Il Sole 24 Ore - 22.02.2020

(Jeff_L) #1

Il Sole 24 Ore Sabato 22 Febbraio 2020 15


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È

il finanziere che negli anni  si guadagnò


l’appellativo di re dei junk bond, i titoli ad


alto rendimento al centro di diversi terre-
moti finanziari, compreso il crollo di Borsa

del settembre  che segnò l’inizio della
più grande crisi recessiva del secondo do-

poguerra. A prescindere da qualunque valutazione


sulle persone coinvolte nelle vicende statunitensi,
l’episodio è solo l’ultimo emblematico esempio del

rapporto ciclico che esiste tra l’interesse dei politici a


gonfiare bolle finanziarie, i rischi di danni sistemici,
e la tendenza dei cittadini a dimenticare, aumentando

le probabilità che il ciclo vizioso tra politica e finanza


tossica si ripeta.
Per descrivere tale ciclo occorre innanzitutto ri-

cordare tre risultati empirici della più recente analisi


economica. In primo luogo, non tutte le recessioni
economiche sono uguali, in termini di danno macro-

economico, calcolato come perdita complessiva di


prodotto interno lordo. Se il danno è calcolato te-
nendo conto di profondità e durata di ogni recessio-

ne, si scopre che le crisi economiche più dolorose


sono quelle causate dalle bolle finanziarie. In secon-
do luogo, la bolla finanziaria è tanto più probabile

quanto più vi è un eccesso di creazione di credito; un


evento che chiama in causa anche le possibili re-
sponsabilità sia della politica monetaria sia della

regolamentazione bancaria.


Sorge allora la domanda: come mai chi ha informa-
zioni migliori sia sul rischio di bolla finanziaria che

di eccesso di credito – quindi i supervisori bancari in


generale e le banche centrali in particolare – tendono
a diventare sordi rispetto ai segnali

di allarme che tali informazioni


possono contenere?
La risposta viene data da un terzo

risultato empirico: esiste una corre-
lazione – che condiziona i control-

lori – tra popolarità del governo in


carica e probabilità che successiva-
mente scoppi una bolla finanziaria

alimentata da un eccesso di credito.


Non basta: tale correlazione è
tanto più forte quanto la qualità del

governo in carica è bassa. La spiega-


zione più semplice è che tanto più un politico è me-
diocre tanto più il credito può divenire una leva im-

portante per aumentare il consenso tra i cittadini,


anche se questo aumenta il rischio di una recessione
da bolla finanziaria.

Insomma, con uno slogan: «Il consenso prima di


tutto, poi (magari) il Paese». Un’analisi empirica relati-
va a  Paesi dal  al  mostra che il nesso tra

opportunismo politico e finanza tossica è empirica-


mente verificato nelle economie emergenti.
Inoltre le recessioni da bolla finanziaria possono

ripetersi, anche nello stesso Paese, perché i cittadini


dimenticano. Ritornando al caso degli Stati Uniti, ven-
gono in mente le parole pronunciate da Paul Volcker,

già governatore della Federal Reserve tra il  e il


, chiamato in tutta fretta nel  dall’allora presi-
dente americano Barack Obama al capezzale del siste-

ma bancario americano. L’ex governatore diede un


contributo decisivo alla riscritture delle regole finan-
ziarie, con l’obiettivo di ridurre la possibilità per i ban-

chieri di assumersi rischi eccessivi.


Nel  Volcker si era detto preoccupato, notando
l’affievolirsi dell’impegno a considerare la difesa della

stabilità finanziaria una priorità. Se diminuiscono
impegno ed attenzione, anche per il passare del tem-

po, il rischio che l’opportunismo politico ricompaia


diventa più alto.
Negli Stati Uniti, la convenienza politica – va detto

sia democratica che repubblicana – aveva fatto crescere


la bolla del debito privato, assecondata da una politica
monetaria della Fed eccessivamente espansiva, provo-

cando la Grande crisi del .


Con la presidenza Trump la politica del colpo di spu-
gna è ritornata di attualità.

È iniziata un’azione sistematica di discredito con le


parole e di smantellamento con i fatti della politica
bancaria disegnata durante la presidenza Obama.

Il motivo di fondo è sempre uguale: sono nocive


quelle regole che riducono direttamente la libertà dei
banchieri di definire in che settore operare, a che prezzi

e con quali volumi. Mentre la deregolamentazione pro-


duce efficienza e stabilità. Lo diceva anche l’allora go-
vernatore della Fed Alan Greenspan nel . Sappia-

mo tutti come è andata a finire.


