Internazionale - 28.02.2020

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biamenti. La poesia Addio al dio della peste,
scritta nel 1958 da Mao Zedong, è ancora
molto popolare in Cina e viene insegnata
nelle scuole. Con quei versi il grande timo-
niere celebrava (prematuramente, a quanto
pare) l’eliminazione della schistosomiasi, o
“febbre delle lumache”, da vaste aree della
Cina meridionale.
Quando Xi ha annunciato al popolo ci-
nese che il diavolo non potrà nascondersi,
le sue parole riguardavano la salute pubbli-
ca, ma erano anche una dichiarazione poli-
tica. Evocando Wu e Mao, il presidente ha
ricordato ai cinesi la potenza del regime e la
sua capacità di affrontare e risolvere auto-
nomamente la crisi. Gli sforzi dello stato
per contenere il nuovo coronavirus – con
l’isolamento di enormi metropoli e la co-
struzione di ospedali in pochi giorni – dimo-
strano che quelle di Xi non erano parole
vuote, come conferma il fatto che Pechino
abbia ignorato le offerte d’aiuto dell’Oms e
dei Centri per il controllo e la prevenzione
delle malattie (Cdc) degli Stati Uniti. Tutta-
via le epidemie del passato ci hanno inse-
gnato che i patogeni (gli organismi che cau-
sano le malattie) non rispettano i confini.
Provare a impedire “l’espatrio” di un virus,
di solito, significa solo peggiorare la situa-
zione. In un mondo che tende sempre di più
all’isolazionismo e alla rivalità tra grandi
potenze, sembra che dovremo imparare
questa lezione da capo.
L’Organizzazione mondiale della sani-
tà, nata nel 1946, è l’incarnazione di una
lezione storica. L’Oms sostituì una varietà
di piccole organizzazioni internazionali tra
cui il ramo sanitario della Società delle na-
zioni, l’istituzione diplomatica internazio-
nale crollata all’inizio della seconda guerra
mondiale. Il ramo sanitario, creato all’ini-
zio degli anni venti del novecento, era una
risposta all’epidemia d’influenza che si era
manifestata tra il 1918 e il 1921, in cui mori-
rono cinquanta milioni di persone, e alle
epidemie di tubercolosi e tifo che avevano
martoriato l’Europa nel dopoguerra.
L’Oms definisce pandemia la “diffusio-
ne nel mondo di una nuova malattia”, men-
tre un’epidemia è confinata “a una comuni-
tà o una regione”. Finora l’organizzazione
non ha usato la definizione di pandemia per
l’epidemia di coronavirus in corso. La pan-
demia del 1918 esplose in primavera nell’e-
misfero settentrionale – anche se è stata
chiamata “influenza spagnola”, il suo paese
d’origine è sconosciuto – per poi fare il giro
del mondo nei successivi tre anni. Furono


risparmiati solo l’Antartide e l’isola di
Sant’Elena, una remota isola vulcanica
nell’oceano Atlantico. A essere colpiti mag-
giormente furono gli strati sociali e i paesi
più poveri. Secondo le stime, in India mori-
rono diciotto milioni di persone a causa del
virus, equivalenti al totale delle vittime del-
la prima guerra mondiale.
L’influenza spagnola è stata la più tragi-
ca pandemia della storia in termini di nu-
meri assoluti. I casi più gravi non avevano
l’aspetto della normale influenza. Il colorito
bluastro del paziente, infatti, ricordava il
colera, mentre la perdita di sangue da naso
e bocca era simile a quella della peste pol-
monare. Nel 1918 la consapevolezza che
l’influenza è causata da un virus era un con-
cetto relativamente nuovo e la maggior par-
te dei medici pensò che si trattasse di un
batterio. In assenza di test diagnostici, vac-
cini, farmaci antivirali e antibiotici, che
avrebbero potuto curare la polmonite bat-
terica che complicava l’influenza nei casi
mortali, la medicina era impotente. Tra
l’altro i medici avevano una conoscenza
parziale degli effetti della spagnola in altre
aree del mondo.

Cooperare
La pandemia del 1918 ebbe conseguenze
durature. Alcuni sostengono che abbia ac-
celerato la fine della prima guerra mondiale
e reso più difficile il processo di pace, conta-
giando molti dei delegati della conferenza
di Parigi. Il virus paralizzò l’economia mon-
diale e provocò un’ondata di depressione
generalizzata. Dal momento che colpiva
soprattutto i giovani adulti – l’età media del-
le vittime era 28 anni – la spagnola intaccò la
capacità dell’Europa di riprendersi dopo la
guerra, creando legioni di orfani e anziani
dipendenti dall’assistenza statale e distrug-
gendo il tessuto sociale ovunque. Sconvolto
da quel disastro, il mondo capì che in futuro
gli stati avrebbero dovuto cooperare per af-
frontare simili minacce.
L’Oms coordina la condivisione delle
informazioni sui nuovi patogeni, oltre alla
reazione dei diversi stati attraverso lo stru-
mento legalmente vincolante del Regola-
mento sanitario internazionale. Il proble-
ma è che oggi l’Oms è alle prese con una
carenza di fondi. Questo preoccupa le isti-
tuzioni sanitarie dei vari paesi, anche se
sempre più spesso i loro stessi governi ne-
gano all’Oms i fondi di cui ha bisogno. La
mancanza di risorse economiche non è l’u-

Stefan Ulrich, Süddeutsche
Zeitung, Germania

L’opinione


S


trade deserte, scuole chiuse e decine
di migliaia di persone che non pos-
sono lasciare le loro case: quando la
Cina ha cominciato a prendere misure
drastiche contro il coronavirus, molti du-
bitavano che una cosa simile sarebbe suc-
cessa in Europa. Ora sappiamo che è pos-
sibile: succede nell’Italia del nord, a qual-
che ora di auto dalla Germania.
L’Europa è nel pieno della battaglia
contro il virus. In Italia il numero dei con-
tagi continua a salire e questo, in un conti-
nente che vive dello scambio di persone e
merci, non può che preoccupare. Soprat-
tutto perché molte domande sono ancora
senza risposta. Quanto dura il periodo
d’incubazione? Qual è il tasso di mortali-
tà? Per quali vie esattamente passa il con-
tagio? Le temperature primaverili rallen-
teranno la diffusione? Abbiamo vissuto in
società sicure che avevano apparente-
mente eliminato fame, guerra ed epide-
mie. Gli attacchi terroristici degli ultimi
anni avevano scosso questo sentimento di
sicurezza. Ora si aggiunge il coronavirus.
Ed è proprio l’Italia, un paese politica-
mente, economicamente e socialmente
fragile, con un sistema sanitario già so-
vraccarico, che porta il peso della battaglia
contro il virus.

Evitare l’isteria
Conforta pensare che l’Italia, spesso poco
efficiente, reagisce bene alle emergenze.
Finora il governo di Giuseppe Conte ha
adottato misure severe e allo stesso tempo
prudenti. Isolare le persone nei luoghi più
colpiti dal virus, preparare le caserme per
l’accoglienza dei contagiati e cancellare
molti eventi pubblici sono decisioni pro-
porzionate all’emergenza in corso. Nessu-
no può prevedere se sarà possibile impedi-
re la diffusione del virus in Europa. Invece
l’isteria di massa si può prevenire. Bisogna
dare informazioni in modo onesto e serio,
né troppo rassicurante né troppo allarmi-
sta. L’Italia sta dando il buon esempio an-
che in questo. u nv

Una risposta


efficiente


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