Vanity Fair Italia 20170208

(Romina) #1

TEMPO DI LETTURA


(^14) I VANITY FAIR 08.02.
lavoriamo con oltre cento istituti, nei centri città e nelle periferie.
Ogni giorno, in metà delle scuole italiane, elementari, medie e
superiori, avviene un episodio di bullismo. È un fenomeno che
non ha a che fare con il conto corrente delle famiglie. Caso mai,
con la mancanza di comunicazione al loro interno».
Andrea è diventato bullo perché aveva una necessità incontrol-
labile di emergere ma non sapeva ancora gestire le sue emozio-
ni, tanto meno la sua aggressività. «Alle medie ero invisibile:
smilzo e non particolarmente bello. In prima liceo il mio corpo
è cambiato. Sono diventato alto, possente, e la bellezza ha fatto
crescere in me la voglia di popolarità».
È entrato nella parte della classe di quelli considerati «fighi».
«Ci siamo coalizzati e abbiamo iniziato a prendere in giro so-
prattutto tre compagni, “gli sfigati”. Il più brutto, il secchione
e un ragazzo obeso». Gli attacchi, da sporadici, sono diventati
giornalieri. «Mi sentivo onnipotente e fiero. Tutti mi rispettava-
no, avevano paura di me e del mio impero. Potevo distruggerli
o renderli invincibili, bastava che dicessi: “Non parlate più con
quello”, e per giorni nessuno gli rivolgeva la parola».
«L’aggressore non ha empatia con la vittima», spiega Bernardo,
«ma la sa riconoscere: fiuta debolezze e paure. In realtà il più
debole è lui. Di solito è un ragazzo – solo uno su sei è femmina



  • che vive all’interno della fa-
    miglia situazioni di aggressivi-
    tà, rabbia o solitudine».
    Alcune delle cose che Andrea
    racconta sono così crude che
    verrebbe spontaneo coprirsi
    la bocca con le mani, o com-
    mentare «ma come hai fat-
    to?». Lui per primo prova ri-
    morso e vergogna nel rivivere
    la sua storia e ammette di non
    parlare mai con gli amici del
    suo passato da bullo: «C’è chi
    sa qualcosa, ma non nel detta-
    glio, non sanno fino a che livello mi sono spinto. Non mi fa pia-
    cere parlarne perché mi sento un coglione. Ho distrutto l’adole-
    scenza di tre ragazzi. Non è bello».


A


quei tre ragazzi diceva frasi tipo: «Fai schifo; vatti a na-
scondere; puzzi; sembri una foca; non mi toccare che poi
mi devo lavare; ammazzati; merda». Una volta è succes-
so che uno di loro gli rispondesse, non lo facevano mai. Da que-
sto momento della conversazione, Andrea per la prima volta ab-
bassa lo sguardo e non lo rialzerà fino alla fine del racconto. Con
le dita si liscia i capelli dietro le orecchie, compulsivamente.
«Un giorno, il ragazzo “brutto” ha risposto a una mia presa in gi-
ro guardandomi dritto negli occhi. Così, al cambio dell’ora l’ho
sistemato. Gli ho detto di non permettersi mai più di incrociare
il mio sguardo, e ho iniziato a picchiarlo con pugni e calci. Lui
cercava di ripararsi ma non riusciva. Urlava “basta, lasciami, ti
prego”, mentre gli altri mi incitavano. Non riuscivo a fermarmi,
lo colpivo sul torace, gambe, braccia. Non volevo che si vedesse-
ro i lividi. Poi è entrata l’insegnante e lui non ha aperto bocca, ave-
va paura che, se lo avesse detto, sarebbe stato peggio. Sapevo che
non lo avrebbe fatto. Solo quelli della mia cerchia potevano rivol-
gersi a me. Ma io non rispettavo nemmeno loro».

C


ome dice il professore Bernardo, chi sta intorno al bullo di
solito è vittima e bullo allo stesso tempo: lo aiuta nell’ag-
gressione, ma è sottomesso al suo volere. «Non è innocen-
te, però: chi ride, guarda gli attacchi, fa like a video violenti senza
denunciare, è da considerare colpevole quanto chi agisce».
«Mi sentivo un duro, in realtà ero solo», prosegue Andrea. Né
i suoi genitori né i suoi insegnanti hanno mai capito quanto fos-
se grave la situazione in classe. «Mi dico: se un professore si fos-
se accorto della mia aggressività in prima liceo, forse avrei pre-
so un’altra strada. Sapevano che ero sbruffone, svogliato, ma
sdrammatizzavano. Mi hanno sospeso due volte per risse a
scuola, ma non sono mai stato bocciato. Ero sempre in cerca di
scazzottate, litigavo con tutti».
In molti casi, scuola e professori non sono preparati. «È impor-
tante ascoltare i segnali che inviano i ragazzi, senza minimiz-
zarli», spiega il pediatra. «Bulli e bullizzati hanno bisogno de-
gli adulti. Ci sono anche studenti che fingono di essere vittime,
ma chi si inventa un disagio sicuramente ne vive un altro». Il pro-
blema, dice, non è certo nuovo: «Il bullismo è sempre esistito.
Semplicemente, oggi esistono più strumenti con cui esercitarlo.
E l’iperconnessione dei giovani alimenta il fenomeno, lo fa sfo-
ciare in cyberbullismo. Un tempo, chiuso il portone della scuo-
la, il bullizzato si sentiva al sicu-
ro. Oggi gli attacchi continua-
no su Facebook, Instagram,
WhatsApp. È un tormento che
in molti casi porta le vittime a
lasciare gli studi».
Andrea non ha mai chiesto
scusa ai suoi compagni perché
si sentiva troppo in colpa. «Al
Fatebenefratelli mi hanno fat-
to conoscere le vittime, e ascol-
tare le loro storie. Un ragazzo è
stato portato in bagno, costret-
to a tirarsi giù i pantaloni e a
camminare nudo per il corridoio. Ho sentito tutta la sua paura,
e mi sono fatto schifo».
«Abbiamo in cura un quindicenne», mi racconta Francesca
Maisano, psicologa del Fatebenefratelli, «che è arrivato da noi in
pronto soccorso perché urinava sangue. I suoi compagni gli ave-
vano spruzzato ammoniaca negli occhi e lanciato banchi contro
l’addome, e sa perché? Perché era extracomunitario. Una ragaz-
za ha tentato il suicidio perché era perseguitata dalle compagne
su Internet. Abbiamo 1.200 nuovi casi all’anno: i giovani hanno
bisogno di essere ascoltati».
Se potesse, Andrea parlerebbe con tutte le vittime: «Non sono
uno psicologo, ma se sei preda di un bullo e non sai come libe-
rartene, parlane con un adulto e prendi lezioni di autodifesa, co-
me il Krav Maga. Il bullo sa che sei senza autostima, per questo
continua a distruggerti. E sa anche che ti vergogni e non lo de-
nuncerai mai. Denuncialo e tornerai a respirare».
«E se incontrassi un bullo», gli chiedo, «che cosa gli diresti?».
«Quello che stai facendo è una stronzata, vivi in un mondo di
finzione. Prova a guardarti allo specchio e cerca di capire chi sei
veramente».

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Mi sentivo onnipotente. Tutti
mi rispettavano, avevano
paura di me. Potevo distruggerli
o renderli invincibili
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