IL POSTINO
RICOMINCIAMO di MASSIMO GRAMELLINI
(^136) I VANITY FAIR ILLUSTRAZIONE ANDRÉ DA LOBA 08.02.2017
La molla dell’entusiasmo si inceppa,
a furia di scattare a vuoto. Rispetto ai
traumi giovanili, quelli dell’infanzia
hanno la caratteristica di andarsi a in-
frangere contro una personalità in for-
mazione, distorcendola per sempre.
Come saresti stata, se avessi avuto
un padre al tuo fianco? Non lo saprai
mai e non è sano chiederselo. Ma tu
te lo sarai chiesta tante volte, perché
sei un essere umano. E nulla turba di
più un essere umano della sensazione
di apparire diverso dagli altri, specie
negli anni dell’adolescenza, quando
la sua massima aspirazione consiste
nel venire accettato dal branco. Poi si
sopravvive, in qualche modo, e si co-
mincia a ragionare e a sentire. Alla ri-
bellione e alla rassegnazione subentra
l’accettazione. Mai completa, però: una parte di te continuerà sem-
pre a interrogarsi sulla singolarità del tuo destino.
Siamo tutti, chi più chi meno, portatori di handicap emotivi. La vi-
ta ci ha menomato, togliendoci qualcosa di essenziale. Uno può de-
cidere di adagiarsi inerte sulla carrozzella, lasciandosi andare allo
scoramento. Oppure può aggrapparsi alle ruote della carrozzella
e spingere forte. Mettersi in movimento con i
propri muscoli indolenziti. Magari per scopri-
re, chilometro dopo chilometro, che lo scopo
della vita non consiste nell’essere perfetti, ma
nel diventare completi.
Ogni esperienza, anche la più atroce, nascon-
de un’opportunità di riscatto e apre squarci su
nuovi orizzonti. Qualcuno liquiderà queste af-
fermazioni come retorica consolatoria. Può
darsi che sia così. Come può darsi che gli es-
seri umani desiderino soltanto la sicurezza e la
quiete. Ma a te la vita ha rivelato fin da subito la sua natura più in-
tima, che non è affatto la quiete, ma il movimento, la mancanza, il
viaggio alla riconquista di quanto si è perduto.
All’amico che si lamentava per una tragedia impossibile da supera-
re, una persona saggia rispose: «Non prenderla come una condan-
na, ma come una sfida che ti costringe a metterti in gioco, rivelan-
do agli altri e a te stesso chi sei davvero. Se finirai la vita con lo stes-
so bagaglio di emozioni di quando l’hai incominciata, la vita non ti
sarà servita a niente». Augh.
Caro Massimo,
S
ono orfana di padre da quando
avevo due anni e mezzo: ha avuto
un infarto e ha lasciato me e mia
mamma, giovanissima, che non aveva
mai lavorato – papà diceva che ci pen-
sava lui a noi – e si è dovuta rimbocca-
re le maniche. Dicono che le figlie so-
no le principesse dei papà, ma io di lui
non ho ricordi, solo un’immagine ela-
borata dai racconti di chi lo conosceva.
Da piccola non ho sofferto molto la sua
assenza perché ero ricoperta dall’affet-
to di tutti. Il peso l’ho sentito dopo,
quando mia madre a scuola diceva su-
bito a tutti gli insegnanti che ero orfa-
na – so che lo faceva in buona fede, per
proteggermi, ma da che cosa? – e un
po’ lo sento ancora oggi, ventitreenne studentessa di Giurispruden-
za, quando mi arrivano gli sguardi di commiserazione. Non è colpa
di mio padre se non c’è più, ma io non riuscivo a perdonarlo. Vivevo
tutto a metà, amori, dolori, successi, delusioni, perché non potevo
dividerlo con lui. Un giorno ho trovato una foto del mio battesimo: io
in braccio a papà che mi guarda sorridendo. Mi sono detta che non
avrebbe voluto una figlia a metà, che avrebbe voluto solo il meglio per
me, mi sono ritrovata nei suoi occhi e ho capito che ero io a dovergli
chiedere scusa. Mi piace pensare che mi abbia perdonata e che oggi
sorrida dei miei assurdi pensieri. Senza un padre prima si sopravvive
ma poi si Vive. —SERENA
Vorrei tanto che le tue parole arrivassero al cuore di tutti, Serena, e
non solo di quelli che hanno perso un genitore da piccoli. Perché tutti,
nessuno escluso, abbiamo un dolore primario che continuiamo a
vivere come una profonda ingiustizia perpetrata dall’universo ai no-
stri danni. Può trattarsi di una persona amata che ci ha lasciato, in-
gannato, deluso. O di un sogno calpestato e irriso.
Tempo fa ricevetti la lettera di una ragazza della tua età che era en-
trata come stagista nella start up di un quarantenne affabile e brillan-
te. Costui l’aveva convinta di essere parte di un progetto comune, di
una squadra di amici dove onori e oneri sarebbero stati affrontati in-
sieme. Invece, raggiunto il successo, il «capo» l’aveva scaricata sen-
za pietà e lei all’improvviso si era scoperta cinica e disillusa, svuo-
tata di ogni energia.
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MIO PADRE, RITROVATO
IN UNA FOTO