Corriere Della Sera - 04.03.2020

(sharon) #1


26 Mercoledì4Marzo2020 Corriere della Sera


EMERGENZASANITÀEDECONOMIA:


SERVEUNADOPPIAMOBILITAZIONE


CoronavirusPerlaripresaoccorreunareazioneinduetempi:


misureimmediatesuiconsumiedimedioterminestrategiche


C

aro direttore, quan-
do si parla dicoro-
navirus, il pensiero
deveandareanzi-
tutto alle vittime, ai
pazienti, alle loro
famiglieeachi sta
operando negli
ospedali e nei laboratori per alle-
viare le sofferenze e trovare le cu-
re. Tuttavia, anche gli effetti eco-
nomici sono macroscopici: hanno
colpito anzitutto l’economia cine-
se, ma stanno avendo ripercussio-
ni sull’economia globale. Dram-
maticoèl’impattosuturismo,
viaggiebeni di lusso. In Italia
l’emergenza sanitaria investein
particolar modo il turismo e icen-
tri produttivi delPaese: Lombar-
diaeVenetovalgono 30% del Pil
nazionale. Le stime di crescita so-
no rivistealribasso da banche e
analisti. Dopo una fine 2019 molto
debole, l’entrata delPaese inre-
cessione sembra, purtroppo, mol-
to probabile. Il governo ha già pre-
so misure per le aree direttamente
colpiteenesta studiando altrea
più ampiorespiro.
Quando le economie subiscono
uno shock esternocome quello
delcoronavirus, si fa spesso riferi-
mentoauneffettoeconomicoa
«forma di V». Secondo questo
modello,auncalo bruscodella
crescita seguirebbe intempi bre-
vi, unavolta passata l’emergenza,
unarobusta ripresa. Tuttavia,
l’Italia, dopo le ultime crisi, più
che una ripresaaVhaassistitoa
una stagnazioneaL,con unare-
cessione che si è trascinata in anni
di crescita anemica. Le politiche
economiche del passato non han-
no sufficientementesostenutoi
consumiefacilitatolaproduzio-
ne.
Questavolta non deveessere
così! Serveunareazione in due
tempi: alcune misure immediate,
tattiche, sul lato deiconsumi, e al-
tre di mediotermine, strategiche,
sul lato della produzione. Soloco-
sì si può facilitare la ripresa a V.

Per il sostegno aiconsumi è ne-
cessario un interventoshock eu-
ropeo, per esempio un program-
ma di prestiti alconsumo delle fa-
miglie a tassozeroo estremamen-
te basso e di natura perpetua, cioè
senza necessità direstituire ilca-
pitale. Questo strumento, che uti-
lizzerebbe ilcanale bancario e del-
le finanziarie, potrebbe essere di-
sponibile per una finestratempo-
rale di alcuni mesi. Si tratta di una
misura attivabile solo dalla Bce
con un intervento di politica mo-
netaria nonconvenzionale.
Anche sul piano domestico pe-
ròsi può pensareaunpacchetto
efficacedi misure, sempre una fi-
nestratemporale di alcuni mesi,
come: detrazioni fiscali percerti
tipi diconsumiconforteeffetto
moltiplicativo sul Pil; riduzioni di
Ivanella ristorazioneenel turi-
smo; facilitazioni straordinarie
perrottamazione di beni dicon-
sumo durevoli; allentamentora-
gionato delleregole su promozio-
ni evendite sottocosto; riduzione
di imposte e tasse suvendite im-
mobiliari, almeno tra privati. Que-
ste misure possono essere modu-
latecreando una finestratempo-
rale dicarattere eccezionale e pos-
sono esserelegateanche a
politiche di riforma strutturale a
mediotermine, per esempio nel
turismo domestico.
Infine, si dovrebbe sfruttarle
per orientare iconsumiverso una
economia più sostenibile: si pensi
all’effettopositivodisostituzione
di beni ad altoconsumo energeti-
coe tecnologicamente obsoleti. Il
sostegno alla domanda si crea nel
tempo ancheconiltaglio delle
tasse, in particolare per quelle fa-
sce che hanno minorecapacità di
spesa e quindi, se dotate di mag-
giorereddito, hanno ampi margi-
ni per aumentare iconsumi. Il go-
verno ha già annunciato misure in
questo senso: ci si deve domanda-
rese di fronteall’emergenza at-
tuale esse possano essereantici-
pateeallargate, anche alla luce

