Vanity Fair Italia 20170208

(Romina) #1

WEEK


RUBRICA BARBARICA di DARIA BIGNARDI

(^30) I VANITY FAIR 08.02.2017
ALAMY
E
cco, se potessi, ora partirei subito per
l’Iran. O per l’Iraq, la Siria, il Sudan,
la Libia, lo Yemen o la Somalia. Co-
sì, per solidarietà. Anche se non serve a
niente. E annullerei un viaggio negli Stati
Uniti, se dovessi farne uno.
Capricci inutili? Forse, anzi senz’altro. Ma
io non sono il presidente degli Stati Uniti,
un capriccio potrei permettermelo. Lui no,
non potrebbe e non dovrebbe, ma sembra
non si ponga il problema, ora che è a capo
della più grande democrazia del mondo,
di diventare uno statista equilibrato che ri-
spetta le minoranze, ma vada invece avan-
ti inesorabile per la sua
strada populista, dema-
gogica e illiberale.
G
li effetti del bloc-
co di Donald
Trump, un bloc-
co muscolare quanto irra-
zionale (i dati smentisco-
no che della maggior par-
te degli atti di terrorismo
in America siano stati re-
sponsabili immigrati dai Paesi coinvolti),
hanno iniziato a sentirsi sabato 28, con enor-
mi complicazioni per un sacco di persone,
grandi proteste, manifestazioni, caos negli
aeroporti. L’ordine esecutivo firmato dal
presidente impedisce l’ingresso ai cittadini
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L’I N I Z IO
di Andrea Sarubbi
Col Messico al confine mette un muro
e con le tasse pagherà l’importo;
ai musulmani mostra il pugno duro,
li blocca all’improvviso in aeroporto:
l’America una volta era il futuro,
ora nel mondo provoca sconforto.
Con Putin ha già stretto un sodalizio
e questo è solo – dice Trump – l’inizio.
veramente. E perché non bloccare Arabia
Saudita, Egitto, Afghanistan, Pakistan, do-
ve si sono formati parecchi terroristi, si so-
no chiesti in molti? Forse per motivi di bu-
siness, dell’America in generale e di Trump
in particolare.
I
più grandi leader mondiali lo criticano,
da Justin Trudeau a Angela Merkel, da
Theresa May a François Hollande. Mo-
hammad Javad Zarif, ministro degli Esteri
iraniano, ha detto che l’ordine rappresenta
«un chiaro insulto al mondo islamico». Con
l’hashtag #MuslimBan sta protestando mez-
zo mondo. Persino i suoi simpatizzanti te-
mono che questa mossa possa favorire una
radicalizzazione dei musulmani già presen-
ti negli Stati Uniti.
Ma Trump non sembra avere l’intelligenza
di voler mediare o ammorbidire le sue po-
sizioni. Persino Giuliano Ferrara, non cer-
to un terzomondista
di sinistra, lo ha defi-
nito un cialtrone e un
imbroglione.
La sensazione è che le
nostre peggiori pau-
re si stiano avveran-
do, e che purtroppo
Donald Trump sia
esattamente quel che
sembra.
DONALD È ESATTAMENTE
QUEL CHE SEMBRA
Il governatore dell’Idaho era noto per le sue idee liberal, ma «da quando
ha preso una posizione anti-immigrazione ha guadagnato dodici punti nei
sondaggi». C’è un aereo pieno di orfani pakistani, scappano da un’esplo-
sione nucleare, ma lui mette il veto: in Idaho non possono atterrare, sono in-
compatibili col suo nuovo slogan «L’America, come do-
vrebbe essere». Le televisioni e le organizzazioni non go-
vernative gli chiedono se non si vergogni, e lui sorride
impacciato: «Certo che mi dispiace per quei poveri or-
fani pakistani, ma io non vivo in Pakistan: vivo qui, nel
sogno americano».
È il 1997 quando La seconda guerra civile americana
passa al festival di Venezia. Il governatore dell’Idaho è
interpretato da Beau Bridges, ciancia di «proteggere
la propria identità culturale» mentre ordina fajitas per
colazione, e pensa solo ai propri problemi sentimentali:
no, non ha sposato una Melania slovena; ha invece un’amante messicana,
Christina, giornalista furibonda per le politiche anti-immigrazione: «Sono
arrivata qui a tre anni, sono una di quelli che lui vorrebbe respingere». Sic-
come lì a non far scendere dagli aerei i profughi e voler erigere muri è un
governatore, il presidente lo contrasta. Ma non è molto
più sveglio di lui, e ha consiglieri che si preoccupano di
non affaticarlo e di spostare la cosa sul piano dell’imma-
gine: «La gran cosa dell’immagine è che sembri uno che
prende decisioni forti, ma mica devi prenderle».
Finirà con la guerra civile, ma per sbaglio, per cialtrone-
ria, per un equivoco: la farsa era già prevista vent’anni
fa. Il tutto è visto dagli studi di una Tv che copre l’evento.
Subito, il producer vede l’inizio del disastro e sospira: «Ha
chiuso i confini. Dio sia ringraziato per l’ignoranza e l’a-
vidità, altrimenti staremmo tutti a fare televendite».
COME DENTRO UN FILM (DI VENT’ANNI FA)
di GUIA SONCINI
di sette Paesi a maggioranza musulmana e
sospende tutte le procedure di asilo per tre
mesi. E la sua applicazione non coinvolge
solo i nuovi immigrati, ma anche tanti che
già vivono e lavorano negli Stati Uniti, e im-
pedisce loro di tornare a casa, dalle loro fa-
miglie e al loro lavoro.
Il divieto riguarda tut-
ti, anche i possessori di
green card, anche chi la-
vora per il governo, chi
traduce o fa l’interpre-
te. Un muro virtuale e
improvviso, per quan-
to annunciato. Sembra-
va una spacconata, in-
vece Trump l’ha fatto
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