Internazionale - 28.02.2020

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Asia e Pacifico


A

ll’inizio di febbraio gli Stati Uniti
hanno raggiunto un’intesa per
una sorta di tregua con i taliban.
Se ci sarà un calo della violenza
per almeno una settimana, il 29 febbraio le
due parti firmeranno un accordo. Ma, esa-
minandola nei dettagli, è chiaro che questa
“tregua” serve prima di tutto al presidente
statunitense Donald Trump per mantenere
la promessa di ritirare le truppe dall’Afgha-
nistan. Il fatto che voglia farlo nell’anno
delle elezioni, senza valutare se il paese sia
in grado di ricucire in modo civile tutti i
conflitti e le discordie interne, dimostra che
questo negoziato riguarda più gli elettori in
Ohio, Michigan e Florida che la gente di Ka-
bul o Kandahar. Qualche lato positivo, tut-
tavia, c’è.
La presenza nei negoziati con gli Stati
Uniti del mullah Abdul Ghani Baradar, uno

dei fondatori del movimento dei taliban, è
importante e potrebbe rendere il processo
di pace in Afghanistan più efficace. Il coin-
volgimento di molti importanti leader tali-
ban potrebbe portare a decisioni più incisi-
ve rispetto al passato. Kabul ha chiesto più
volte di partecipare a questa fase dei nego-
ziati, ma il gruppo finora si è rifiutato di trat-
tare direttamente con il governo afgano. E
Washington ha fatto capire che un accordo
con i taliban è la condizione per un cessate
il fuoco e per avviare colloqui diretti tra le
due parti afgane. Il piccolo successo rappre-
sentato da questa tregua, quindi, potrebbe
accelerare il processo di pace e se non altro
depotenziare i conflitti interni con i taliban.
Purtroppo ci sono diversi ostacoli signi-
ficativi, che riguardano non solo le condi-
zioni della tregua, ma anche quello che do-
vrebbe succedere in seguito, quando i tali-
ban dovrebbero sedersi davvero al tavolo
dei negoziati con i rappresentanti del go-
verno afgano. In primo luogo bisogna nota-
re che fino a oggi i taliban hanno negoziato
con diversi paesi, tra cui Russia, Cina, Ara-
bia Saudita, Iran e Stati Uniti, ma qualsiasi
reale progresso per la pace in Afghanistan è
andato in fumo perché hanno mantenuto la
loro indole totalitaria e puntano alla supre-

mazia assoluta nel paese. I taliban – in pre-
valenza pashtun – non disprezzano solo il
governo ma anche gli altri gruppi etnici del
paese, tra cui gli azara, gli uzbechi e i tagi-
chi. Perciò se i taliban non cambieranno
posizione sulla condivisione del potere, an-
che un cessate il fuoco reale non avrebbe
risultati duraturi. Purtroppo questo non è
un vero cessate il fuoco: secondo gli accordi
le ostilità devono essere sospese per alme-
no una settimana per poter passare alle fasi
successive. Ma dato che un vero cessate il
fuoco sarebbe stato difficile da ottenere, le
due parti si sono accordate sull’uso dell’e-
spressione “significativa riduzione della
violenza”. Non è chiaro cosa s’intenda per
“significativa”, tenuto conto del fatto che
nel 2019 i taliban hanno condotto una me-
dia di 75 attacchi al giorno. I miliziani, dal
canto loro, hanno promesso di non attacca-
re “importanti centri abitati, autostrade e
palazzi governativi” per una settimana a
partire dal 21 febbraio, riservandosi però il
diritto di rispondere con la violenza a qua-
lunque azione di Kabul ritenuta inappro-
priata.

Lo scetticismo degli afgani
Ma alti funzionari afgani hanno fatto notare
che un calo della violenza per una settima-
na non servirà a molto, dato che eventuali
negoziati tra Kabul e i taliban saranno lun-
ghi, difficili e tesi. Il presidente afgano
Ashraf Ghani, inoltre, continua a essere
scettico sulla volontà dei taliban di rispetta-
re l’obiettivo di lungo periodo della tregua e
sulla loro disponibilità a tenere elezioni li-
bere e imparziali, che hanno sempre rifiuta-
to. Molti funzionari locali in Afghanistan
ritengono che l’unica possibilità di pace sia
legata al ritiro delle forze straniere. Agli oc-
chi di molti afgani, infatti, gli Stati Uniti so-
no responsabili per la nascita del gruppo
Stato islamico (Is) e i taliban sono l’unica
forza in grado di contrastare l’Is, la cui pre-
senza continua a essere destabilizzante.
Inoltre, finché le truppe statunitensi rimar-
ranno nel paese, l’esercito afgano sarà im-
potente, perché dipenderà di fatto dalla
lea dership americana. C’è quindi una parte
significativa della società afgana che con-
corda con Trump: se il paese vuole essere
indipendente e in pace non c’è altra via se
non escludere il coinvolgimento attivo de-
gli Stati Uniti.
Il futuro dell’Afghanistan sembra dipen-
dere da una tregua basata su tentativi ed
errori. ◆ gim

Tregua fragile


in Afghanistan


Gli Stati Uniti vogliono firmare
con i taliban un accordo che
dovrebbe portarli a negoziare
con il governo di Kabul. Ma che
serve soprattutto alla campagna
elettorale di Donald Trump

Sajad Abedi, Asia Times, Hong Kong


THOMAS WATKINS (AFP/GETTY IMAGES)


Soldati statunitensi in Afghanistan, 6 giugno 2019
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