Internazionale - 28.02.2020

(backadmin) #1

Congo


“e io ho cominciato cinque anni fa. Per
me sape significa felicità, perché ricevo
molti complimenti per il mio aspetto. Mi
ammirano tutti, anche i bambini”. Rac-
conta che nel quartiere è soprannomina-
ta La parisienne (la parigina).
Facendo la venditrice ambulante pas-
sa gran parte del tempo all’aperto e in-
contra molte persone che spesso le espri-
mono la loro ammirazione. “Quando la-
voro non mi metto in tiro, ma sono pur
sempre ben vestita”, dice. “Una sapeuse
sa quand’è l’occasione giusta per espri-
mersi, proprio come fanno gli uomini”.
Ma perché non indossare abiti femmini-
li? Il fatto, spiega Nicole, è che bisogne-
rebbe usare il pagne, il tipico
tessuto africano stampato a co-
lori vivaci. E “non è di tenden-
za”: “Con il pagne mi sento tra-
sandata. E poi la sape nasce co-
me movimento maschile, e
raggiunge il massimo con i completi. Per
indossare giacca e pantaloni e tagliarsi i
capelli a quel modo una donna deve ave-
re coraggio e fiducia in se stessa”.
La più eccentrica delle tre donne è
Ntsimba Marie Jeanne Bifouma. Ha 51
anni, i capelli tinti di verde, giallo e rosso



  • i colori della bandiera congolese – e con
    il rasoio ha scritto Bifouma sul cranio.
    Non si toglie gli occhiali da sole neanche
    nella penombra del bar. “Mi irrita dover
    mostrare continuamente il passaporto
    nel mio paese”, spiega. “Allora se mi chie-
    dono nome e nazionalità, posso indicare
    direttamente la mia testa”.
    Quando le chiediamo perché è diven-
    tata una sapeuse risponde: “Ho la sape nel
    sangue. Quando è dentro di te ha bisogno
    di uscire, anche a settant’anni. Non è una
    scelta. Mi è apparsa in sogno, come una
    visione, una chiamata”. È sposata? “Sono
    vedova. In altre parole: sono single e alla
    ricerca di un uomo. Direi che per la mia
    età sono decisamente in forma”.


Alle origini della tendenza
Anche dopo lunghe chiacchierate con le
afrodandy, capire il vero significato del
loro attaccamento feticistico ai vestiti
non è semplice. Si tratta di scimmiottare
i bianchi e gli ex dominatori coloniali? O
invece è una dimostrazione della creati-
vità africana, che reinterpreta ed estre-
mizza le regole della moda?
Per chiarire la questione bisogna
guardare alle origini di questa tendenza.
Generalmente si fa risalire al 1922, quan-
do A.G. Matsoua fu il primo esponente
della piccola comunità congolese a Parigi


a tornare in patria vestito come un vero
monsieur. Matsoua, un leggendario oppo-
sitore dell’occupazione francese, trovò
ben presto degli imitatori tra i suoi con-
nazionali. Era nato un movimento.
Paradossalmente il movimento ripre-
se slancio decenni dopo a Kinshasa, la
capitale di quello che allora era lo Zaire
governato da Mobutu Sese Seko, che vo-
leva imporre ai suoi connazionali l’abbi-
gliamento africano. Mobutu obbligò la
classe dirigente del paese a indossare
l’abacost, una giacca ispirata allo stile di
Mao. Abacost è l’abbreviazione di à bas les
costumes (abbasso i completi).
In questo caso i sapeurs non incarna-
vano un’irriverente parodia dei
colonialisti, ma la resistenza
all’anticolonialismo dogmatico
del dittatore. Rifiutavano l’au-
tenticità imposta dall’alto, che
puntava a costringerli nell’i-
dentità africana, mentre loro si conside-
ravano uomini di mondo, cosmopoliti. E
così si opponevano anche all’ideologia
della négritude, allora molto diffusa, che
celebrava e idealizzava il continente in
contrapposizione alla decadenza euro-
pea. Forse gli eccentrici sapeurs avevano
intuito che l’insistenza sulle presunte vir-
tù e tradizioni autenticamente africane
era in realtà profondamente ipocrita, so-
prattutto se si pensava alle ville e ai conti
correnti che i patrioti alla Mobutu posse-
devano in Europa.
Per molti sapeurs vestirsi è una dichia-
razione politica. “Non si può portare la
cravatta se non regna la pace”, dicono.
Ovviamente, un vero sapeur bada anche
alla pulizia personale, alle buone manie-
re e alla nonviolenza. È difficile immagi-
nare un sapeur in veste di rapinatore o di
teppista ubriaco.
Da Brazzaville la sape è arrivata a
Kinshasa, sull’altra sponda del fiume
Congo, e da lì in altre città africane e an-
che ai quartieri congolesi di Bruxelles,
Parigi e Londra. È diventata un movi-

mento globale, anche grazie alla popola-
rità della musica congolese. Il più noto
esponente della sape infatti è stato un
musicista, Papa Wemba. Il verso di una
sua canzone è diventato famoso: “Don’t
give up the clothes. It’s our religion”, non
rinunciare ai vestiti. Sono la nostra reli-
gione.

Lotta di classe
Gli stravaganti sapeurs sono diventati po-
polari e internazionali, ma il loro imma-
ginario resta tuttora bizzarro, difficile da
cogliere e in costante mutamento, anche
se a volte cercano di fare della loro visio-
ne del mondo una sorta di scienza, par-
lando di “sapologia”.
Si possono avere due visioni opposte
dei sapeurs. Da un lato si possono descri-
vere come persone alienate da se stesse e
dalla loro cultura, che inseguono ossessi-
vamente le tendenze più recenti della
moda di Parigi e Milano, rovinandosi per
un completo di Yohji Yamamoto. Come
tossicodipendenti a cui importa solo la
loro dose. A Brazzaville si sentono storie
di sapeurs che hanno venduto terreni e
case avuti in eredità per comprare abiti
firmati.
D’altra parte, però, si possono vedere
anche come ironici visionari, capaci di
abbinare un completo rosa a un paio di
calzini di lana blu, una pipa a un bastone
da passeggio bianco; in grado di confon-
dere aspettative e attribuzioni, sottraen-
dosi a ogni tipo di identificazione. In un
certo senso è un atteggiamento anticolo-
niale: i sapeurs dicono spesso che i bian-
chi sanno creare gli abiti ma non indos-
sarli. Solo loro li fanno risplendere. Forse
la sape andrebbe interpretata anche come
una strana forma di lotta di classe: i mar-
chi di lusso non dovrebbero essere riser-
vati solo ai ricchi.
Ma allora i sapeurs sono anticapitalisti
che sperperando si prendono gioco di
ogni logica economica, ipercapitalisti
che idolatrano le griffe, o entrambe le co-
se? Capire del tutto questo fenomeno è
impossibile, ed è proprio in questo che
risiede il suo fascino. Tanto più oggi che
al movimento partecipano le donne: si
definiscono “donne femminili” ma in-
dossano abiti classici maschili, e mentre
tentano di liberarsi dei ruoli tradizionali
si sottomettono alla tirannia occidentale
del marchio.
Bifouma dice di aver fatto di se stessa
un’opera d’arte. E dove sta scritto che le
opere d’arte debbano essere senza ambi-
guità e ubbidire alla logica? u sk

I sapeurs si possono
vedere come ironici

visionari, capaci di
abbinare un completo

rosa a calzini di lana
blu, una pipa a un

bastone da passeggio

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