Anatoli Podoksik – Pablo Picasso 1881-1973. Ediz. illustrata

(Bozica Vekic) #1
Guernica, 1937. Olio su tela, 349,3 x 776,6 cm,
Museo Centro de Arte Reina Sofia, Madrid.

Non è stupefacente che ciò sia detto di un’arte considerata – a quei
tempi, e per molti anni ancora – essenzialmente formale, un fenomeno
puramente corporeo-plastico? Per ragioni storiche, quest’arte fu
chiamata cubismo, e le forze che proponevano per essa
un’interpretazione formale non si sono ancora, a oggi, del tutto
esaurite. Eppure, in quel periodo, Picasso diceva a Tugendhold: «Una
bottiglia su un tavolo è significativa quanto un dipinto religioso».
Non si può, peraltro, ignorare un’ulteriore considerazione di Yakov
Tugendhold, essenziale alla comprensione dell’opera di Picasso:
«Picasso vuole disegnare oggetti, ma non come appaiono all’occhio,
bensì come essi sono nel nostro pensiero». Formulato nel 1914, questo
commento del critico russo precede di venticinque anni la seguente
dichiarazione dell’artista in persona: «Io non dipingo quel che vedo,
ma quel che penso».[124]
Accantoniamo, ora, le penetranti riflessioni della generazione di
critici d’arte russi del secondo decennio del Novecento, che rimangono,
nel profondo, fedeli al simbolismo, uno stile che già a quei tempi era
superato. Nuove correnti artistiche e poetiche giungevano allora allo
zenit, capeggiate da una giovane generazione animata da un’incredibile
sete di novità culturali. Questi giovani, che avevano nel sangue lo
spirito rivoluzionario, cercarono nuove vie. Una delle loro fonti di
ispirazione fu la galleria Shchukin, che Ternovets, assai
opportunamente, considerava una sorta di accademia della nuova arte,
capace di alimentare i lussureggianti germogli della giovane pittura

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