con ineffabile chiarezza. E la percezione ancora muta e inesperta di un
bambino nato a tali latitudini risponde a questo urto con una certa,
inspiegabile malinconia, con un sorta di irrazionale nostalgia per la
forma. È tale il lirismo del Mediterraneo iberico, terra di verità
denudate, di una drammatica «ricerca della vita per la vita»,[4] come
ebbe a dire García Lorca, uno che di queste sensazioni se ne intendeva.
Non c’è ombra di romanticismo, qui: non c’è posto per il
sentimentalismo tra contorni nitidi e affilati, ed esiste un solo mondo
fisico. «Come tutti gli artisti spagnoli, io sono un realista», avrebbe
osservato in seguito Picasso. A poco a poco il bambino acquisisce
parole, frammenti di frasi, i mattoncini del linguaggio. Le parole sono
astrazioni, creazioni della coscienza prodotte per rispecchiare il mondo
esterno ed esprimere quello interiore. Le parole sono i soggetti
dell’immaginazione, che a sua volta correda le parole di immagini,
ragioni, significati e conferisce a esse un certo grado di infinità. Le
parole sono lo strumento dell’apprendimento e della poesia. Creano
quella realtà seconda, e puramente umana, delle astrazioni mentali.
Col tempo, divenuto amico di poeti, Picasso avrebbe scoperto che,
dal punto di vista dell’immaginazione creativa, l’espressione visiva e
quella verbale sono identiche. Fu a quel punto che egli cominciò a
introdurre elementi di tecnica poetica nella propria opera: forme dai
molteplici significati, metafore di forma e colore, citazioni, rime,
giochi di parole, paradossi e altri tropi che consentono al mondo
mentale di manifestarsi.
La poesia visiva di Picasso attinse piena maturazione e la più
assoluta libertà intorno alla metà degli anni Quaranta in una serie di
nudi, ritratti e interni dipinti con colori “squillanti” e “aromatici”;
queste qualità risaltano anche in una quantità di disegni a china che
paiono eseguiti sulla spinta di folate di vento.
«Noi non siamo meri esecutori; noi viviamo la nostra opera».[5]
Questa la formula adottata da Picasso per spiegare fino a che punto
l’opera e la vita fossero in lui intrecciate; in riferimento alla sua
produzione artistica, parlò anche di “diario”. D.-H. Kahnweiler, che fu
amico di Picasso per più di sessantacinque anni, scrisse: «È vero che
per descrivere la sua oeuvre ho parlato di “fanatico autobiografismo”.
Ciò equivale a dire che lui dipendeva solo da se stesso, dalla sua
personale Erlebnis. Era sempre libero, e non aveva debiti se non con se
stesso».[6] Anche Jaime Sabartés, che frequentò Picasso per buona
bozica vekic
(Bozica Vekic)
#1