Anatoli Podoksik – Pablo Picasso 1881-1973. Ediz. illustrata

(Bozica Vekic) #1

alieno, ripiegato su se stesso, vagamente fuori dal tempo: una
sensazione accentuata dalla struttura architettonica dell’edificio,
risalente al XII secolo.
Il ritmo ripetitivo delle spoglie volte ad arco, i lunghi e rimbombanti
corridoi percorsi da processioni di detenute e l’atmosfera di spiritualità
di questo ex monastero devono aver lasciato il segno su Picasso,
sensibile com’era a certe impressioni. Era al corrente dei progetti di
Van Gogh (che all’epoca era il suo pittore preferito) di dipingere figure
femminili sacre dal vero, conferendo loro, al contempo, l’aspetto di
moderne donne di città e quello delle cristiane delle origini?
Se la risposta è negativa, allora la coincidenza è davvero strabiliante,
perché il giovane spagnolo che osservava le strazianti e struggenti
scene di donne con i loro bambini (alle detenute era consentito di
tenere con sé i figli) trasformò il tema delle madri-prostitute di Saint-
Lazare in maternità dei tempi moderni. Queste figure potrebbero essere
poste in relazione, almeno in via ipotetica, con il mito goethiano delle
madri, delle grandi vestali che custodiscono i prototipi di tutto ciò che
esiste (si veda Faust, parte II). Nulla di sorprendente, se si considera
l’influsso di Goethe sulla cultura del simbolismo in generale e, in
particolare, se si cercano le molte allusioni figurative alle due scene
conclusive del Faust rintracciabili in un dipinto eseguito nello stesso
periodo delle maternità di Saint-Lazare, ossia la grande opera
programmatica intitolata Il funerale di Casagemas.
In ogni caso, non c’è dubbio che Picasso, preso nelle spire dello
sguardo “blu” da lui rivolto al mondo, trovò l’universale nel concreto:
l’espressione – simbolica, ricca di senso ed emotivamente lacerante –
di una sofferenza universale. Si trattava di un’emozione più estetica
che empirica. Per questo nel dipingere la donna da lui osservata (o
immaginata?), Picasso tralasciò ogni tratto individuale e ogni dettaglio
sociale, per limitarsi a esprimere il lato oscuro dell’eterno femminino:
quella che gli pareva la sofferente essenza metafisica della donna.
Persino dettagli banali come la divisa da infermeria e i tipici copricapo
bianchi delle detenute risultano trasmutati in abiti astratti, in qualcosa
di simile al berretto frigio della Marianne.
Trasformate dalla percezione dell’artista, si riducono nella sua opera
a deboli tracce delle figure reali di Saint-Lazare. Cionondimeno, la loro
pervicace presenza dà conto della potenza con cui la dura realtà del
carcere ha influenzato l’immaginario e lo stile stesso del Periodo Blu

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