dei buoni numeri sul deficit nel
2019 rilasciati ieri dall’Istat.
Sul lato della produzione è na-
turale che nelle areecolpite si de-
termini uncalo e che questa ritor-
ni ai livelli precedenti unavolta fi-
nita l’emergenza. La crisi però ha
messo in evidenza untema di affi-
dabilità e viabilità dellecatene di
fornituraalivello globale. Molte
aziende stanno soffrendo dell’in-
terruzione di filiere e rischiano di
vedere spezzato per untempo in-
determinatoilciclo produttivo.
Meccanica, elettronica, moda, far-
maceutica, inrealtà anche buona
partedel manifatturieroitaliano
rischia di esserecolpito da un ri-
tardo delleforniture asiatiche.
Unripensamento delle filiere è
inevitabile, attraverso misuredi
ripopolamentoindustriale: in-

nanzituttouno specificosupe-
rammortamento per investimenti
che riportino produzioni in Italia,
si tratterebbe di un incentivofi-
scale sempliceeautomaticoche
l’impresa inseriscedirettamente
incontoeconomico; un piano di
premialità per le assunzioni dedi-
cateaprogetti industriali di re-
shoring ,con attenzioneafar sì
che l’occupazione sia aggiuntiva;
fast track autorizzativi per nuovi
presidî produttivieriabilitazione
di quelli esistenti. Si deve facilita-
re la rimessa in attività di moltica-
pannoni che punteggiano le no-
streareeindustrialieche sono
inerti da anni: la pubblica ammi-
nistrazione, attraverso uno sforzo
di mobilitazione del sistema a tut-

ti i livelli, deve mettere in atto pro-
cedure«emergenziali» di rispo-
sta.
Anche in questocaso vi è un ef-
fettopositivosulla sostenibilità:
l’accorciamentodellecatene del
valore avrebbe esternalità positive
intermini di minori emissioni di
CO2 della filiera. Si eviterebbero
inoltreeffetti indesiderati sulle
importazioni che potrebbero arri-
varedalla attesa Carbon Border
Tax, di cui si parla in ambitoUe.
Tuttequestemisurehanno un
costoper il bilancio delloStatoe
conosciamo bene i vincoli. Iltema
deve essere posto e risolto a livello
europeo, in un momentoincui
tuttiiPaesicomincianoavedere
la necessità di politiche espansive
edicoordinaremeglio politiche
monetarie e di bilancio. Inoltre, lo
sforzonon deveveniresolo dal
governo, serve una mobilitazione
generale anche di cittadini, asso-
ciazioni dicategoria,commer-
cianti e imprese, che metta in cir-
colo idee, progetti, risparmi.Una
modernizzazione per esempio in
certeareedell’offerta turistica
condurrebbeaunaumentodella
domanda dall’Italia e dall’estero. Il
sistema bancario e il mercatodei
capitali dovranno egualmente
mobilitarsi e sostenere questi in-
vestimenti di modernizzazione.
Quando siècolpiti da una si-
tuazionecosì grave e imprevedibi-
le bisogna trovaresoluzioni per
l’immediatoeallo stessotempo
progettareilfuturo. Dobbiamo
apprendere dagli errori delle crisi
passate, dovel’Italia ha in gran
parte subito icambiamenti globa-
li e ha stentato a ritrovare un sen-
so di direzione, ma ha beneficiato
delforte aumento dell’export. È il
momento di agire perché ilPaese
recuperi la fiducia.
*Imprenditore,
expresidenteConfindustriaPmi
**PresidenteVitale&Co.
***CapoGlobaleStrategie
Muzinich&Co.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

