Anatoli Podoksik – Pablo Picasso 1881-1973. Ediz. illustrata

(Bozica Vekic) #1

ragni. Sì, in questa sala c’è qualcosa di quella baracca, e l’impressione
“ragnesca “è data da quelle tele gravide di presagi appese, ora nere ora
rosse, alle pareti, che colpiscono l’occhio soprattutto con le nette e
lunghe linee del disegno».[116]
Questo commento è riferito ai dipinti del periodo 1907-09,
solitamente classificati come cubisti, mentre il periodo tra il 1910 e il
1914 era definito cubo-futurista. Le cosiddette opere cubiste
costituivano la metà delle opere esposte e oscurarono tutte le altre. In
ogni caso, questa impressione di orrore, quel quid di strano, insolito e
inquietante, non portò al ripudio o alla condanna di Picasso da parte dei
pensatori russi. Al contrario, essi furono chiaramente respinti dall’arte
gioiosa di Matisse che, ai loro occhi, aveva la propria controparte in un
altro aspetto, diametralmente opposto all’approccio picassiano: l’aureo
sogno di Gauguin, pieno di misteriosi significati simbolici. Picasso,
invece, li attrasse come una calamita, per via di tutti gli elementi di
tensione, serietà, pessimismo e filosofia che trovarono nella sua opera.
D’altronde, questo era il loro pane quotidiano.
Osservando i quadri di Picasso, si sentirono sull’orlo di un baratro,
come davanti a icone nere emananti un nera beatitudine che risultava
quasi tangibile nella sala che le ospitava, come disse Bulgakov (imitato
da Pertsov). Altri utilizzarono parole analoghe per esprimere i propri
pensieri. Georgy Chulkov vide i quadri di Picasso come geroglifici
satanici, perché a suo parere certe forme non hanno emozioni
corrispondenti, se non forse all’inferno; infine, come ebbe a notare
Pertsov, c’era troppo misticismo reale nella sua colorata geometria per
poter pensare a una maschera formale.
Egli considerava la struttura metafisica dell’arte di Picasso alla
stregua di una rivelazione infernale e utilizzò il termine “cubismo” solo
in obbedienza al suo ruolo di critico d’arte. «Le tele cubiste di Picasso
creano l’impressione sinistra di una visione extra-terrestre, di una
fiamma infernale che brucia l’anima.»[117]
Occorre sottolineare, comunque, che una tale percezione di quel che
era da considerarsi vera arte, con tutto il relativo vocabolario e i relativi
schematismi, era tipica dei poeti simbolisti russi dell’ultimo decennio
dell’Ottocento. In un programmatico articolo del 1907 intitolato Sullo
stato attuale del simbolismo russo, Aleksander Blok scriveva: «L’arte è
l’inferno.
Non per niente Valeri Briusov suggeriva all’artista: “Come a Dante,

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