© RIPRODUZIONE RISERVATA

LA LEZIONE DELL’EMILIA-ROMAGNA


TRA IMPRESE FORTI E BUON GOVERNO


—Continua da pagina 


N

el - il valore ag-


giunto dell’industria in


senso stretto dell’Emi-
lia-Romagna è cresciu-

to in termini reali del
,%. Avete letto bene:

+,%. Cioè più del doppio di quanto


è cresciuta l’industria della Germania
nello stesso biennio, prima che nel

 scoppiasse la crisi tedesca del-


l’auto e dell’export. Non solo. Nel bi-
ennio - la produttività del lavo-

ro dell’industria emiliano-romagnola


è aumentata in termini reali del ,%.
Un risultato eccezionale per la regio-

ne, che va peraltro inquadrato nel più


ampio miglioramento della produtti-
vità dell’industria italiana nel suo

complesso, cresciuta di più di quella


di tutti gli altri maggiori Paesi Ocse
negli ultimi anni (come già da noi do-

cumentato su queste colonne).


Questi dati dimostrano una volta
di più quanto sia necessario andare

finalmente oltre la lamentazione con-


tinua e assolutamente sterile e incon-
cludente sulle cattive condizioni del-

l’economia italiana e sulla nostra de-


bole crescita. Per non sprecare un al-
tro decennio (ne abbiamo già persi

due) a piangerci addosso inutilmente.


Certo, la produzione industriale è og-
gi in forte caduta (non solo in Italia) e

ciò deve preoccupare. Ma prima di


questa crisi, che ci auguriamo non si
prolunghi troppo nel tempo a causa di

fattori esterni (ultimo il coronavirus),
l’industria italiana si era molto raffor-

zata e occorre perciò cogliere i segnali


di progresso e di innovazione che so-
no avvenuti all’interno del nostro set-

tore produttivo negli ultimi anni. Ca-


pire per quali ragioni tali migliora-
menti si sono verificati o sono stati fa-

voriti e in quali aree geografiche sono


avvenuti. Comprendere se alcune po-
litiche economiche nazionali hanno

ben funzionato e interagito positiva-


mente con quelle locali. E, se sì, cerca-
re di potenziarle e/o estenderle ad al-

tri settori o territori del nostro Paese


dove la crescita invece stenta, in parti-
colare in taluni comparti dei servizi e

nel Mezzogiorno.


Partiamo da un dato chiave. Il va-
lore aggiunto complessivo di tutti i

settori economici dell’Emilia-Roma-


gna è aumentato nel biennio -
del +,% in termini reali contro il

+,% della Germania, presa come


benchmark. Ciò è accaduto proprio
grazie al boom dell’industria emilia-

no-romagnola, che ha trainato l’eco-


nomia di tutta la regione.
Non solo. L’exploit industriale

dell’Emilia-Romagna è alla base an-
che del “sorpasso” della crescita del-

l’industria italiana nel biennio -


 (+%) rispetto a quella tedesca
(+,%). Infatti, le due altre principali

regioni del Nord Italia, cioè Lombar-


dia e Veneto, hanno sì registrato un
buon aumento del valore aggiunto

delle loro industrie. Ma, senza la


straordinaria accelerazione del-
l’Emilia-Romagna, il loro apporto

non sarebbe stato sufficiente per su-


perare i tedeschi. Infatti, l’industria
del Veneto è cresciuta nel - del

% (anch’essa davanti alla Germania,


ma quattro punti percentuali meno
dell’Emilia-Romagna), mentre la

crescita dell’industria lombarda è


stata più debole, pari a +,%. Dun-
que, il valore aggiunto dell’industria

dell’Emilia-Romagna nel biennio


considerato è aumentato quasi  vol-
te di più di quello della Lombardia,

che pure non è una regione compri-


maria in Italia e in Europa, e ha dato
all’economia del nostro Paese una

spinta senza precedenti.


