Anatoli Podoksik – Pablo Picasso 1881-1973. Ediz. illustrata

(Bozica Vekic) #1

primi fruitori e resta a tutt’oggi ineguagliata. Inoltre, non sarebbe errato
né esagerato affermare che, in quegli anni, i visitatori della casa-
galleria di Shchukin avevano una maggiore familiarità con la
produzione del giovane Picasso di quanto non accadesse agli amanti
dell’arte di altre città europee, Parigi inclusa, perché Picasso non
esponeva nei grandi Salons e si asteneva dal partecipare a qualsiasi
mostra collettiva.
Viveva per la sua arte, coltivava solo le amicizie più strette e
preferiva affidare la vendita delle proprie opere ai mercanti d’arte,
curandosi pochissimo della fama derivante dalle esposizioni in
pubblico. Benché Shchukin lo ammirasse e avesse molta fiducia in lui,
non tutte le opere e gli approcci stilistici di Picasso erano ugualmente
accettabili per questo mecenate russo: un fatto a cui abbiamo già
accennato. Shchukin, per esempio, non acquisì neppure un’opera del
periodo 1910-11, cioè della fase più ermetica e astratta del cubismo, da
lui probabilmente considerata troppo astrusa. D’altra parte, il proto-
cubismo arcaico e monumentale del 1908 e il raffinato stile à la
Cézanne del 1909, che il collezionista intese forse come una sorta di
prosecuzione del suo prediletto Periodo Blu, sono rappresentati con
eccezionale ampiezza, e attraverso le opere più significative. Le scelte
compiute da Shchukin riflettono il suo particolare modo di intendere
Picasso: pittore spagnolo, asceta estremo, spirito visionario, ma per
certi versi anche demoniaco.
A Shchukin, cui piaceva esprimere il proprio pensiero per contrasti, è
attribuibile il seguente aforisma: «Matisse dovrebbe decorare i palazzi;
Picasso le cattedrali».[110] E così, nella sua casa a due piani in stile
Impero, Shchukin colloca Matisse in una sala ampia e molto illuminata
(il salone rosa), mentre le tele dello spagnolo sono relegate in una
solitaria stanza dal soffitto voltato che Tugendhold definì, in modo
semplice ma icastico, “la cella di Picasso”.
Matisse e Picasso, pertanto, si presentarono al pubblico russo come
l’antitesi palazzo/cattedrale: un fatto che avrebbe avuto conseguenze
significative. Non meno significativo, però, è il fatto che la sintetica
definizione di Shchukin rispecchi anche la generale sensibilità della
cultura post-simbolista russa nei confronti di Matisse e Picasso.
E siccome in Russia, tradizionalmente, il criterio in base al quale
valutare un’opera d’arte era la risposta che quest’ultima forniva alla
domanda “perché?”, è facile comprendere come per la cultura russa

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