SIAMO FRAGILI,NONVERGOGNIAMOCI


diBarbaraStefanelli


diAlbertoBaban,OrlandoBarucci eFabrizioPagani


SEGUEDALLA PRIMA


«A


desso, anche
quando guari-
rò,non si avvi-
cineranno più,
perché la gen-
te... la gente noncapisce». E ci so-
no gli abitanti di Codogno,come
degli altricomuni lombardi finiti
inzonarossa, che gli psicologi di
supportoalle aree in quarantena
raccontano abbattuti–ancora di
più, se possibile–dal senso di
colpa. In mezzo strisciano le noti-
zie di turisti del Nord presi a cia-
battateverbali su un’isola del Sud
che si sogna incontaminataedi
cinesi, magariconnomi più ita-
liani di quelli dei nostri figli, che
cercano l’invisibilità dietroma-
scherine usatecome scudocontro
il ventointermittentedel razzi-
smo di strada.
Lavergogna socialecausata
dalla malattia: lavergogna per il
propriorespiroche sièfattoac-
chiapparechissàcome, quando,
dovedal virus e lavergogna per il
contagio che dalla nostra «cadu-
ta» può generarsi o essersi già ge-
nerato.Ve rgogna e dunque paura

degli altri, della «genteche non
capisce», del vicino che dicolpo
si tramuta in vigilante ostile sulla
soglia delle nostrecase rinserrate.
Questi che stiamo vivendo sono
giorni, settimane, mesi di spaven-
toediprecarietà, di incertezza
estesa–per ora–all’infinitoche
neppureilmeglio della virologia
mondiale può addomesticare.
Navighiamo tuttietutteavista,
nelle vie diventatediovatta, sui
mezzi pubblici dovecireggiamo
appena agli appositi sostegni, tra
gli scaffali ri-riforniti dei super-
market. Cerchiamo di andare
avanti e ditenere il pericolo a di-
stanza di droplet , un metro alme-
no, meglio due, da quelle «goc-
cioline» sospesecome granate
nell’aria che pureinpocotempo
si è fattatersa, ripulita dal traffico
e dai rumori.
Mac’èunacosa che possiamo
fare e subito: abbattere i muri che
la vergogna alza tra noicomecar-
tavetrata. In questa stagione già
sconvolgente, possiamo prendere
a spallate di buonsenso e dignità
il turbamento segreto che ilcon-
tagio ancora – ancora ?! – si trasci-
na dietrocome unacoda riprove-
vole.
Lavergogna «come ripetizione

eaccumulo», che la scrittrice
francese Annie Ernaux attribuiva
all’indicibilità della sua infanzia
di miseria nel paesino di Y, sicari-
cadell’angoscia che ci assale sete-
miamo di diventarecausa non so-
lo – e non tanto – del nostro male
quantodel possibile male degli
altri. Deicompagni di lavoro, di
classe, di palazzo, di frazione, per
chi non vivenel perimetroallar-
gato e liberatorio delle città e me-
tropoli. Quasi tuttoècambiato,
nellacostellazione di un’epidemia
che ogni sera minaccia di trasfor-
marsi in pandemia, tuttavia gal-
leggia pervicacequellavecchia
domanda che racchiude un’eco
conformista: checosa penseran-
no di noi se saremo stati i primi a
portare il virus nel nostrocortile?
Proviamoarispondere: non
penseremo, anzi non pensiamo
niente, niente di niente, niente di
male. Esprimiamo soltantocom-
prensione,condivisione, empatia
gli uni per gli altri perché all’origi-
nec’è ilcaso e non unacausa o un
dolo.Rompiamo attivamentela
catena per cui nellavergogna cre-
scelasensazione che non ci sia
scampo: «che allavergogna possa
seguire soltanto unavergogna an-
cora maggiore». Il virus hacolpito