Se analizziamo la dinamica del va-
lore aggiunto dell’Emilia-Romagna

nel biennio - e il contributo che
a esso hanno fornito i singoli settori

produttivi della regione, scopriamo


che quasi / della crescita economi-
ca complessiva emiliano-romagnola

(pari a +,%, come già detto) sono


derivati dall’industria (+,% il suo
contributo alla crescita totale della re-

gione). Per un confronto, nello stesso


periodo, alla crescita tedesca com-
plessiva (+,%), l’industria ha contri-

buito solo per poco più di un quarto


(+,%), mentre all’aumento del valo-
re aggiunto totale in Lombardia e Ve-

neto (pari, rispettivamente, a +% e


+,%), l’industria ha contribuito
grosso modo per un quarto in Lom-

bardia (più o meno come in Germa-


nia) e per la metà in Veneto.
In definitiva, se esistono parti di

Italia che surclassano la Germania per


crescita economica complessiva e in-
dustriale, è chiaro che è necessario li-

berarci una volta per tutte dalla vulga-


ta semplicistica secondo cui in Italia
non funziona nulla e che siamo con-

dannati inesorabilmente a una cresci-


ta zero. Il segreto dell’Emilia-Roma-
gna è molto semplice: è una regione

non solo ben amministrata, ma che


ha anche un’economia reale struttu-
ralmente forte (nell’industria, nel-

l’agricoltura, nel turismo), le cui po-
tenzialità sono state esaltate dalle po-

litiche economiche nazionali molto


efficaci degli ultimi anni (a cui ancora
non è stato riconosciuto il dovuto me-

rito). In Emilia-Romagna, con il Jobs


Act e le decontribuzioni, il tasso di di-
soccupazione è sceso nel  al ,%,

cioè, per un confronto, a un livello di


circa  punti percentuali inferiore non
solo a quello medio francese, ma an-

che della regione economicamente


più ricca della Francia, cioè l’Ile-de-


di Marco Fortis


France. Quasi un milione di emiliano-


romagnoli ha beneficiato degli  eu-
ro facendo crescere in modo impor-

tante i consumi e l’Emilia-Romagna
è stata una delle regioni d’Italia in cui

le imprese hanno maggiormente in-


vestito in macchinari e nuove tecno-
logie grazie al super-ammortamento

e al Piano Industria ..


Straordinaria, poi, è stata la perfor-
mance dell’export dell’Emilia-Roma-

gna negli ultimi dieci anni: +,% in


valore nel  rispetto al , con-
tro i pur ragguardevoli +,% del Ve-

neto e +,% della Lombardia.


L’Emilia-Romagna nel  ha espor-
tato complessivamente , miliardi

di euro in più rispetto al , di cui


+, miliardi di macchinari e apparec-
chi, +, miliardi di alimentari, +,

miliardi di moda, +, miliardi di


mezzi di trasporto, + milioni di
apparecchi elettrici, + milioni di

chimica, + milioni di piastrelle ce-


ramiche e articoli in gomma e plastica
e + milioni di farmaceutica. Per

surplus di bilancia commerciale con


l’estero l’Emilia-Romagna ormai
contende al Baden-Württemberg il

primo posto in Europa.


Ricordiamo, inoltre, che Bologna si
è imposta negli ultimi anni come una

delle capitali mondiali dei Big data. E


che nel  tra le prime dieci provin-
ce italiane per valore aggiunto com-

plessivo per abitante troviamo ben
quattro province emiliane (Bologna al

terzo posto, Modena al quarto, Parma


al settimo e Reggio Emilia al decimo).
Inoltre, tra le prime quattro province

italiane con il più alto valore aggiunto


industriale pro capite addirittura tre
sono emiliane (Modena al primo po-

sto, Reggio Emilia al terzo e Parma al


quarto), a riprova della straordinaria
vocazione industriale della regione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

BUSSOLA
& TIMONE

BASIC

LIGHT

BACKGROUND

NEGLI ULTIMI


ANNI BOLOGNA


È DIVENTATA


UNA CAPITALE


MONDIALE


DEI BIG DATA


Variazioni % rispetto al 2016
Periodo 2017/

Fonte: elab. Fondazione Edison su dati Istat e Eurostat

0 2 4 6 8 10 12

Emilia-Romagna 10,


Veneto 6,


Italia 6,


Germania 4,


Lombardia 3,


34,2 Valore aggiunto dell’industria


PER CENTO
Tanto sono
cresciute
le esportazioni
dall’Emilia-
Romagna verso
i mercati esteri
nel decennio tra
il 2008 e il 2018,
meglio di Veneto
e Lombardia.

I COLPI DI SPUGNA


DI TRUMP


PROMETTONO MALE


UN ANTIVIRUS CHIAMATO GLOBALIZZAZIONE


di Giovanni Tria


e le interconnessioni tra le economie


nazionali, sia perché si muovono in
un orizzonte politico nazionale in cui

non sempre riescono a essere guida,


ma al contrario vedono vantaggi di
breve periodo nel “seguire” gli umori

e i timori, anche quelli irrazionali,


delle popolazioni.
Non si deve dimenticare che uno

dei principali effetti positivi di un


mondo interconnesso è quello di fa-
vorire la produzione di beni pubblici

globali, quali sono la lotta all’inqui-


namento e al cambiamento climati-
co, la diffusione della conoscenza e

dell’istruzione, il progresso nella me-


dicina e la lotta alle malattie endemi-
che. I mali pubblici globali, come le

possibili pandemie, sono oggi con-


trastabili più facilmente, nonostante
tutto, nel mondo interconnesso che,

ricordiamolo sempre, è abitato da 


miliardi di persone che faticosamen-
te devono trovare il modo di convive-

re. Anche in questa difficile situazio-


ne, quindi, non possiamo guardare
alla Cina solo come a un enorme

mercato in difficoltà, ma come a un


Paese cruciale per il successo di que-
sto obiettivo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Questa scelta si rivelerà vincente


