Vanity Fair Italia 20170208

(Romina) #1

(^74) I VANITY FAIR 08.02.2017
ro bambina, e
mio padre tra le altre cose aggiustava bar-
che a vela: per riportarle ai proprietari, na-
vigavamo spesso verso Grecia e Turchia, e
intorno per settimane c’erano solo acqua
e sole, acqua e stelle. Mi è entrato il mare
negli occhi. Per questo li ho così: tersi, ce-
lesti, chiari».
Fuori dalle finestre larghe dell’ultimo pia-
no dell’etichetta discografica Sugar, c’è
una Milano fredda e limpida, e dentro
Marianne Mirage disegna calma sul suo
taccuino queste sue storie.
Resta ancora un po’ del papà pittore e
stavolta pure della mamma fisioterapista
dell’infanzia, amante dei piccoli quader-
ni: «Mauro e Roberta mi dicevano: “Scri-
vi, schizza, segna, annota. Che l’essere
umano dimentica. Le ore, i giorni”. Co-
sì, mi porto da sempre dietro un diario, ti-
po Toulouse-Lautrec in un bar dell’800 o
un Robinson Crusoe che abbozza il tipo
di pianta incontrata nel viaggio».
Sfogliamo le pagine di questo librino: ci
sono aerei e paure, le palme e il faro di
Sanremo, «tappa sperata
da tutti i cantanti», per lei
raggiunta quest’anno con
Le canzoni fanno male, te-
sto di Francesco Bianco-
ni dei Baustelle e Kabal-
là. «Ascoltai quei versi e
mi fecero l’effetto di Adele
o delle Torri Gemelle: lo-
ro esplodono, tu ricorderai
dove eri in quell’istante».
In un’edizione del Festival
segnata dai talent fin dalla
scelta della co-conduttrice
di Carlo Conti, Maria De
Filippi, lei non ha mai bus-
sato alla porta di Amici e
simili. «Il mio è un mestiere, non un Grat-
ta e vinci. Simile al fruttivendolo o a chi la-
vora il pane alle 5 del mattino. Si fa andan-
do a suonare nei pub, emozionando per
50 euro. Vincere in fretta, facile, non mi
è mai interessato. La popolarità è qualco-
sa con cui giocare piano per un’introversa
che trascorreva i pomeriggi sola nella sua
stanzetta a piangere sul letto appena qual-
cosa non funzionava».
A scuola la prendevano in giro. «Mio pa-
dre mi ha avuta tardi, a quasi 50 anni.
“C’è tuo nonno”, scherzavano i compagni
quando mi veniva a prendere. Sono cre-
sciuta in mezzo ai suoi pen-
nelli. Avrei voluto conoscer-
lo non con i capelli bianchi.
La situazione in sé mi ha in-
segnato a stare bene con età
lontane, ad avere rispetto per
i più anziani e per il tempo
che è meno».
Dice che suo papà non è «un
bello», e che forse per questo
non lo sono stati quasi mai i
fidanzati che ha avuto: «Piut-
tosto tutti avevano un difetto
che però a me piaceva. Del
mio – questi denti davanti,
separati – ho fatto un pregio
di unicità. Come dei capelli
afro. Piastra, ferro da stiro: li
ho lisciati in ogni modo. Da
grandi è più facile accettare
di essere diversi».
In amore poca fortuna. «So-
no stata parecchio lasciata.
Ma il destino sceglie per noi
ciò che è migliore, e lo yoga
è salvifico: educa alla tena-
cia nella pazienza. Ci vorrebbe un uomo
libero e peregrino. Con cui vivere in mo-
do trasgressivo ed elegan-
te, come la coppia di ra-
gazzi nelle Canzoni fanno
male».
Gibson 335 al collo («ros-
sa perché vesto nera ed
è una presenza, non può
passare inosservata») e
black soul misto a jazz nel-
le vene, la prima chitarra
la staccò dalla parete della
camera della madre («ave-
va la fissa di Lucio Batti-
sti, imparai per lei La can-
zone del sole e gliela facevo
“trovare” quando finiva di
stendere la pasta, o tornava dall’Etiopia
dove andava per i bambini, e nelle sue ma-
ni sentivo l’odore dell’Africa»).
Un giorno però il padre gliela ruppe («se
vuoi suonare, devi prenderti questa be-
nedetta laurea in Lettere»). Non mancò.
«Mi illuse, però: “Poi sai dopo quanto
cuccherai con la chitarra?”. Invece in
spiaggia sono sempre rimasta la colonna
sonora di tutti quelli che scomparivano ol-
tre il fuoco, nel buio».
Qui in Sugar siamo nel regno di Caterina
Caselli: «Le do del Lei: il Lei non è distac-
co, ma consapevolezza; è la signora della
musica, va consacra-
ta». L’ingaggio, qua-
si un caso. «Mi ero
già trasferita a Mila-
no dalla Romagna,
Giovanna Gardelli
aveva scelto di diven-
tare Marianne Mira-
ge, perché quando
si sale sul palco non
si può essere qual-
cosa che esiste già,
non puoi continuare
ad avere lo stesso no-
me di quando leggevi
Gian Burrasca. Lo in-
segnano Bob Dylan,
Édith Piaf, Billie Ho-
liday. Così ho unito i
Marianne e i Mirage,
due band degli anni
’60, estetica e follia.
Frequentavo il cen-
tro di cinematografia
di Giannini, e la sera
strimpellavo per po-
chi euro in un locale sui Navigli. Uno si
ferma, mi chiede un cd: era pieno di bra-
ni in ogni lingua, colpa dell’adolescenza
on the road tra Berlino e Parigi. Audizio-
ne, contratto, è fatta».
Dopo Quelli come me, oggi il secondo Ep



  • registrato a Londra, in studi vincitori di
    Grammy – è in uscita e Marianne vive a
    Milano in 18 mq: «Le chitarre, i libri, i di-
    segni, il computer, la vasca, tutto è vicino.
    Una casa sono le passioni che hai». Sta
    nuda volentieri («la libertà sposta i confi-
    ni, si può creare, non ha pregiudizi ed esi-
    ge di non esserne oggetto»), e all’Ariston
    non dovremo prenderla sul serio, quando
    canterà «non voglio più amore. Per la vita,
    per un anno, per favore». «Me lo sono ri-
    petuto a ogni stangata presa. L’ho urlato e
    pianto, mi ci sono disperata. Però rimane
    assurdo anche solo pronunciarlo».


Pag. 72: blazer, H&M. Brasserie, Calvin Klein Underwear.
Gioielli, vintage. Pag. 73: trench gessato, Antonio Marras.
Scarpe stringate, Stella McCartney. Ha collaborato
Angelica Torelli. Make-up Adalberto P.@Freelancer
using Aveda. Hair Elisa Rampi using Paul Mitchell.

TEMPO DI LETTURA PREVISTO: 6 MINUTI

E


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AUTORITRATTO
Uno dei disegni
che Marianne
ha realizzato durante
la nostra intervista.

OPERA SECONDA
Le canzoni fanno male
è il nuovo Ep
di Marianne Mirage
in uscita il 10 febbraio
che contiene 5 brani.
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