parte della sua vita, sottolinea la totale indipendenza dell’amico da
situazioni e condizionamenti esterni.
Al contrario, tutto sembra persuasivamente indicare che l’unica cosa
da cui Picasso, nella sua esperienza artistica, si sia mai trovato a
dipendere è il bisogno costante di esprimere la sua condizione interiore
nella sua più assoluta pienezza. Potremmo, con Sabartés, paragonare
l’opera di Picasso alla terapia; oppure, come Kahnweiler, trattare
Picasso da artista romantico. In ogni caso, proprio il bisogno di
esprimersi creativamente conferisce alla sua arte quel carattere
universale tipico di testimonianze umane quali le Confessioni di
Rousseau, i Dolori del giovane Werther di Goethe, la Stagione
all’inferno di Rimbaud. Si consideri, inoltre, che Picasso guardava alla
propria arte con atteggiamento per certi versi impersonale, traeva
piacere all’idea che le sue opere, da lui meticolosamente datate e
catalogate a beneficio degli studiosi, potessero servire da materiale per
un’eventuale futura scienza.
Si figurava quel ramo del sapere come una «scienza dell’uomo dedita
al disvelamento dell’uomo in generale attraverso lo studio dell’uomo
creativo».[7] D’altra parte, qualcosa di assai simile a un approccio
scientifico all’opera di Picasso vige da tempo, nel senso che la sua
produzione è stata suddivisa in periodi, interpretati alla luce sia dei
contatti creativi (le cosiddette “influenze”, spesso soltanto presunte) sia
dei riflessi di eventi biografici (nel 1980 uscì un libro intitolato
Picasso: Art as Autobiography).[8] Se l’opera di Picasso ha per noi il
significato generale dell’esperienza umana universale lo si deve alla
sua capacità di esprimere, nel modo più esauriente possibile, la vita
interiore dell’uomo e tutte le leggi del suo sviluppo. Solo
appressandoci alla sua opera da questo lato possiamo sperare di
comprendere le regole, la logica della sua evoluzione e il passaggio da
un ipotetico periodo a un altro.
bozica vekic
(Bozica Vekic)
#1