anche sul piano economico, sia per la
Cina sia per il resto del mondo, se tutti

gli attori manterranno mente fredda


accettandone l’impatto transitorio
senza trasformare le incertezze di

breve periodo in un motivo di distor-


sione e indebolimento delle catene
produttive o di sostegno alle tesi di

de-globalizzazione, il cui effetto sul-


l’economia mondiale, e su quelle na-
zionali, sarebbe certamente più pro-

lungato e distruttivo. Mente fredda si


richiede innanzitutto al sistema delle
imprese e della finanza che devono

trovare i modi di assorbire e steriliz-


zare, anche sul piano contrattuale e
transattivo, gli effetti delle possibili

interruzioni transitorie dei circuiti


produttivi e finanziari interconnessi.
In caso, concordando con i governi un

sostegno, sul piano della regolamen-


tazione e finanziario, transitorio e at-
tentamente mirato.

Ma forse gli animal spirits che agi-


scono nel sistema delle imprese e del-
la finanza sono ancora i più affidabili.

Il rischio può venire maggiormente


da reazioni non adeguate dei governi,
sia perché a volte meno consapevoli

di cosa siano oggi l’economia globale


si farà quindi sentire, maggiormente


nei Paesi in cui le specifiche specia-
lizzazioni produttive sono più inte-

grate in catene produttive, come il


farmaceutico e l’automotive, in cui il
ruolo della produzione cinese è rile-

vante o che più dipendono dal mer-


cato cinese come destinazione finale
dei beni e dei servizi.

L’effetto diretto sull’economia eu-


ropea e italiana, allo stato attuale del-
le informazioni, dovrebbe limitarsi a

qualche decimale di crescita in meno,


un effetto di breve periodo che tutta-
via, incidendo su economie già de-

presse per le incertezze derivanti dal-


la guerra commerciale ancora in cor-
so nelle sue varie versioni, non può

essere trascurato. Tuttavia, preoccu-
pano maggiormente i potenziali ef-

fetti indiretti.


Le autorità cinesi, nell’inevitabile
trade-off tra misure drastiche di con-

tenimento dell’epidemia e tentativi di


limitazione dei danni economici,
hanno rapidamente optato per le pri-

me con provvedimenti che appaiono


senza precedenti per la dimensione
della popolazione coinvolta, la radi-

calità degli interventi e il numero dei


settori produttivi e sociali interessati.


si affermeranno, oltre che dai dati og-


gettivi dell’estensione dell’epidemia
e della conseguente durata dell’inter-

ruzione dei circuiti produttivi e di


consumo che la necessità di frenarla
ha determinato.

Le stime sul possibile rallenta-
mento della crescita economica glo-

bale, causato dall’impatto sull’eco-


nomia cinese dei provvedimenti
adottati in Cina e nel resto del mondo

per contrastare l’epidemia, indicano,


con i margini di incertezza connessi
a ogni previsione, un intervallo tra

mezzo punto e un punto percentuale


di minore crescita del Pil cinese su
base annua. Anche se queste stime

oscillano, perché condizionate da


differenti ipotesi sulla durata del-
l’epidemia e sulla sua delimitazione

geografica, si tratta di un rallenta-


mento non indifferente per l’econo-
mia globale a causa del peso raggiun-

to dall’economia cinese sia dal lato


della produzione sia dal lato dei con-
sumi (quasi un quinto del Pil mon-

diale, se misurato in termini di parità


di potere d’acquisto), un peso attuale
che rende fuorviante il riferimento

agli effetti dell’epidemia della Sars


avvenuta nel . L’effetto globale


L

a globalizzazione va ma-


neggiata con cura, soprat-
tutto l’attuale fase della

globalizzazione: quella ca-


ratterizzata dall’iper-con-
nessione, produttiva e fi-

nanziaria, e dalla veloce circolazione


non solo delle persone e delle merci,
ma delle idee, delle aspettative, delle

paure. Gli animal spirits di cui parlava


Keynes come i motori del comporta-
mento umano, e quindi delle econo-

mie, sono determinanti ancora oggi


e producono rapidi effetti sul piano
globale, pur generandosi attraverso

i filtri locali o nazionali, ancora esi-


stenti, delle diverse culture e tradizio-
ni. Le aspettative, che determinano

ogni azione umana, rispondono alle


informazioni disponibili, ma la loro
interpretazione non è sempre razio-

nale e l’iper-connessione e la rapidità


della circolazione di ogni tipo di in-
formazione rischiano di trasformare

rapidamente situazioni di incertezza


locale in crisi sistemiche globali.
Le conseguenze economiche, di-

rette e indirette, dell’epidemia del co-


ronavirus scoppiata in una provincia
della Cina, dipenderanno molto pro-

prio dalle aspettative e dai timori che


FALCHI & COLOMBE


di Donato Masciandaro

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