Vanity Fair Italia 20170208

(Romina) #1

(^80) I VANITY FAIR 08.02.2017
La prima
cosa che penso, mentre parlo con Linus, è a
come sta seduto. Si sporge verso di me sulla
sedia, con le ginocchia da maratoneta unite
e i piedi divaricati. È la postura di un timi-
do, che non è quello che immagini da uno
che fa il deejay da quarant’anni. La secon-
da è che Linus è davvero gentile per uno che
passa sempre per avere un pessimo caratte-
re (pessimo carattere è un eufemismo).
Per lui e la sua Radio Deejay (sua perché
ne è il direttore, oltre a fare Deejay chiama
Italia ogni mattina con Nicola Savino) so-
no giorni di festa: il 1° febbraio si celebra-
no i 35 anni della radio con una festa al Pala
Alpitour di Torino con tutte le voci del net-
work. Il tassista che mi ha portato all’inter-
vista stava ascoltando la diretta di Linus e
mi ha spiegato la sua teoria: «Sa perché Li-
nus è proprio bravo? Perché tanti, con un
microfono in mano, diventano dittatori, in-
vece lui rimane democratico».
Linus, concorda? È un democratico del mi-
crofono?
«Mi piace anche comandare, dare la sen-
sazione che so dove sto andando. A volte la
democrazia è un modo per far contenti tut-
ti senza andare da nessuna parte. C’è biso-
gno di qualcuno che sappia la strada, vale
per il lavoro, vale per la vita privata».
Poi a volte basta dare la sensazione.
«Vero. E non ho paura di fare retromarcia,
solo i cretini sono coerenti».
Un esempio?
«Gli amici Elio e le Storie Tese mi pren-
dono in giro perché ero in studio quando
stavano incidendo La terra dei cachi per
Sanremo, e dissi: “A me fa schifo”, e poi fu
un trionfo. Ma rimango dell’idea che quel-
la canzone non mi piace».
Volevo chiederle: come sta? In fondo, ai ca-
pi nessuno lo chiede mai davvero.
«È la mia più grande difficoltà esistenziale.
Essere sempre il fratello maggiore di qual-
cuno e, come tutti i fratelli maggiori, non
avere qualcuno a cui rivolgermi. È la solitu-
dine del potere, per quanto sia un potere ri-
dicolo. È un peso complicato, mi sento co-
me il mozzo di una ruota, tutti i raggi tira-
no verso l’esterno e io devo tenere sempre
tutti insieme».
Sembra faticoso.
«Sono un vecchio brontolone, e lo ero an-
che da ragazzo, ero un giovane brontolo-
ne. Sono sempre insoddisfatto, sempre a
cercare qualcosa che mi appaghi di più.
Ogni tanto dico: “Basta, non ce la faccio
più”, poi mi ricordo quanto sono fortuna-
to, quanto è bella la libertà di cui godo».
C’è qualche ambizione lasciata per strada
che le pesa?
«A volte mi chiedono se mi dispiace non
avere avuto la visibilità di un Gerry Scotti
o di un Fabio Volo. Ovviamente un po’ sì,
ma anche no».
Come la vende a se stesso che in fondo va
bene?
«Me la vendo che qui sono padrone delle
mie scelte. Per avere ciò che hanno avuto lo-
ro sarei dovuto passare per situazioni a cui
non avrei saputo sottostare. Il 90% di quel-
lo che vedo in Tv non mi piace. Sono solo
geloso di Gerry perché fa il quiz. Ogni tan-
to vedo conduttori e si capisce che fanno la
domanda ma non saprebbero mai la rispo-
sta. Ecco, io sarei uno di quelli che sanno
quasi sempre la risposta, come Gerry».
Un mago di Trivial Pursuit.
«Sì, mi piace quel nozionismo un po’ inu-
tile, e pensare che potrei sostenere almeno
trenta secondi di discussione con chiun-
que».
Radio Deejay festeggia 35 anni: a lei piace
festeggiare le ricorrenze?
«Mi causano imbarazzo, gli anni diventano
tanti e certe cifre invecchiano. La mia età
anagrafica mi impressiona. Faccio fatica a
ricucirmi con l’ombra, come Peter Pan».
Quest’anno ne fa 60: come si sta regolando?
«Provo ad addomesticarli e farci pace.
Ogni tanto pubblico una foto su Instagram
in cui non sono al massimo della forma e
c’è sempre qualcuno che dice: “Sembri
vecchio”. Ma io sono vecchio, ho 60 anni.
Che volete? Ostentare che ho un’età mi ser-
ve per esorcizzarla».
Fa davvero crioterapia?
«Certo. Ti mettono tre minuti in mutande
in un cilindro dove la temperatura è 160
gradi sotto zero. Funziona, ha un bell’effet-
to sfiammante».
Diceva della sindrome del fratello maggio-
re: che voto si dà in questa veste, con Alber-
tino?
«Facciamo un 6. Potrei essere un fratello
maggiore più affettuoso, ma sono una per-
sona trattenuta, bravo con le azioni, con le
parole sono impacciato. Con lui sono pro-
tettivo, come fratello e direttore di mio fra-
tello, che è una cosa difficile. A volte lo
chiamo Filippo, che è il nome di mio figlio
più grande. Nella mia testa sono due figli,
si sovrappongono».
A proposito, vi siete ripresi dal trauma
dell’incidente di suo figlio Michele, due an-
ni fa?
«Ogni tanto ci ripensiamo, è un ricordo
terribile (era caduto da una sedia rischian-
do di restare paralizzato, ndr). Sono mo-
menti che servono ad azzerare tutto. Ricor-
derò sempre la rapidità con cui mi sono ri-
programmato, mentre lo accompagnavo in
ospedale e pensavo: “Ok, ora lascio la ra-
dio”. Poi si è risolto con un grande spaven-
to. Adesso gioca a football americano».
Quest’anno invece ha raccontato la perdita
della sua cagnolina Bruna.
«Non credevo che mi avrebbe colpito tan-
to. I miei figli mi vedono come quello che
risolve tutti i problemi. Nel vedermi pian-
gere sono rimasti sconvolti. Ha fatto più
Bruna per la nostra famiglia di ogni altro
membro. Era un giro continuo alla ricerca
di carezze e cibo, era una ragnatela che ci
ha molto unito. Infatti arriverà la sorellina
di Bruna, Ilde. Ci piacciono i nomi da vec-
chia zia».
A proposito di famiglia, quest’anno sono
25 anni che sta con sua moglie.
«LA VITA CI IMPONE DI ESSERE BUONI, DI NON FERIRE
GLI ALTRI. MA CHE BELLO SAREBBE, OGNI TANTO,
ESSERE DAVVERO EGOISTI»
UNA PRODUZIONE IN ESCLUSIVA PER
VANITY FAIR
05 LINUS.indd 80-81

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