un autore famoso e la suacompa-
gna, un assessore di unaregione
importante, un poliziottoeforse
una manciata di vigili dellacapi-
tale, due preti, due magistrati, il
bambino della classe accantocon
la sua mamma, il signore anziano
del piano di sopra e chissà quanti
ancora finché i numeri finalmen-
te non sirestringerannocome un
fiume chetorna seccosottoterra.
Siamo unacomunità che–nella
sofferenza–cominciaaparlarsi,
spiegano psicologi e sociologi. Se
il medico arriva puntuale e riceve
come da appuntamento, tutti
stanno zitti. Ma man mano che il
ritardo prendeforma, gli sguardi
in sala d’aspetto si incrociano e la
conversazione si allarga nel drap-
pello in attesa nervosa. Trasfor-
miamo quellaconversazione tra
esseri umani che affrontano in-
sieme una provainunaretefitta
di parole gentili, unareteelastica
capace dicontenere chicade e po-
trà poi rimbalzare, in pace, senza
sentirsi trascinato giù nella spira-
le del panicocollettivo. La qualità
di una famiglia, di unacomunità,
di unPaese interosimisura (an-
che)con iltermometro invisibile
di una spudoratacompassione.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

diFrancoVenturini


LALIBIAOGGI:
COSARESTA
DIBERLINO?

C


osa resta di quella
Conferenza di
Berlino che
doveva gettare le
basi di una
stabilizzazione della
Libia? La risposta migliore
l’ha fornita l’inviato
dell’Onu Ghassam Salamé
rassegnando le dimissioni.
Diplomatico libanese,
Salamé si è trincerato
dietro le consuete «ragioni
di salute».
Ma non è difficile capire
che sono state piuttosto la
disperazione e l’impotenza
a consigliargli di gettare la
spugna. Il primo
traguardo dellaroad map
indicata a Berlino era lo
stabilimento e il
consolidamento di una
tregua d’armi tra il partito
del cirenaicoHaftar e
quello del tripolino al-
Serraj: prima bizze da
entrambe le parti, poi
fallimento del negoziato di
Ginevra.Nel frattempo,
Haftar e i suoi padrini
(Egitto, Emirati, Arabia
Saudita,Russia con i suoi
mercenari) hanno
ripetutamente
bombardato con missili il
porto di Tripoli,
l’aeroporto, e le postazioni
tenute dai consiglieri e
miliziani filo-turchi.
Perché al-Serraj si è
naturalmente difeso, con
le risorse militarifornitegli
da Ankara e dal Qatar. Gli
appelli rivolti dall’Italia
agli Stati Uniti per un loro
maggior coinvolgimento
sono caduti nel vuoto.
L’Europa, accusata di
incapacità (ma inrealtà
paga anni di disattenzione
e di politiche sbagliate) si
è difesa mettendo in
cantiere una operazione
navale post-Sophia che ha
poche probabilità di
riuscire afermare le
forniture di armi che
arrivano in Libia. La
Russia e la Turchia, ai
ferri corti in Siria, si sono
sparate senza dirlo in
Libia, ma il loro progetto
energetico per tutto il
Mediterraneo non è
entrato in crisi e la Libia
ne è partefondamentale.
Così, mentre sono
angosciate dal
coronavirus e incalzate dai
ricatti di Erdogan con i
migranti siriani che
premono sui confini greci,
l’Europa e l’Italia
finiscono di perdere la
Libia. Questo ha voluto
urlare Ghassam Salamé. E
sbaglieremmo afar finta
di non sentire.
[email protected]
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Ilcorsivodelgiorno


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&
COMMENTI


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investeinparticolarmodo
ilturismoeleareepiù
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