti sintomatici o con po-
chi, generici sintomi: lo sno-
do sono la guardia medica e i
medici di base, a seguire i nu-
meri 112 e 118. Il paziente
sintomatico, previa valutazio-
ne clinica, sarà trasferito ne-
gli ospedali dotati di reparti
per malattie infettive, come
l’Amedeo di Savoia, o di re-
parti di isolamento: salvo es-
sere trasferito, in caso di ag-
gravamento, nei reparti di ria-
nimazione e poi alle Molinet-
te in circolazione extracorpo-
rea. Come si premetteva, so-
no stati considerati anche i i
pazienti asintomatici o con
pochi sintomi. Per questi ulti-
mi, tra le altre cose, è prevista
l’effettuazione del tampone
anche a domicilio: previsto,
ad oggi, un solo mezzo per
tutto il Piemonte.
L’assessore ha rilevato co-
me il sistema sanitario stia
agendo con la massima atten-
zione, assicurando il pieno ri-
spetto dei protocolli sanitari.
Resta la preoccupazione per
l’insorgere di nuovi casi in
Italia, con la prospettiva di
trovarsi molto presto a fron-
teggiare situazioni analoghe
in Piemonte. Non a caso, su
suggerimento di Giovanni Di
Perri, direttore Malattie In-
fettive dell’Amedeo, oltre al
test specifico predisposto dal
medesimo ospedale per
escludere il coronavirus, si
punta sugli approfondimen-
ti diagnostici tout court in tut-
ti i casi che possono origina-
re il sospetto di un nuovo ca-
so di infezione. Vigilanza ai
massimi livelli. —
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IL PUNTO
LA DONNA AGGREDITA
Yemin, ieri, in compagnia dei due figli: “Guardiamo la tv, giochiamo con il pc. Non abbiamo sintomi della malattia, ma per sicurezza restiamo qui”
Rientrata dalla Cina, è stata
costretta a lasciare il suo pae-
se natale (in Sicilia) perché
accusata dai compaesani di
mettere a rischio la loro salu-
te. Anche questo è razzismo
da psicosi coronavirus.
Marika Digato si trovava a
in Cina perché frequentava
l’ateneo Tongji di Shanghai
nell’ambito di una borsa di
studio dell’Università di Tori-
no. Studentessa di UniTo,
una volta allontanatasi dalla
Sicilia ha affidato a Facebook
la sua esperienza: «Ci tenevo
a fare una riflessione perso-
nale per tutta quella gente,
non poca, che mi ha puntato
il dito contro» ha scritto sui
social. «Sono tornata in Italia
dopo una settimana chiusa
in casa nel mio appartamen-
to a Shanghai con i miei ami-
ci. Abbiamo attraversato dei
momenti duri, di immenso
sconforto, di tristezza e di de-
lusione. Qui abbiamo ricevu-
to tanti messaggi di solidarie-
tà, di vicinanza e di affetto».
«Purtroppo - racconta la stu-
dentessa - tutto questo affet-
to è scomparso una volta mes-
so piede in Sicilia. Siamo sta-
ti in contatto con il consolato
italiano a Shanghai, con dot-
tori italiani che vivono a
Shanghai, abbiamo misura-
to la febbre giorno per giorno
e siamo stati in isolamento
prima di partire. Shanghai di-
sta 850 chilometri da Wuhan
e i contagi erano davvero irri-
sori in città, senza contare
che noi non abbiamo fre-
quentato nessuno prima di
tornare in Italia». Secondo
Marika, però, il punto della
questione è un altro. «Siete
stati bravissimi a puntare il
dito senza conoscere e senza
sapere. Imparate a giudica-
re dopo aver ascoltato ciò
che una persona ha da dire,
informatevi imparate ad es-
sere gentili con gli altri per-
ché un giorno potreste esse-
re voi dall’altra parte: impa-
rate a lottare per ciò che è
giusto, imparate a giudicare
dopo aver ascoltato, impara-
te ad essere solidali e non
razzisti». L. D. P. —
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denuncia sui social
Lascia la Sicilia
dopo le accuse
la studentessa
tornata dalla Cina
IL CASO
TRA EMERGENZA E PSICOSI TRA EMERGENZA E PSICOSI
Stavo attraversando
la strada quando lui
mi ha insultata. Lei
mi ha colpita mentre
chiamavo la polizia
Ho deciso di
denunciare per i miei
paesani, per i miei
figli. Queste cose non
devono succedere.
Se non denuncio,
ricapiterà a qualcun
altro
Noi stiamo bene,
stiamo qui per
prudenza: è come
una vacanza
fuori programma
Ci siamo rinchiusi
in casa per senso
di i responsabilità:
siamo appena tornati
da un viaggio in Cina
si riunisce la task force: ospedali a corto di mascherine, gel e disinfettanti
Quarantena ed esami anche a domicilio
La Regione si prepara all’emergenza
Il Comune
ai dipendenti
“No maschere”
«Il personale a con-
tatto con il pubbli-
co, ad esempio spor-
telli dell’anagrafe, delle
tasse o attività professio-
nali quali polizia munici-
pale, insegnanti, assi-
stenti sociali sul territo-
rio, non corre rischi mag-
giori di contrarre la sin-
drome influenzale da vi-
rus rispetto alla popola-
zione in generale». I di-
pendenti del Comune ie-
ri si sono visti recapita-
re questo avviso, tra-
smesso dal direttore del
personale con allegata
una pagina inviata dall’I-
stituto biomedico. Una
sorta di vademecum
che, al fondo, contiene
un avviso ai circa 9 mila
addetti di Palazzo Civi-
co, in particolare quelli
che lavorano a stretto
contatto con il pubbli-
co: «Non sono giustifica-
ti allarmismi o compor-
tamenti iper cautelativi
quali l’indossare ma-
scherine facciali».
Un avviso che suona co-
me un ammonimento:
guai a contribuire a dif-
fondere la psicosi colletti-
va, specie ora che il virus
ha cominciato a diffon-
dersi in Italia. Per questa
ragione, a meno di comu-
nicazioni di natura oppo-
sta, la linea negli uffici
pubblici è di mantenere
un profilo basso. Invito
che non tutti sembrano
aver raccolto, a giudica-
re da quei vigili che ieri gi-
ravano per Torino con
mascherina sulla bocca e
da quei loro colleghi che
hanno immediatamente
contattato gli uffici della
Città e dell’Istituto bio-
medico per sollecitare
misure diverse, spiegan-
do che il loro lavoro li por-
ta quotidianamente e co-
stantemente a contatto
con persone di ogni tipo
e che quindi adottare
qualche precauzione
non sarebbe poi così sba-
gliato. —
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