Pier Paolo Sarpi - L\'inquisizione nella Serenissima Repubblica

(Joyce) #1

E per queste raggioni nell'undecimo Capitolo è detto, che non
tralascino atto alcuno sotto pretesto di leggiero, perche non vi
è cosa tanto minima, che non possa esser causa
dell'assoluzione, o condanna. Ed è soggiunto, che non si
contentino, se dall'Inquisizione li sarà chiesta licenza; perche
se bene il principale, che deve intervenire ad un atto, può
concedere che sia fatto senza la sua presenza, non lo può però
fare quello che dev'esser presente à nome d'un altro: e per
tanto il solo Prencipe può dar tal licenza. Di più ancora la
licenza non è equivalente alla presenza, atteso che il
Magistrato che l'hà data, non sà in che maniera sia stata
impiegata, sicome può, e deve saper ciò che si fà in presenza
sua. E quando la licenza si desse una volta, non v'è raggione di
negarla la seconda, ed anco sempre; onde l'Assistenza si
ridurebbe à niente. Non si può negare, ch'alli Rettori (massime
occupati in molti negozi, che porta il Governo d'una Città) non
fosse più commodo d'intervenire all'Inquisizione quando
vogliono, ed essentarsi quando paresse loro: mà niuna
Giurisdizione, ed Imperio si mantiene senza fatica, ed
incommodità. Il medesimo Prencipe, quando trascura quella
parte del Governo, che è propria à lui, disordina il tutto. La
Corte Romana in questi affari, accioche l'Offizio
dell'Inquisizione non fosse trascurato dalli suoi per
occupazione, l'ha dato à persone che non hanno altro che fare,
e per la loro bassezza si tengono ad honor grande
l'essercitarlo. Il Prencipe, à cui più importa che le cose della
Religione siano ben amministrate, reputa più condecente
impiegarvi persone eminenti, e de' quali sia sicuro: E però
certo della fedeltà de' suoi Rappresentanti, aspetta, e vuol
sollecitudine dà loro, se ben occupati in altri affari, ed
applicati à carichi maggiori con i quali corrispondendo alla
confidenza, che si hà in loro, superino le difficoltà, ed
incommodi.

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