te potremmo godere la nostra felicità. Si è vero saremmo protetti
dal bombardamento della pubblicità illusoria, ma purtroppo anche
privi della possibilità di agire per migliorare la società. Intuiamo che
questa idea è quasi impossibile da realizzare.
Conoscete sindrome dello struzzo? Quando lo struzzo sente la pau-
ra, oppure quando è in pericolo, nasconde la testa nella sabbia. In
questo modo si sente al sicuro e tranquillo. Che ingenuità e stupidi-
tà. Perché facendo così diventa la preda molto facile da catturare,
altro che protetto e al sicuro. Noi comportandosi così sicuramente
non ci salviamo. Non possiamo scappare tutti. In questo caso la
fuga non è una buona soluzione. Perché non possiamo essere vera-
mente felici sapendo che nel mondo vivono le persone infelici, per
un semplice motivo, la vera felicità non è un godimento personale e
isolato, ma una condivisione con gli altri. La vera felicità desidera
essere condivisa.
Un esempio perfetto per noi, come sempre è Gesù. Lui è venuto
sulla Terra portandoci il cielo, il Regno di Dio. Ha lasciato il cielo, po-
sto della vera e infinita felicità ed è venuto qui, sulla Terra. Sappia-
mo che la Terra non è un posto tanto felice. Perché ha fatto questo?
Per portarci la felicità. Per portarci il Regno di Dio. I Vangeli ci dimo-
strano Gesù che cammina verso Gerusalemme (cfr. Mt 16,21)^36.
Sapiamo che cosa lo aspettava in questa città. La morte sulla croce!
Però Gesù non fugge, ma va ad affrontare la realtà che lo aspetta.
Anche Lui doveva vincere la paura della sofferenza e della morte.
Però non sfugge. Rimane e affronta con coraggio il suo destino!
Perché Gesù fa questo? Perché desidera la nostra felicità! Facile è
sfuggire e lavare le mani dalla responsabilità. Facile è essere indiffe-
renti alla infelicità altrui. Però la verità è, che impossibile essere fe-
36 «Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a
Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scri-
bi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno»; cfr. Lc 9,22.